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Ondivago, seròtino, sarabanda, nitore sono solo quattro delle 3.126 parole che Zanichelli ha voluto portare nelle piazze delle maggiori città italiane, racchiuse in un dizionario Zingarelli gigante. Il progetto si chiama #Parole da salvare ed è partito da Milano a fine settembre e terminerà a Palermo all’inizio di novembre, passando per Torino, Bologna, Firenze, Bari.
L’obiettivo è quello di salvaguardare la lingua italiana, contrastando il fenomeno dell’impoverimento lessicale e dell’utilizzo di un linguaggio povero di sinonimi ma ricco di termini imprecisi.
Un linguaggio inesatto, tempestato di neologismi stranieri
C’è una tendenza generica nella lingua italiana a “perdere le parole”. È un fenomeno sempre più diffuso e viene chiamato impoverimento del lessico. Il punto è che di alcune parole conosciamo il significato, ma tendiamo a non usarle più. Preferiamo dire “mangio di tutto” piuttosto che “sono onnivoro”. Rinunciamo quindi all’esattezza del lessico, ciò farebbe rabbrividire Italo Calvino che dell’esattezza ne aveva fatto un valore per il nuovo millennio nelle sue “Lezioni americane”.
Questo processo, che coinvolge sia la lingua scritta sia quella orale, è forse lo specchio di un tempo che ci chiede di essere veloci e facilmente comprensibili, per arrivare a un maggior numero di persone e ad un maggior numero di “Like”. Una velocità che va a discapito della qualità.
Oltre alla perdita di parole nostrane, vi è anche un boom di neologismi stranieri persino in ambiti ufficiali. Basti pensare che nel 2018 il ministero dell’Istruzione Università e Ricerca è stato bacchettato dall’Accademia della Crusca per l’uso “sovrabbondante e non di rado inutile” dell’inglese.
#Parole da salvare: un vocabolario itinerante
Di fronte ad un’epidemia che sta decimando il lessico, Zanichelli si è fatta portavoce di una missione che tenta di rianimare ben 3.126 parole andate perse o a rischio estinzione. Con l’iniziativa #Paroledasalvare Zanichelli allestisce nelle piazze delle più grandi città italiane un vocabolario tridimensionale e multimediale, lo Zingarelli 2020. In esso ci sono contrassegnate delle parole con un fiorellino ♣, che sono quelle più a rischio.
Il visitatore, passante o turista, può visionarle e prendersi cura di una di queste fotografandola, condividendola sui social o portandola con sé in formato cartolina. Dopo averne assimilato o rispolverato il significato, dovrà cercare di usarla nella vita di tutti i giorni (ovviamente nel giusto contesto). Il dizionario, situato “nell’area Z, zona a lessico illimitato”, contiene parole come: anelare, brioso, dovizioso, sfavillare, velleità, vivido, voluttà, abbindolare, recalcitrare.
Dopo l’incontro lo Zingarelli 2020 potrete rivolgervi ad una donna dicendo che sembra una “nàiade”, ovvero bella e sensuale come le Ninfe della mitologia greca. Oppure potrete accusare qualcuno di tendere a “salamelecchi”, ovvero ad atti di ossequio eccessivamente cerimoniosi e adulatori. Guardando il cielo e vedendo delle nuvole nere potrete esclamare che saranno “foriere” di tempesta e subito dopo munirvi di ombrello.
Salvare le parole e il loro valore insostituibile
È importante salvaguardare le parole perché, come spiega Zanichelli, “anche i sinonimi non ripetono il medesimo concetto, rivelando così il valore insostituibile di molte parole da salvare, per fare a meno delle quali si è costretti a usare al loro posto spiegazioni più o meno lunghe e articolate, ma anche molto meno icastiche, cioè meno espressive, meno vivide, meno precise”.
Le parole sono il costrutto base di ogni singolo pensiero e quindi la loro perdita non è gravosa per un mero discorso estetico, ma per le conseguenze legate al nostro modo di pensare e quindi di agire. Ben lo ha spiegato Giacomo Scanzi in un articolo sull’Osservatore Romano dal titolo “L’impoverimento dell’’italiano”.
“Una lingua va curata, sviluppata, arricchita, animata perché lingua e linguaggio sono innanzitutto strumenti di amore e di verità. In un mondo giovanile che ormai molto spesso è ridotto al grugnito, che si autodefinisce in linguaggi suoi propri, veloci, sintetici, simbolici, il rischio non è che non si sappia l’inglese e nemmeno che si dimentichi l’italiano; il rischio è che non si sappia più definirsi nel mondo e trovare in esso il proprio posto.”
La letteratura: un antidoto per salvare le parole
Le parole sono strettamente connesse al pensiero e quest’ultimo alla libertà. Avere padronanza lessicale e sapersi esprimere non sono qualità aggiunte di un intellettuale, ma armi che ognuno di noi dovrebbe possedere per orientarsi nella complessità del quotidiano.
Un solido aiuto contro questa epidemia del linguaggio può derivare dalla letteratura. Come scriveva Italo Calvino nella sua lezione sull’esattezza: “la letteratura è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.” Solo frequentando il più possibile questa Terra si possono apprendere nuove parole e arricchirsi di preziose risorse lessicali. D’altronde il dizionario è anche chiamato “thesaurus” perché ciò che contiene è uno dei tesori più autentici al mondo.
“Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.
Non m’interessa qui chiedermi se le origini di quest’epidemia siano da ricercare nella politica, nell’ideologia, nell’uniformità burocratica, nell’omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura. Quel che mi interessa sono le possibilità di salute. La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.”
Italo Calvino