Indice
Presso la Mediateca Montanari Memo si è svolto, oggi pomeriggio, il secondo laboratorio formativo, indirizzato a giornalisti e non, dal titolo “La Rivoluzione dei giornali – impaginazione, titoli e contenuti”. Attraverso l’analisi delle prime pagine dei giornali italiani è stata ripercorsa la storia del nostro Paese analizzando anche gli aspetti formali delle testate più importanti. Relatore del laboratorio è stato Mauro Bene: giornalista, fondatore e vice direttore de La Repubblica.
La storia del nostro Paese attraverso le pagine del Corriere
Si è partiti dalla prima pagina del primo numero del Corriere della Sera datato 1876 in cui compariva un articolo firmato da Eugenio Torelli Viollier e rivolto al pubblico che, per molti versi, veniva rappresentato da subito come un pubblico piuttosto diverso da quello odierno, definito dal Giornalista dell’epoca indifferente all’enfasi ed infastidito dalla violenza, un pubblico che pretendeva la verità. Il Corriere si definì in quel numero conservatore e moderato dichiarando apertamente di appartenere al partito di Cavour. Durante la Prima Guerra Mondiale La linea del Corriere (guidato all’epoca da Luigi Albertini) fu apertamente interventista, nelle pagine del numero alla fine della Grande Guerra, infatti, compare un accenno al numero spaventoso delle vittime del conflitto. Con l’avvento del Fascismo Albertini si oppose fermamente al Regime e venne, pertanto, immediatamente sostituito da un direttore più ossequioso.
La stampa durante il Regime fascista
Con l’avvento del Regime fascista nacque il Ministero della cultura popolare e subentrarono con esso le note di servizio, le così dette “veline” che venivano inviate dal MinCulPop ai giornali e che erano l’emblema della concezione che Mussolini aveva della stampa: una stampa libera di assecondare il Regime. Durante il laboratorio sono state lette alcune di queste note; tra le più interessanti quelle che imponevano di “non pubblicare fotografie di Carnera a terra” oppure di “Non interessarsi mai di nessuna cosa che riguardi Einstein” o anche quella che recitava “Rivedere le corrispondenze dalla Sicilia poiché non si deve sapere che il Duce ha ballato”. Molto rilevanti, per capire il patriarcato di cui era impregnata la società dell’epoca, le veline che riguardavano l’immagine della donna che era preferibile “florida e sana piuttosto che con la vita di vespa” e “con la gonna tassativamente sotto il ginocchio”. Lo stesso Corriere della Sera tenne, durante tutto il conflitto, una linea volta a negare il reale svolgimento degli ultimi anni di Guerra (negò, per esempio, fino alla fine lo sbarco in Normandia). All’improvviso, però, si trovò costretto a pubblicare la notizia dell’Armistizio sconvolgendo, così, tutto ad un tratto, i lettori italiani.
L’avvento e la storia de La Repubblica
100 anni dopo il Corriere nacque La Repubblica che rivoluzionò la stampa, innanzitutto, per il formato tabloid (in una pubblicità dell’epoca veniva definito il primo quotidiano consultabile sull’autobus). Eliminò, inoltre, la terza pagina e la cultura venne trasferita a metà: si trattava infatti di un giornale prettamente politico che curava ampiamente gli esteri e lasciava poco spazio alla cronaca e neanche una pagina allo sport. I primi due anni del quotidiano furono un disastro dal punto di vista delle vendite. Fu con il movimento del ’77 e l’occupazione delle Università, che La Repubblica riportò quotidianamente (esemplare la pagina dell’aggressione a Lama), che il quotidiano ottenne visibilità. Il successo de La Repubblica era dovuto anche al formato accattivante: fu il primo quotidiano ad usare il colore ed era quello che maggiormente veniva esposto durante le manifestazioni (emblematico di questo è stato il confronto fatto durante il laboratorio tra la prima pagina de La Repubblica sull’assassinio di Giovanni Falcone con quella del Corriere indubbiamente meno d’impatto).
Lo scandalo della Loggia P2 e la crisi dei quotidiani
Nel 1981 l’Italia fu sconvolta dallo scandalo della Loggia P2. Nelle liste scoperte c’erano centinaia di nomi e per quanto riguarda la stampa comparvero nomi di una certa rilevanza: il direttore Di Bella, l’editore Rizzoli, l’amministratore delegato ed altri giornalisti per quanto riguarda il Corriere della Sera. Il Quotidiano perse moltissimi lettori e Di Bella si dimise.
Dagli anni ’90 i giornali entrarono in profonda crisi: dal 1992 il numero delle copie vendute iniziò a calare progressivamente senza più fermarsi. Le cause furono molteplici: tra le principali la televisione (soprattutto quella commerciale di Berlusconi) ed internet.
Coll’avvento dei Social la comunicazione è profondamente cambiata: uno dei fenomeni più emblematici è indubbiamente quello delle Fake News: che possono essere pericolosi specchietti per le allodole a caccia di click a scopo puramente economico o, ancora peggio, notizie false diffuse per infangare la reputazione di avversari politici (basti pensare all’ultima campagna elettorale americana che ha visto lo staff di Trump scagliarsi più volte contro la figura di Hilary Clinton). Sono nate, infatti, delle vere e proprie agenzie di BOTNET (molte in Russia) che attraverso i BOTS (Robot che si comportano come se fossero delle persone) immettono nei social network notizie false a scopo propagandistico.
C’è ancora speranza per la carta stampata?
L’incontro si è concluso con un esempio positivo rispetto alla crisi della carta stampata: si tratta del Laboratorio giornalistico per persone con seri problemi mentali finanziato dalla Regione Lazio nel quale dei ragazzi volontari aiutano altri ragazzi con gravi problemi psichici a dare alle stampe un giornale e del quale si occupa lo stesso Mauro Bene che ha concluso l’incontro affermando:
“La carta stampata non può morire: fino a che c’è qualcuno che vuole fare giornalismo sulla carta stampata c’è speranza.”