di Gabriella Mignani
Sono qui, in questa strada semideserta, con una ridicola mascherina sul viso. Respiro male e il respiro mi appanna gli occhiali. Ho la mia certificazione in tasca, sempre la stessa: vado a fare la spesa. Nemmeno avessi una famiglia di quattro persone, mentre sono solo un giovane semi occupato, con uno smart working che mi impegna mezza giornata.
Oggi non devo comprare niente: ho il mio pesto in vasetto per gli spaghetti, e una scatola di tonno al naturale. Non ho un cane da portare fuori, né una donna a cui telefonare o collegarmi con Skype. Sono un uomo solo e non faccio neanche jogging: troppo faticoso. Ma voglio arrivare all’edicola, perché l’informazione è un diritto e la giornata è sfacciatamente (e inutilmente) primaverile.
Faccio il giro largo: è un reato? Passo accanto ai giardini: una fettuccia bicolore mi avverte che la zona è off-limits. Piazza Verdi è un miraggio, coi suoi archi di Buren, che oggi mi sembrano persino belli. Da un marciapiede all’altro ci contiamo e forse, attraverso le mascherine, ci scrutiamo con sospetto: chi di noi avrà eluso la quarantena? Chi di noi sarà positivo al famigerato tampone? Il virus aumenta le distanze: ho l’alibi per due genitori anziani e per un amico in crisi sentimentale. (“Sto lavorando da casa. Sapessi, com’ è faticoso…“)
Mi fermo al semaforo, inutilmente rosso.
Lei è dall’altra parte della strada: indossa una mascherina chirurgica e dei guanti azzurri, come i jeans, aderenti al punto giusto. Sopra, un giubbotto arancio, aperto tanto da far vedere la linea del collo, perfetto. I capelli, fermati da una pinza, mostrano i segni impietosi di troppi giorni senza parrucchiere. Ci guardiamo, lo so, anche se non vedo i suoi occhi. Mi fermo, non passo col verde. Lei attraverserà? E, se si, manterrà il metro di distanza? Il cuore mi batte e gli archi di Buren si confondono in un caleidoscopio di linee e colori. Non so se ha una bella bocca, ma ne intuisco il sorriso.
Sorriso di donna, nella piena maturità ma non ancora sfiorita, conscia di aver vissuto e di continuare a vivere, malgrado il virus, una vita accettabile. Avrà un compagno? In casa o in collegamento video? La borsa, grande, da spesa, fa intravedere pochi acquisti, essenziali, forse non indispensabili. Ho pochi minuti per giocare le mie carte mentali, poi il semaforo ci separerà, ineluttabilmente. Scatta il verde: lei attraversa, decisa.
Io rimango impalato, non so quanto: so che lei è la donna della mia vita, almeno di questa vita sospesa che ci è toccata in sorte. Fingo di dover attraversare dall’altra parte e mi fermo ancora, per vedere dove va, in quale condominio trascorre queste giornate lunghe e corte nello stesso modo, in quale portone infilerà la chiave da disinfettare poi con cura. Ma la sorte non mi è amica: lei svolta l’angolo e sparisce dalla mia vista e dalla mia vita. L’ edicola mi attende, con le sue locandine piene di allarme, e vuote di speranza.
Sono di nuovo a casa, a consumare un pasto solitario. Finisco in fretta: mangiare è un rito, da celebrare almeno in due, sennò è pura sopravvivenza. Accendo lo smartphone e chiamo: una videochiamata mi salverà.
“Ciao, Barbara“.
“Ciao, Enrico“.
“Non pensavo di risentirti…di rivederti così presto…”
“Ho finito di leggere quella pratica: la linea difensiva non mi convince“.
“Tanto i tribunali hanno chiuso e chissà quando riapriranno…”
“Già, chissà“.
“Il capo è riuscito a raggiungere la sua casa alla Foce: non so come c’ è riuscito, ma lui almeno è in una villa con giardino“.
La guardo: è pallida, come tutti quelli che sono in un appartamento senza terrazze, né giardino, né piscina. E’ pallida come tutte le persone sole, che stanno vivendo una quarantena senza prospettive, con brevi rimpianti alle spalle e vaghe speranze, deboli come lo spiraglio di luce che filtra dalle finestre.
Silenzio: la città è blindata. Vorrei urlare e perdermi nell’arancio di una giacca che forse non rivedrò più. E’ stata Barbara l’ultima illusione?
“Barbara?“
“Sì, Enrico“.
“Scusa se te lo dico, ma il grigio non ti dona. Sei un po’ pallida. Come tutti, del resto“.
“Hai ragione. Ma non ho molti motivi per truccarmi o vestirmi…”
“Speriamo che questa… emergenza? Non so come definirla… finisca presto“.
“Anch’io lo spero. Però, intanto, chiamiamoci. Anche se la videochiamata non è proprio il massimo…”
“Domani, sì domani ti richiamo, a quest’ora?“
“Spero non come l’ultima volta. Sì, a quest’ora va bene “.
“Barbara?”
“Sì”
“Domani sera, per favore, mettiti qualcosa di arancio. Penso che ti doni“.
Gabriella Mignani è nata a Messina nel 1952. Vive e lavora alla Spezia. E’ giornalista, scrittrice, saggista.
Ha pubblicato il libro di racconti “Effetti indesiderati” (Edizioni Cinque Terre, La Spezia ), il saggio “La Cittadella” (Edizioni Memoranda, Massa ) e la raccolta di poesie “Cambio di Stagione” (Edizioni Helicon, Arezzo – giugno 2019 ). Il tema dei rapporti di coppia è stato sempre al centro dei suoi interessi di scrittrice e di giornalista, così come il rapporto coi luoghi e l’influenza dell’ambiente.
E’ direttore responsabile della rivista ligure “Italia per Voi” .