Federica Seneghini Passaggi Festival

L’undici giugno del 1933 si disputò ufficialmente la prima partita di calcio femminile organizzata da una squadra composta interamente di donne. In piena Italia fascista Rosetta e le sue amiche, tutte ragazze tra i quindici ed i vent’ anni, si misero in testa un’idea per il tempo rivoluzionaria: perseguire il loro hobby e giocare quindi a calcio.
Ecco che dunque Rosetta e le sue amiche si contrappongono, in maniera vistosa, al prototipo della donna fascista. In un’Italia in cui già il calcio cominciava ad essere lo sport più seguito, non si accontentano più di vedere le partite e basta, ma ora vogliono proprio farne parte.

Le origini

Federina Seneghini con “Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce”, edito da Solferino, ci introduce al mondo conflittuale del calcio femminile. Durante l’incontro della Rassegna di Saggistica, l’autrice ci ha parlato delle difficoltà che ha dovuto superare per poter dare vita a questo libro. La sfida è stata dover rimettere insieme i pezzi e presto ci si è resi conto che il materiale era troppo per un solo articolo. Da qui l’idea di scrivere un libro nel quale racchiudere i tanti personaggi attorno a cui ruota la vicenda.
Di quegli anni però rimaneva solo un numero limitato di articoli e dopo quasi due mesi di assidue ricerche tramite Facebook si è finalmente arrivati a rintracciare un nipote di quell’unico giornalista che al tempo, non aveva denigrato la squadra di Rosetta ma che anzi, aveva scritto di loro positivamente.
Carlo Brighenti è dunque divenuto parte integrante della storia ed è indubbio che il suo sostegno giornalistico sia servito a promuovere e a far conoscere la squadra.

Le donne e il pallone

Tante erano le obiezioni che, soprattutto gli uomini del tempo, muovevano alle nuove giocatrici. La “preoccupazione” più grande era quella che pallonate che le ragazze ricevevano potessero mettere a rischio la loro fertilità. La donna fascista per antonomasia non poteva non avere figli, sennò che angelo del focolare sarebbe mai stata? Per questo dunque presto in porta vennero piazzati due giocatori maschi, al fine di appianare le divergenze con il resto del mondo dello sport.
Attenzione però: lo scopo di Rosetta e delle altre non era certo quello di contrapporsi al regime del Duce, quanto quello di potersi semplicemente dedicare ad un’attività per loro piacevole. A questo scopo esse introdussero infatti delle regole quali dividere la partita in due tempi di venti minuti ciascuno ed usare un pallone più leggero del normale.

Il tramonto del sogno

Il sogno delle ragazze era quello di dare vita ad una squadra il più numerosa possibile, tanto che al momento del loro massimo splendore, arrivarono a contare cinquanta giocatrici. Purtroppo però non fu loro possibile sfidare squadre di altre città poiché semplicemente non esistevano altre squadre femminili all’infuori di quella di Rosetta con base a Milano.
Quando inizialmente viene costituita la squadra al capo del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano) vi era un certo Arbinati, il quale, inaspettatamente, diede l’ok per la formazione di questa nuova squadra femminile. Successe però che quando Arbinati si ritirò arrivò Achille Starace, personaggio completamente diverse dal suo predecessore. Starace era interessato solamente a quelle attività che, nelle imminenti Olimpiadi del 36, avrebbero potuto portare lustro e gloria al regime fascista. Il calcio femminile non rientrava tra queste.
Per questo dunque, più che sciogliere direttamente la squadra, Starace con una serie di subdoli tentativi spinse Rosetta e le altre ad andarsene.

Il calcio ancora oggi

Il problema del calcio femminile di oggi è lo stesso di quello di novant’anni fa. I pregiudizi sono gli stessi. Purtroppo è difficile leggere la cronaca di una partita femminile con voti, pagelle ecc. come accade per una normale partita di calcio maschile. Spesso non si può nemmeno parlare di articoli di cronaca quanto di veri e propri “articoli di costume” che cercano di scandagliare le ragioni più profonde per cui mai una donna dovrebbe voler giocare a calcio. Non bastano passione e voglia di mettersi in gioco come motivazioni? Per quanto ancora nelle nostre menti sport come il calcio devono rimanere appannaggio esclusivo del sesso maschile? E soprattutto perché mai ancora insistiamo nel dire che esistono sport più “virili” e altri più “femminili”?

Le difficoltà del calcio femminile in Italia sono presenti soprattutto a livello pratico. Un esempio? Dopo i terribili mesi del lock-down finalmente è ripartita la tanto desiderata Serie A maschile. E quella femminile dov’è finita? Perché non è potuta ripartire?
Ci auguriamo in ultimo che il libro di Federica Seneghini possa aiutare a far comprendere e a far aprire gli occhi su una realtà come quella del mondo dello sport femminile, troppo spesso ignorata e sottovalutata.

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