Iris Andreoni | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Sun, 18 Oct 2020 07:03:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8 https://2021.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Iris Andreoni | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ 32 32 Metodo Montessori: libertà, indipendenza e autoeducazione https://2021.passaggifestival.it/metodo-montessori/ Mon, 31 Aug 2020 18:16:37 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=74931 il 31 agosto del 1870 nasceva l'ideatrice di uno dei metodi di insegnamento più usati al mondo.

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Metodo Montessori

Autoeducazione, indipendenza, libertà. Questi sono i principi cardine del Metodo educativo Montessori, ideato e promulgato dalla pedagogista Maria Montessori, della quale oggi si celebra il centocinquantesimo anniversario dalla sua nascita.

Il carisma di Maria Montessori

Non esente da critiche, il Metodo Montessori ha riscosso un grande successo nazionale e internazionale, tanto che, ancora oggi, esistono nel mondo circa 65 mila istituti montessoriani.

I motivi di questa intramontabile fama sono da ricercarsi, oltre che nel metodo educativo stesso, anche nella personalità carismatica della Montessori. La pedagogista è stata infatti la terza donna italiana a laurearsi in medicina ed è stata anche un’oppositrice del fascismo, tanto che è stata esiliata in Olanda nel 1934, dove è deceduta nel 1952. Nel corso della sua vita ha poi scritto numerosissimi libri tra cui Educare alla libertà e Mente del bambino. Mente assorbente.

Il successo del Metodo, però, è dovuto anche al virtuoso girotondo di dicerie formatosi nel corso degli anni intorno ad esso, rendendo progressivamente il Metodo Montessori appannaggio di una classe ristretta e privilegiata. Di qui una delle maggiori critiche contemporanee mosse al Metodo; il fatto cioè che i successi professionali dei pupilli di molte famiglie benestanti, cresciuti tra le più illustri cerchie sociali e una copertura considerevole di denaro alle spalle, possano non essere dovuti esclusivamente alla frequentazione delle scuole montessoriane.

Metodo Montessori: quasi come leggere un libro

Bando però alle accuse, spesso infondate, è invece doveroso spezzare alcune lance in favore di questa scuola alternativa e rivoluzionaria, che si oppone ai dettami di quella tradizionale, come l’imposizione di regole dall’alto, l’apprendimento passivo, la limitazione delle libertà decisionali e di pensiero dello studente.

Si potrebbe paragonare il Metodo Montessori all’apprendimento derivato dalla lettura di un libro. La prima fase, quella decisionale, è infatti quasi totalmente autonoma. Certo, talvolta è necessario essere spinti alla lettura, specialmente nei primi anni di vita. Oppure è possibile che l’ambiente circostante o i consigli di altre persone influenzino la scelta. Ma la decisione finale spetta solo e soltanto al lettore.

Allo stesso modo, con il metodo Montessori il bambino è sì indotto a frequentare quella scuola, a seguire le lezioni, a stare con i compagni. È però anche responsabilizzato in tutte le sue scelte, che devono essere autonome e spontanee: dalle lezioni da seguire, ai compiti da svolgere a casa, ai compagni con cui stare. Il bambino, per esempio, può anche trascorrere il tempo con compagni di età diverse. Si renderà poi conto da solo che gli argomenti trattati non sono alla sua portata, oppure che la semplice presenza dei suoi coetanei è migliore. Proprio come quando ci si approccia ad un libro pensato per fasce di età diverse o per persone con competenze diverse.

L’autoeducazione del Metodo Montessori

La lettura di un libro, poi, è l’emblema dell’autoeducazione. L’atto del leggere, nella sua lentezza, nella sua richiesta di concentrazione e, ovviamente, per le informazioni presenti nel libro stesso, è un grande stimolo all’apprendimento. Proprio come il Metodo Montessori, che insegna al bambino la lentezza, l’attenzione e la concentrazione, o comunque a seguire i suoi personali tempi, per far sì che le sue azioni siano svolte al meglio.

Nell’insegnamento montessoriano, poi, il bambino riceve molte nozioni, da quelle più tradizionali, come il riconoscimento dei colori, la lettura e la scrittura, sino a quelle più pratiche o quotidiane, come sparecchiare il proprio piatto dopo aver mangiato, prendersi cura di piante e animali, stare a contatto con la natura.

L’importanza dell’insegnante

Un libro, però, ha sempre un autore. Questo, oltre a fornire determinate informazioni, guida il lettore tra le pagine e spesso suggerisce le chiavi interpretative della storia. In alcuni casi è più partecipe, in altri si nasconde alla perfezione tra le parole, ma è sempre presente. L’insegnante montessoriano, allo stesso modo, deve essere una guida presente, che vigila sugli studenti e suggerisce loro la via più giusta da intraprendere. Non deve, però, essere invadente, né deve rimproverare sterilmente gli alunni dall’alto del suo sapere.

Deve invece porsi allo stesso piano spiegando loro, in modo ragionevole, il motivo per cui, a suo parere, l’alunno abbia commesso un errore, stimolandolo all’autocorrezione. Una piccola distrazione dal lavoro, per esempio, è tollerata, così come può esserlo una distrazione dalla lettura. Il libro, così come la scuola e i compagni, rimane sempre lì, pronto a riaccogliere lo studente senza gravi conseguenze, come voti bassi o giudizi negativi.

Nella scuola montessoriana non ci sono i voti

Anzi, nella scuola montessoriana i voti non esistono affatto e gli alunni sono portati ad implementare le proprie capacità di autovalutazione. Tornando alla metafora del libro, il lettore sa che saltando le pagine potrebbe velocizzare la lettura. Questo però renderà la comprensione del libro più difficoltosa e, talvolta, potrebbe persino allungarne il processo.

O ancora: talvolta il lettore può decidere di non finire un libro. Questo non è sbagliato in sé; semplicemente priverà il lettore di ulteriori conoscenze o della soddisfazione di aver portato a termine qualcosa. Lo stesso varrà per i compiti a casa o per il lavoro in classe dello studente montessoriano. Se non implementati, al bambino verranno semplicemente comunicate le conseguenze delle sue azioni, piuttosto che essere bollato con un semplice voto numerico.

Il Metodo Montessori e il distacco dalla realtà

La realtà, voi direte, è però più complessa della semplice lettura di un libro. Ogni bambino ha una personalità diversa, così come ogni insegnante. Ogni famiglia predilige, a casa, metodi di educazione costruiti sulle proprie esigenze e i paesi in cui sono sorte le scuole montessoriane hanno ognuno background culturali propri.

Inoltre, e questa è la seconda comune critica al Metodo, la vita post-scolastica sarà molto meno accondiscendente con gli studenti delle scuole montessoriane, i quali rischiano di trovarsi catapultati in realtà lavorative e sociali che non ammettono decisioni autonome, errori o autocorrezioni, che richiedono velocità, prontezza e capacità di adattamento.

Non per questo, però, non deve esistere una realtà diversa, che propone un’educazione non tradizionale e che, se accostata all’esperienza obbligata del mondo “reale”, può regalare al bambino un ritaglio di spazio proprio, di apprendimento e di evasione. Proprio come può fare un libro.

 

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Orwell, sostenitore della verità e dell’amore https://2021.passaggifestival.it/george-orwell-1984/ Mon, 08 Jun 2020 09:47:05 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=71281 Un libro che ha fatto la storia della letteratura, destinato a mantenere la sua fama anche nei tempi a venire.

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george-orwell-1984

Il romanzo 1984 scritto da George Orwell nel 1948 e pubblicato l’8 giugno dell’anno successivo, era stato inizialmente intitolato dall’autore L’ultimo uomo in Europa. Questo titolo sarebbe stato, forse, più accattivante. Ma 1984 non ne aveva certo bisogno per poter diventare uno dei libri più importanti nella storia della letteratura.

La scelta di modificare il titolo è forse dovuta alla volontà di Orwell di mostrarsi coerente con il messaggio del libro. L’utimo uomo in Europa poteva infatti influenzare il lettore o fornirgli già da subito una chiave interpretativa.

Il che è esattamente ciò contro cui si batte Orwell in 1984: inculcare un pensiero nella mente delle persone senza che esse ne siano consapevoli.

Come si controlla, secondo Orwell, una società?

È però quasi impossibile per un autore nascondersi dietro le proprie parole. Infatti il pensiero di Orwell trapela con grande forza in tutto il libro.

L’idea principale della distopia di 1984 è quella secondo la quale i regimi come quello del Grande Fratello siano caratterizzati dalla perdita di umanità delle persone. Questo è infatti l’unico modo per comandare e gestire una società.

Il processo, però, non è semplice, poiché si tratta di privare un essere umano di ciò che lo caratterizza come tale, ovvero la capacità di pensare individualmente e senza essere guidato dall’istinto.

Per farlo il Grande Fratello ha messo in atto molti metodi, primo fra tutti quello di rendere la maggior parte delle persone inconsapevoli e ignoranti. I prolet, che costituiscono il ceto più basso e più numeroso della società, non sono in grado di memorizzare le cose, tanto che basta variare le informazioni trasmesse dal teleschermo per mutare il loro parere o cognizione.

La neolingua

Per manipolare il pensiero della società, inoltre, il regime ha creato la cosiddetta neolingua, un insieme di ossimori e neologismi costruiti ad hoc per custodire il bispensiero, la cui espressione più nota è data dallo slogan “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.”

Sapere e non sapere. Essere cosciente della suprema verità nel mentre che si dicono ben architettate menzogne, condividere contemporaneamente due opinioni che si annullano a vicenda, sapere che esse sono contraddittorie e credere in entrambe. Usare la logica contro la logica, ripudiare la morale nel mentre che la si adotta, credere che la democrazia è impossibile e che il Partito è il custode della democrazia. […] Questa era l’ultima raffinatezza: assumere coscientemente l’incoscienza, e quindi, da capo, divenire inconscio dell’azione ipnotica or ora compiuta. Anche per capire il significato della parola “bispensiero” bisognava mettere, appunto, in opera il medesimo.

La verità è semplice

Il mondo dipinto da Orwell è quindi totalmente artefatto e costruito, per ottenere il quale serve un lavoro costante e complesso. L’autore sembra quindi remare contro il credere comune per cui la verità sia un concetto complicato e che per conoscerla sia necessario elaborare una grandissima quantità di informazioni.

In 1984 invece trapela il messaggio che ci viene insegnato sin da bambini, ovvero che “tutti i nodi vengono al pettine”.

Proviamo infatti a pensare come sarebbe semplice la realtà senza il muro di mattoni culturali e sociali che negli anni sono stati eretti intorno ad essa. I migranti del mediterraneo sarebbero persone disperate che scappano da una guerra e che cercano un rifugio. L’amore per un’altra persona sarebbe sempre e comunque qualcosa di bello, a prescindere dal genere e dall’orientamento sessuale. Il colore della pelle sarebbe soltanto un tratto fisico, come lo è il colore dei capelli o degli occhi.

“Nulla è più insopportabile della libertà”

Allora perché il protagonista di 1984 si ritrova (quasi) da solo nella sua battaglia alla ricerca della verità? Una chiave interpretativa si può trovare in un altro pilastro della letteratura mondiale: I fratelli Karamazov di Fedor Dostoevski.

Nel capitolo “Il grande Inquisitore” l’autore russo riflette sul fatto che la massa, in realtà, preferisca vivere in stato di subordinazione, ma con il pane tra i denti, piuttosto che in totale libertà ma con il fardello di dover prendere decisioni e ragionare con la propria testa.

Vuoi andare nel mondo a mani vuote, con una sorta di promessa di libertà che gli umani nella loro semplicità e innata turpitudine non sono nemmeno in grado di comprendere, di cui hanno paura e timore reverenziale, perché nulla è mai stato più insopportabile per l’uomo e la società umana che la libertà! Senti, vedi quelle pietre in quella nuda e ardente regione selvaggia? Trasformali in pane e il genere umano trotterà dietro di te come un gregge, riconoscente e obbediente, temendo che tu possa privargliene.

Il nemico comune

Un altro escamotage utilizzato dal Partito per controllare le persone è quello della creazione a tavolino di un nemico comune, di un capro espiatorio.

Vi sono infatti tre grandi macro-regioni nel mondo orwelliano: l’Oceania (una parte dell’Europa con l’America e parte dell’Africa), l’Eurasia (tutto l’ex blocco Sovietico e altre parti asiatiche) e l’Estasia (Cina, Indocina e Giappone). Ognuna di esse è di volta in volta alleata con un’altra, e la terza diventa il nemico. Queste alleanze possono variare nel corso degli anni a seconda della convenienza del momento, così da mantenere una rivalità di fondo tra tutte e tre le nazioni.

Così facendo il regime sfrutta l’ego dell’essere umano, il quale rende difficile assumersi colpe e responsabilità. Molto più semplice è, per molti, accettare una realtà manipolata che ripone in un nemico esterno la causa di tutti i problemi. Per esempio, è molto più facile credere che il malfunzionamento della società italiana sia colpa di quattro poveri migranti venuti dal mare piuttosto che dei nostri politici o di noi stessi.

Con ciò Orwell non intende, ovviamente, incolpare il popolo se il regime del Grande Fratello vige indisturbato. Semplicemente il Grande Fratello, proprio come i partiti sovranisti moderni, è stato in grado di trovare i punti deboli dell’indole umana, facendone delle brecce tramite cui conquistare la loro mente. Ma non il cuore.

La potenza dell’amore in Orwell

L’unico elemento non controllabile e che ha scatenato la ribellione di Winston è l’amore. Oltre che, udite udite, la sessualità. Entrambi questi elementi sono infatti caratterizzati da un istinto e un impeto che è impossibile controllare con la ragione e con la manipolazione della verità. Infatti, sappiamo bene che l’amore per qualcuno, così come l’attrazione fisica sono, purtroppo o per fortuna, difficilmente controllabili.

Non il semplice amore per una persona, ma l’istinto animale, il desiderio indifferenziato, nudo e crudo. Era questa la forza che avrebbe mandato il Partito in pezzi.

Inoltre l’amore e il sesso sono caratteri estremamente personali, intimi, individuali, che quindi cancellano quel processo di massificazione e spersonalizzazione al quale tanto tiene il Grande Fratello.

Nella società di Orwell il matrimonio era un semplice contratto e i rapporti sessuali si potevano consumare soltanto con il fine della procreazione. Insomma, tutto era concesso purché fosse in quale modo costruito e “razionale”.

L’istinto sessuale o l’amore per un’altra persona sarebbero state una minaccia al partito, perché sono in qualche modo una presa di coscienza di alcune fondamentali verità.

Innanzi tutto quella per cui l’amore ha il potere di abbattere ogni differenza di ceto o classe e, quindi, l’intera struttura su cui si erge un regime totalitario. E poi la verità più bella: ogni essere umano possiede la propria personalità e le proprie emozioni, che sono assolutamente uniche, come uniche sono tutte le storie d’amore.

Confessare non è tradire. Non importa quello che dici o non dici, ciò che conta sono i sentimenti. Se riuscissero a fare in modo che io non ti ami più… quello sarebbe tradire.


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Copia cartacea

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Emily Dickinson, dall’isolamento parlava a tutti noi https://2021.passaggifestival.it/emily-dickinson/ Fri, 15 May 2020 09:54:51 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=70736 Emily Dickinson era una poetessa sui genereis, con un forte spirito rivoluzionario. Si potrebbe quindi supporre che non avrebbe celebrato la giornata internazionale della famiglia, che cade proprio nell'anniversario della sua morte.

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Emily Dickinson

Tante supposizioni sono state fatte sulla vita di Emily Dickinson. Quasi nessuna è certa o confermata, se non la data della nascita, il 10 dicembre 1830 e quella della morte, il 15 maggio del 1880.

La vita sui generis di Emily Dickinson

Una di queste supposizioni potrebbe essere quella che la Dickinson non avrebbe celebrato la giornata internazionale della famiglia. E quest’ultima cade, ironicamente, proprio nel giorno dell’anniversario della sua morte.

Si potrebbe avanzare questa ipotesi non tanto per le opinioni politiche della poetessa americana. Anzi, lei aveva una concezione della vita molto sui generis, che non poteva essere inquadrata in nessuna corrente politica o artistica del tempo, conservatrici o progressiste che fossero. Questo lo possiamo affermare a posteriori, poiché è soltanto dopo la sua morte che il suo talento poetico è stato rivelato.

La Dickinson ha infatti sempre vissuto una vita molto appartata, uscendo solo di rado dalla casa del padre. La sua era sicuramente una scelta dettata dall’umiltà, come dimostra la sua poesia  “Io sono Nessuno” nella quale elogia chi non gracida come una rana il proprio nome al fango.

Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare — come una rana
che gracida il suo nome — tutto giugno —
ad un pantano in estasi di lei!

Ma alcuni critici credevano che l’aver condotto una vita appartata fosse anche la dimostrazione che l’autrice strizzasse l’occhio a una mentalità conservatrice e puritana, quale era quella di suo padre e della sua famiglia in generale. Erano infatti di religione protestante e molto devota.

Invece era molto probabilmente tutto il contrario. Più che una ragazza timida e senza larghe vedute, si potrebbe definire la Dickinson un’outsider, il cui spirito ribelle trapela dalle sue esperienze di vita e dalle sue poesie.

Emily non ha mai voluto seguire le regole che il padre e la società volevano imporle. Per esempio, la poetessa abbandonò le scuole superiori dopo solo un anno, poiché intollerante al seminario femminile nel quale studiava. Il padre, comunque, fu ben contento che Emily potesse studiare a casa, preoccupato che il sapere potesse avere effetti deleteri sul modo di pensare della figlia.

Solitudine, sapere e storie d’amore

La Dickinson, però, non rinunciò agli studi e divenne un’autodidatta, riducendo anno dopo anno i suoi contatti con l’esterno, ma aumentando, grazie ai libri, le sue conoscenze nei più svariati ambiti dell’esistenza. Dopo i 25 anni, decise definitivamente di passare il resto della sua vita quasi in completa solitudine. La ragazza rinunciò persino alla carriera da insegnante, già scritta per le donne zitelle e intelligenti. Inoltre non si sposò mai, anche se non sembrano essere mancate nella sua vita relazioni extraconiugali, anche fisiche (pare che una di queste fosse con un uomo sposato).

Oltre alla corrispondenza, le uniche vere testimonianze sulla sua vita privata le abbiamo grazie alle sue poesie, poiché è qui che la poetessa esprime in maniera totalizzante se stessa. La seguente dimostra come Emily Dickinson non fosse proprio una puritana.

Notti selvagge – Notti selvagge!
Fossi io con te
Notti selvagge sarebbero
La nostra voluttà!

Futili – i venti –
Per un Cuore in porto –
Via il Compasso –
Via la Mappa!

Vogare nell’Eden –
Ah, il Mare!
Potessi soltanto ormeggiare – stanotte –
In te!

Lungi dai blogger del XXI secolo giudicare i suoi eventuali comportamenti promiscui, date anche le lacune riguardanti la sua biografia, ciò non toglie che la Dickinson stava, di fatto, conducendo una sua personalissima rivoluzione contro il vivere comune che, senza che lei lo sapesse, avrebbe influenzato positivamente molte donne delle successive generazioni nel difficile processo dell’emancipazione.

Anche lo stile è rivoluzionario

Questo spirito ribelle si può anche vedere dallo stile delle poesie. Apparentemente molto ligie alla tradizione, data la forma metrica del sonetto, non presentano però la punteggiatura. Per dividere i versi, Emily Dickinson utilizza le lineette. La lineetta è un segno peculiare per una poesia dell’ottocento e rispecchia la visionarietà del poetare dickinsoniano. Il trattino assomiglia infatti a una rivelazione che produce meraviglia e suspence di fronte a qualcosa che può sembrare comune.

Inoltre è rivoluzionario il suo lessico. Ai molti verbi di percezione, molto vaghi e quasi metafisici si alternano termini di una precisione anatomica e giuridica. Il verso Sentivo un funerale nel cervello ne è la prova: Sentivo è un verbo di percezione, cervello invece è molto preciso e riporta subito alla realtà.

Silvio Raffo, durante una lezione all’Università degli studi di Milano, ha giustamente notato come la scrittrice avesse osato ancora di più rispetto agli avanguardisti. Troppo comodo scrivere “a vanvera” come alcuni dell’avanguardia. – dice Raffo – Questo stile inquieta molto di più che il semplice “urlare” e creare effetti speciali. Il suo è un esprimersi ordinato con materiale incandescente e visionario. Questa è la perfezione, la perfezione della naturalezza.

Dì tutta la verità, ma dilla obliqua

Una delle sue poesie più famose è quella sulla sua concezione della verità:

Di’ tutta la verità ma dilla obliqua –
Il successo sta in un Circuito
Troppo brillante per la nostra malferma Delizia
La superba sorpresa della Verità
Come un Fulmine ai Bambini chiarito
Con tenere spiegazioni
La Verità deve abbagliare gradualmente
O tutti sarebbero ciechi.

Anche qui Emily svela una moralità non tradizionale. L’imperativo morale classico è infatti quello di dire tutta la verità, che lei non disdegna. Anche questo è segno di grande intelligenza, poiché non vuole essere alternativa a prescindere. Però aggiunge sempre qualcosa di suo. Qui, per esempio, dice che la verità va detta obliqua così che possa essere accettata. Spesso infatti la verità è scomoda e può spaventare. Gli uomini, secondo la Dickinson, sono troppo fragili poiché la delizia di cui si compiacciono è malferma e pertanto facilmente minabile. La verità, che è una superba sorpresa, va spiegata e interpretata, come il rumore di un tuono a un bambino.

L’ossessione di Emily Dickinson per la morte

La Dickinson scrive molto riguardo alla morte, ma soprattutto della vita dopo la morte. Anche qui, nonostante si possa avere l’impressione di una donna devota ai dettami del cristianesimo, che crede nell’importanza del vivere la propria vita in funzione dell’ammissione alle porte del Paradiso, l’aldilà dell’autrice è decisamente originale. Talvolta, anzi, sembrerebbe quasi blasfema. In questi versi, per esempio, la poetessa afferma che il suo amato potrebbe addirittura oscurare il volto di Cristo.

Nemmeno potrei risorgere – con te –
Perché la tua faccia
Spegnerebbe quella di Gesù
La nuova grazie –
Ai miei occhi nostalgici
Diverrebbe comune – e straniera
A meno che tu di lui non brillassi più prossimo –

Oppure afferma di preferire l’Inferno, piuttosto che stare senza l’amato, ricordando molto i peccatori d’amore per eccellenza, Paolo e Francesca.

tu mi saturavi la vista –
e non avevo altri occhi
per un’eccellenza sordida
come il paradiso

[…]

E se tu fossi – redento –
E io – condannata a essere
Dove non sei tu –
Quel mio essere – sarebbe un inferno

La rivoluzione di Emily Dickinson: parlare a tutti gli uomini

In quest’ultima poesia la Dickinson descrive perfettamente e rispettosamente la situazione che si crea all’interno di una casa il giorno dopo un lutto. La sua penna disegna emozioni che, purtroppo, non hanno tempo, non hanno luogo, non hanno identità.

Il Trambusto in una Casa
Il Mattino dopo una Morte
È la più solenne delle faccende
Compiute sulla Terra –

Spazzolare il Cuore
E mettere da parte l’Amore
Non avremo più bisogno di usarlo
Fino all’Eternità –

La Dickinson è in grado di descrivere in modo molto naturale ciò che è accaduto ed è come se incoraggiasse il lettore (o se stessa, visto che non ha mai voluto pubblicare le sue poesie) a prendere atto di quello che è avvenuto, sapendo che la vita deve continuare. L’amore per chi è mancato deve essere messo da parte, poiché non vi sarà bisogno di usarlo fino a quando l’eternità li riunirà.

Nonostante quindi si tratti di un quadretto “familiare”, Emily non celebra le etichette tradizionali del vivere sociale, come quella di famiglia. A lei interessavano le epifanie della vita degli uomini e dell’universo intero. Ed è questa la sua rivoluzione, il suo miracolo laico: il fatto di raggiungere il cuore di tutti e di toccare ogni punta dell’universo, dalle emozioni più alte ai cocci di una tazza di porcellana. E lo fa nonostante la sua volontà di isolarsi dal mondo. La Dickinson, anche dal suo completo isolamento, parlava ad ognuno di noi noi.


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L’opera d’arte più grande di Dalì è se stesso https://2021.passaggifestival.it/dali/ Mon, 11 May 2020 09:20:46 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=70641 Definito da molti, a ragion veduta, un vero e proprio genio, Salvador Dalì è uno di quei personaggi che ha segnato la storia. La sua vita e la sua ispirazione spiegata, per quanto possibile, in un articolo

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Dalì

Celebrare l’anniversario della nascita di Dalì, che fu dato alla luce l’11 maggio del 1904, è il miglior modo per ricordarlo. Non tanto per l’intrinseco valore della nascita rispetto alla morte. Anzi. A volte la morte può nobilitare la vita di una persona. Pensiamo, per esempio, a molti caduti di guerra, di cui si ricorda proprio il loro sacrificio.

Salvador Dalì, però, amava nascere. Egli si reinventava costantemente, dando vita di volta in volta a personaggi diversi. Tra i vari ruoli che Dalì ha voluto ricoprire nel corso della sua esistenza, vi è anche quello di illustratore di opere letterarie. Nel 1952 Dalì illustrò la Divina Commedia di Dante Alighieri con 102 acquarelli. Ne 1958 preparò le illustrazioni del Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes per accompagnare una rara edizione del 1946. Nel 1969 l’artista realizzò 12 litografie, una per ogni capitolo più una per la copertina, di Alice nel paese delle meraviglie di Lowis Carroll.

Esiste qualcosa che Dalì non sappia fare?

Su YouTube si può vedere la registrazione di un vecchio quiz televisivo che consisteva nell’indovinare l’identità di un personaggio ponendogli alcune domande: una sorta di “indovina-chi” del mondo reale. Il personaggio di questo episodio è proprio Salvador Dalì, allora già conosciuto in tutto il mondo.

Il video diventa divertente nel momento in cui ci si rende conto che Dalì risponderà “” a tutte le domande. “Sei un performer?” “”. “Sei uno scrittore?” “”. “Sei un illustratore?” “”. Una delle concorrenti, a un certo punto, chiede: “Esiste qualcosa che quest’uomo non sappia fare?”. La risposta è, stranamente, ““. I concorrenti capiscono di chi si tratta dopo una domanda molto singolare: “Ha baffi con una forma strana con i quali è anche in grado di dipingere?”.

Questo piccolo sketch può dare un’idea di come l’unico modo per afferrare la personalità di Dalì non sia attraverso le etichette sociali tradizionali. Non tanto perché lui non svolgesse attività “normali”. Dopotutto, Dalì si può anche definire, a tutti gli effetti, un pittore. Il punto è che tutte le cose che faceva, anche quelle più banali, le realizzava nel modo più originale possibile.

Dalì era un passo avanti a tutti. E lo sapeva

Questo approccio lo collocava sempre un passo avanti agli altri e lui ne era consapevole. Una delle sue citazioni più celebri e rappresentative è la seguente: “Il primo uomo che comparò le guance di una donna a una rosa era evidentemente un poeta. Il primo che lo ripeté era probabilmente un idiota.”

Ecco perché, quando gli furono commissionate le illustrazioni di eminenti opere letterarie, Dalì accettò. In primis perché amava fare cose nuove. In secundis perché coglieva sempre l’occasione per stravolgerle, le cose. Illustrare i pilastri della letteratura tradizionale seguendo la tecnica surrealista era in grandissimo stile Dalì. In terzo luogo le opere in questione stimolavano Dalì nel rappresentarle a causa dell’affinità con l’autore o la trama dell’opera.

Le affinità con Dante

La similarità di Dalì con Dante e la Commedia è forse meno intuibile rispetto a quella con le altre due opere. In realtà, però, hanno moltissimo in comune, a cominciare dalla poderosa immaginazione di Dante. Questa si manifesta in tutta la sua potenza soprattutto nel libro dell’Inferno, che brulica di minuziosi dettagli. Come sappiamo, con l’avvicinarsi di Dante al Paradiso, i dettagli svaniscono, per lasciare il posto a una luce sempre più accecante, che culmina con la visione di Dio. Lo stesso effetto lo vediamo nelle illustrazioni di Dalì. Spaventosamente dettagliate quelle dell’Inferno, coinvolgenti e luminose quelle del Paradiso. E in tutte, ovviamente, troviamo un’esuberante immaginazione.

Bisogna precisare che la perdita dei dettagli narrativi non è causata dall’affievolirsi dell’immaginazione del Poeta Vate, anzi. Questa era arrivata talmente lontano (la visione di Dio!) al limite dell’umanamente descrivibile, che solo l’incontro con un’altra immaginazione, quella del lettore, avrebbe potuto completare l’opera.

Curiosamente questo processo stilistico è tipico anche della corrente surrealista (giusto per rendere l’idea di quanto Dante sia eterno). Il surrealismo non vuole rappresentare la realtà, bensì l’interiorità dell’artista. Tanto che il post-modernismo, poi, esaspererà e concluderà questo processo, riversando l’intero senso delle opere nell’interpretazione libera da parte del pubblico, il quale è il solo in grado di renderle vive. L’artista, in questo senso, si toglie completamente.

Dalì e Dante, i geni che peccano di superbia

Né Dalì né Dante, però, avevano intenzione di “togliersi”. È infatti noto come il Poeta Vate peccasse di superbia. Lo spiega bene Pier Angelo Perotti nel saggio Superbia e invidia nell’inferno dantesco. Si provi anche solo a pensare al fatto che Dante si sia auto-eletto come l’unico essere umano in grado di meritare la visione diretta di Dio. In più, Dante scelse niente meno che Virgilio come guida, considerandosi successivamente quasi al suo stesso livello poetico. Un atteggiamento piuttosto presuntuoso, se si pensa che al tempo Dante non era, di fatto, nessuno. Il congedo di Virgilio da Dante (Pg. XXVII) ne è una prova:

“Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio”.

Virgilio qui incorona Dante, autorizzandolo a procedere senza la sua guida poiché lo ritiene in grado di poetare da solo.

In Dalì la superbia è ancora più palese. La differenza tra me e i surrealisti – ha detto –  è che io sono surrealista. Ritenendosi, quindi, l’unico vero rappresentante di questa corrente. Un altro esempio è la sua autobiografia che lui ha intitolato Diario di un genio. E la lista potrebbe continuare.

Dalì, il Don Chisciotte moderno

Ma soprattutto a Dalì non importava il giudizio altrui e per questo l’artista ha affrontato moltissimi problemi sociali ed interpersonali nel corso della sua vita. Nel 1923 è stato arrestato per tendenze anarchiche e tenuto in carcere per 35 giorni. Nel 1934 i membri del movimento surrealista lo espulsero dal gruppo. Nel 1939 gli venne impedito dall’Esposizione Internazionale di New York di mettere una testa di pesce sulla Venere di Botticelli, tanto che poi pubblicò la sua Dichiarazione d’indipendenza dell’immaginazione e del diritto dell’uomo alla propria pazzia.

Ecco che qui fa capolino l’affinità con Don Chisciotte. Un outsider che non ha paura di essere se stesso, anche se l’essere se stesso significa essere folle. Unamuno spiega questo concetto in un saggio proprio sull’antieroe di Cervantes:

“Sapeva molto bene, Don Chischiotte, che i mulini a vento erano mulini e non giganti, quando si confrontava con loro come se lo fossero. Ma lui voleva che lo fossero e dava luogo alla sua impresa cercando eroicamente quella che il mondo considerava una sconfitta, e che invece non lo era – Io so chi sono! – esclamò una volta in modo arrogante, ed era la verità: lui sapeva chi era”.

Se la finzione è più vera della realtà

Insomma, per quanto la realtà sembra essere lontana dal personaggio di Don Chisciotte, ma anche dal personaggio che Dalì si creò nel corso del tempo, la loro finzione è, secondo loro, più vera della realtà stessa. Anche questo, d’altra parte, è un concetto tipico surrealismo: l’arte non deve imitare la realtà perché facendolo si rende fautrice di una grande menzogna. I realisti, in un certo senso, ingannano il pubblico, cercando di convincerli che la realtà sia perfettamente rappresentata dalla loro opera. Chi invece mostra un mondo altro, come può essere quello nascosto dell’inconscio, sigla al principio un patto con il pubblico (il famoso patto narrativo degli scrittori), dopo il quale è libero di lasciarsi andare e fingere in completa sincerità.

“L’arte progressista – ha detto Dalì – può aiutare le persone a conoscere non solo le forze oggettive all’opera nella società in cui vivono ma anche il carattere intensamente sociale delle loro vite interiori. In ultimo può spingere le persone verso l’emancipazione sociale.”

Dalì non nasconde l’arte nel sogno di Alice

Un’opera esemplare degli anni ’20 (anni in cui si è sviluppato il surrealismo) che può rendere al meglio la dicotomia realtà-finzione tanto in voga in quei tempi è l’Enrico IV di Pirandello. Il protagonista impazzisce dopo aver sbattuto la testa in un incidente, credendosi un grande re del passato, appunto l’Enrico IV. Quando rinsavisce, però, decide di non comunicarlo a nessuno e di fingersi pazzo per il resto dei suoi giorni. Motivo? In questo modo avrebbe meglio sopportato la dolorosa presa di coscienza della realtà.

Come Enrico IV si può dire che anche Dalì abbia scelto consapevolmente di essere considerato pazzo dalle persone, facendo della sua vita un gigantesco meta-racconto.

Il meta-racconto per eccellenza è Alice nel paese delle meraviglie. Grazie al fatto che Alice si trova in un sogno, l’autore è libero di inventare i mondi più assurdi possibili. E Dalì, con questo, ci va a nozze. Tanto che le sue illustrazioni per questo romanzo sono molto ermetiche, quasi psichedeliche e riflettono totalmente il non-sense del romanzo di Carroll.

Perché Dalì non può essere ricordato per la sua morte

Il genio di Dalì, però, non si esprimeva soltanto attraverso l’arte pittorica e la sua immaginazione non necessitava di stimoli esterni. Dalì, insomma, non aveva bisogno di nascondersi in un sogno, in una caduta da cavallo, in un’allegoria. E nemmeno nei suoi stessi dipinti. La sua arte è tutta interamente nella sua testa e nella sua persona. “Io non mi drogo, io sono la droga”, disse.

Ecco perché Dalì ha espresso il suo genio in qualunque modo, in qualunque tempo e in qualunque luogo. Realizzò il suo primo dipinto a 6 anni e non si è più fermato. E quando il mondo esterno non gli bastò più, Dalì ha fatto di se stesso un’opera d’arte, con i suoi baffi e le sue performance. Il suo unico limite era la morte. Prima ancora della sua, quella della moglie e musa Gala. Dopo il suo decesso, infatti, Dalì si rifugiò in un castello, solo e lontano dalla società, cosa assolutamente anomala per lui. Ecco perché Dalì non può essere ricordato per i suoi ultimi anni, quelli senza arte, bensì per la sua nascita. Perché con lui è anche nata la sua più grande opera: se stesso.

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Scuole di scrittura chiuse, ma mai così aperte https://2021.passaggifestival.it/scuole-di-scrittura/ Tue, 05 May 2020 09:47:39 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=70410 Scuola Holden, Belleville, Omero e Molly Bloom hanno dovuto chiudere i propri cancelli fisici, ma non hanno smesso di portare le attività grazie ad una lunga lista di iniziative digitali

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scuola di scrittura

La scuola di scrittura Belleville è chiusa, ma non è mai stata così aperta”. Lo slogan con il quale la scuola milanese ha introdotto i suoi corsi on-line potrebbe valere anche per le sue maggiori concorrenti. In questo periodo, infatti, le più importanti scuole di scrittura italiane si sono dovute attrezzare con lezioni, incontri e materiali sul web. Così facendo hanno permesso a molte più persone di varcare le soglie delle loro porte, solitamente meno accessibili.

Si tratta di un’apertura geografica, in quanto, tolto lo scoglio della distanza, è ora possibile prendere parte alle lezioni da ogni luogo d’Italia e del mondo. Ma è anche un’apertura volumetrica poiché, venendo a mancare la limitazione delle quattro mura di un’aula, la capienza diventa potenzialmente infinita. Ma soprattutto è un’apertura economica, in quanto le scuole di scrittura si son prodigate per rendere gratuiti molti preziosi contenuti.

La scuola di scrittura Belleville

La Belleville è forse la scuola che più di tutte cerca di coinvolgere il pubblico anche a distanza. Oltre ai corsi di base di scrittura, che proseguono in diretta streaming, è anche possibile prenotare colloqui privati con gli editori, che leggeranno, correggeranno, commenteranno i testi a loro proposti.

Belleville online” offre poi moltissimi contenuti multimediali, come video-lezioni acquistabili singolarmente. Un esempio è quella di Walter Siti sulla scrittura impegnata, oppure quelle più tecniche sulla punteggiatura e l’incipit.

Alcuni corsi invece sono nati propriamente in occasione del lockdown. Dal 20 maggio, per esempio, lo scrittore americano Ellie Gottlieb terrà un “Laboratorio sul racconto” in dieci lezioni live. Gottlieb vuole celebrare la libertà intrinseca dei racconti, i quali escono “a ritmo di danza dallo scenario storico-materialista, aprendo la lente sui punti salienti del comportamento umano e agendo come stelle cadenti di fronte alla pesante gravità planetaria del romanzo”. E, in questo momento, gli uomini sono tutti un po’ racconti: apparentemente costretti in un piccolo spazio, stanno in realtà ritrovando una libertà dimenticata, una dimensione individuale meno legata alle regole che la società e il tempo esterno imponevano.

I contenuti gratuiti di Belleville

Belleville ha pensato anche a chi non ha la possibilità economica di prendere parte alle suddette iniziative. Ad esempio le bellissime “Lezioni sullo scrivere” di Giuseppe Pontiggia, prima incluse solo nel CD allegato al libro Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere, sono oggi fruibili gratuitamente su “Belleville Online” fino al 31 maggio.

La scuola milanese organizza poi dirette gratuite con molti esponenti del panorama culturale italiano. Il 1 maggio, per esempio, la scrittrice e matematica Chiara Valerio ha tenuto un incontro intitolato Lavorare stanca, scrivere anche. I posti sono solitamente limitati, anche se la capienza è molto alta: si parla di 300-400 sedie virtuali per ogni incontro.

Belleville è adesso molto attiva anche su Facebook, che è ormai un bacino di materiale culturale che poco ha da invidiare ai luoghi più tradizionalmente ritenuti custodi del sapere, come librerie, circoli e, per l’appunto, scuole di scrittura. Scorrendo la pagina si trovano numerose presentazioni di libri, come quella di Carlo Lucarelli sulla sua ultima fatica L’inverno più nero. Un appuntamento fisso sulla piattaforma sono poi le frizzanti discussioni letterarie con i giovani del gruppo di lettura “Bestiario Letterario” della libreria Colibrì.

La Scuola Holden

Anche la Scuola Holden di Torino non ha abbandonato i suoi allievi e coloro che vorrebbero diventarlo, trasferendo online decine di corsi sui più svariati argomenti. D’altra parte, la dichiarazione fresca e intrisa di ironia che appare nella home del sito lo prometteva: “Se per un po’ non potremo incontrarci di persona, pazienza: verremo noi a casa tua e faremo lezione in streaming”.

Tra le offerte gratuite della Scuola Holden, invece, vi è Holden Classics, un progetto che prima vedeva gli scrittori bazzicare per le scuole italiane leggendo i grandi classici della letteratura. Adesso queste lezioni sono gratuite e fruibili per intero sul sito o sul canale YouTube.

Perché sì, Scuola Holden si è organizzata anche su una delle piattaforme più all’avanguardia del web. Sul loro canale YouTube, già prodigo di contenuti e al momento frequentemente aggiornato, si trovano molte lezioni e riflessioni, ma anche semplici letture ad alta voce.

Quello che non ti aspetti da una scuola di scrittura

Fiesta immobile, un’idea che il preside della Scuola Holden Alessandro Baricco ha avuto all’inizio della quarantena, è un altro sintomo della prontezza con la quale la scuola torinese sta affrontando questo difficile momento storico. Si tratta di un programma radiofonico (e podcast) durante il quale si alternano voci di scrittori e musica di vario genere. Fiesta Immobile va in onda tutte le sere, “fino alla fine di questa storia”.

Per il futuro, invece, Scuola Holden lascia tutti sulle spine. Almeno fino al 5 maggio, quando verrà annunciata una trasformazione, a loro dire radicale, della modalità Holden di fare scuola. “Non rinunciamo alla parte emozionante, umana e piena di intensità che, in passato, abbiamo messo al cuore della nostra didattica. Tuttavia, dovremo essere tutti disposti a rischiare e a trovare soluzioni sorprendenti per continuare a insegnare e a imparare insieme”. Questo si legge in un post di Facebook, pagina anch’essa traboccante di consigli di lettura, film, serie TV e album musicali.

Le scuole di scrittura romane Omero e Molly Bloom

La prima scuola di scrittura italiana, la Omero di Roma, propone iniziative simili, anche se in quantità minore. I suoi corsi continuano online in forma di web-conference. Le uniche limitazioni sono i posti (circa 15) e il prezzo che, come per tutte le scuole, risulta spesso proibitivo.

Anche Omero offre però iniziative gratuite per prendere a braccetto i suoi affezionati durante questi mesi. Sulla rivista della scuola vengono infatti pubblicati settimanalmente i racconti degli allievi su un tema prefissato. Interessante è vedere come penne diverse affrontano lo stesso argomento trovandosi in una situazione fisica e mentale, quella della quarantena, sostanzialmente simile.

Anche la pagina Facebook di Omero è prodiga di spunti culturali: citazioni, video musicali e piccole “lezioni di scrittura”, ovvero consigli e riflessioni sullo scrivere da parte di importanti autori.

“It was the best of times, It was the worst of times”

Per finire, ecco il viaggio online alla Molly Bloom, anch’essa con sede nella capitale. La scuola romana ha creato POLDO, la piattaforma con i corsi online di narrativa, poesia, saggistica, cinema, teatro ed editing.

Per quanto riguarda i contenuti gratuiti, vi sono gli articoli del blog, ma anche dei video inediti sulla pagina Facebook. Si può trovare, per esempio, la Lectio Magistralis che Edoardo Albinati ha tenuto per la scuola. Meritevole di un click è anche il video in cui il preside della scuola Leonardo Colombati si dimostra vicino ai suoi uditori durante questi tempi difficili. Colombati inizia citando Racconto di due città di Charles Dickens: “It was the best of times, It was the worst of times”, e lo commenta così: “Sono i nostri giorni peggiori. Perché diventino anche i nostri giorni migliori dipende dalla capacità che avremo di spazzare via le idee vecchie per trovarne di nuove”.

Le scuole di scrittura riempiono e arricchiscono

Durante l’incontro di Chiara Valerio per Belleville, la scrittrice dice che guardando una serie TV sente colmare un vuoto, in modo un po’ passivo (ma non necessariamente negativo), come se lei fosse una bottiglia. Quando si tratta di leggere un libro, invece, si sente una spugna, che assorbe le informazioni e, così facendo, arricchisce la sua esistenza.

Una scuola di scrittura può fare entrambe le cose: riempire il vuoto del “non saper scrivere” e, più in generale, del tempo libero. Ma entrare in una scuola di scrittura non significa soltanto approcciarsi al mero apprendimento di tecniche scrittorie. Significa entrare in un mondo più ampio, ricco di incontri, cultura e culture, storia, musica, arte. Un patrimonio di informazioni che tocca ogni nervo e che può essere quindi assorbito internamente, gonfiando e arricchendo la spugna dell’esistenza. E adesso, grazie a queste scuole virtuali, molte più persone possono rendersene conto.

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