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Si apre venerdì 18 giugno la nona edizione di Passaggi Festival. A dare il via sono i due incontri della rassegna “Buongiorno Passaggi libri a colazione”, rassegna inaugurata appena un anno fa.
Un incontro al Lido di Fano, al Bon Bon precisamente, ed uno a Bagni Torrette. Proprio a Bagni Torrette Giada Palma ha presentato il suo libro d’esordio “Donne che innovano”. Una raccolta di storie di venti giovani donne scienziate e imprenditrici, finaliste ed alcune vincitrici di un premio europeo per l’innovazione.
Una nascita improvvisata
La scrittrice veronese ci racconta di aver iniziato a concepire questo libro in piena pandemia.
“Ho guardato su internet e ho scoperto questo premio della Commissione Europea. Ho scoperto storie di imprese al femminile con un grande impatto sociale”.
Dopo aver mandato una serie di mail in cui chiedeva a queste giovani scienziate di rilasciare delle interviste, loro hanno accettato e così ha iniziato a prendere forma il suo libro.
In molti casi questa occasione di conoscenza si è tramutata in una vera e propria amicizia, Giada Palma rivedrà alcune di loro in altri festival dove sono state invitate. È venuto a crearsi un bellissimo rapporto umano a favore di questo progetto assolutamente spontaneo, nato quasi per caso da una semplice ricerca su internet.
Diversi ma anche simili
Le donne protagoniste di queste storie vengono da tutta Europa. Sono diversi i contesti politici, i tipi di impresa ed i cammini intrapresi dalle scienziate.
“Le mie storie non sono uguali, e così le donne” afferma Giada Palma. Molti però sono anche i tratti comuni, primo tra tutti il merito che esse hanno di essersi sapute ritagliare uno spazio in società spesso ostili.
“Fatico perché sono donna, non ho i capelli bianchi e non sono nemmeno molto alta”. Parole quasi scherzose ma che illustrano le difficoltà celate dietro cammini tortuosi, fatti di alti ma anche di tanti bassi.
Comuni sono anche la determinazione, l’intraprendenza, la volontà di far diventare il lavoro vita. È questo il caso di una delle protagoniste, una farmacista lituana che afferma come per lei il settore farmaceutico non sia una ragione di reddito, ma in primis una ragione di vita. L’azienda è divenuta nel suo caso un’estensione, un terzo figlio.
Il bisogno di essere liberi
La scrittrice ha voluto sottolineare la varietà delle storie che racconta perché ritiene che essa sia liberatoria. Oggi si vede nei giovani un bisogno quasi disperato di specializzazione, una necessità costante di essere sempre i migliori. Sembra quasi che non ci sia la libertà di poter cambiare, di decidere di dedicarsi ad un qualcosa che riempia la nostra psiche prima del portafogli e della mensola dove riporre i premi ottenuti. Per questo Giada ha voluto mettere in luce un aspetto tanto delicato.
L’esempio riportato è quello di Gabriella Colucci, ricercatrice italiana.
La scrittrice ci racconta che famiglia della giovane scienziata non aveva soldi per istruire tutti i figli, e così Gabriella, in quanto figlia femmina, è stata messa in disparte ed è partita con lo zaino in spalla per il Nepal. La scienziata afferma di essere diventata adulta a 45 anni, una volta andata via dal Nepal. Non devono esistere età e scadenze. Bisogna accettare le differenze senza che però ci limitino, senza il costante bisogno di dare una definizione a tutto. Ogni definizione può diventare costrittiva escludendo tutte le altre.
Un’emotività innovativa
L’innovazione è da sempre parte strutturale dell’impresa, ma ora più che mai sta radicalmente cambiando il modo di innovare. Per esempio nel dopoguerra era tutto da ricostruire e ci si concentrava principalmente sul ricostruire dalle fondamenta città distrutte. Oggi invece in una società in cui abbiamo tutto e troppo, cos’è l’innovazione? Su cosa concentrarsi e su cosa non?
Ora la dimensione è senz’altro più psicologica e di contesto, più interna. Questa è la sfida delle imprese di che stanno rinnovano l’Europa: colmare il vuoto psicologico creato da un’industria che ci circonda di tutto ma che spesso ci spoglia emotivamente. Per questo dunque L’Europa premia le imprese che si dedicano al sociale, all’emotività.
Centrali diventano la cura verso il prossimo e verso il mondo, aspetti che emergono in diverse storie.
Galit Zuckerman ad esempio è una giovane donna turca, un ingegnere informatico che si occupa di quantificare il dolore. Galit ha utilizzato le sue competenze per creare un ditale che monitora le dosi di oppiacei durante gli interventi, così da evitare che durante l’operazione il paziente si svegli ed abbia piena conoscenza del dolore fisico che sta provando.
Allo stesso modo un’altra giovane ricercatrice, Caren Dolva (di origini norvegesi) ha inventato un robottino che permette a quei bambini malati che non possono andare a scuola di partecipare alle lezioni, consente loro di essere presenti in questi piccoli contesti che li fanno sentire parte integrate della società.
Tecnologia e innovazione diventano quindi le armi di cui disponiamo per aiutare le persone più svantaggiate, per riportare l’attenzione sul tema del benessere psicologico. Dunque un utilizzo della scienza, della cultura e dello studio come ponte per estendere il nostro percorso, per arrivare lì dove non arriveremmo altrimenti, dei veri e propri “potenzianti”.