Nell’Iliade è scritto che la seduzione ruba il senno ai saggi. Essere sedotto, dunque, mi rende incapace di discernere la realtà, di distinguere il bene e il male; senza senno non saprei neppure riconoscere il ‘vero’ me stesso. Deve avere una forza terribile, la seduzione, per poter provocare tutto questo.
Il dizionario etimologico Devoto riporta che il verbo sedurre deriva dal latino ‘seducere‘, composto a sua volta dal prefisso ‘se‘ che esprime separazione e da ‘ducere‘ che significa condurre; nel latino classico, infatti, ‘seducere‘ aveva il valore -recita il vocabolario Treccani- di condurre in disparte, disunire.
Eppure, l’interpretazione più immediata che diamo del verbo ‘sedurre’ è quella di “condurre a sé”: conquisto qualcuno affinché egli o ella si avvicini a me; chi seduce lo fa per condurre a sé l’oggetto della seduzione. Sarebbe, questa, una interpretazione al positivo della seduzione, un modo per legarla all’amore eterno, all’essere amato. La seduzione, invero, non è la conquista ma la strategia per arrivare ad essa. Il piacere non consiste nel raggiungere e amare l’essere desiderato, quanto nell’atto stesso di sedurlo; e il desiderio non è amarlo, bensì piegarlo al proprio dominio.
Il seduttore per eccellenza è Giacomo Casanova, morto il 4 giugno del 1798 nel castello di Dux, in Boemia. Lui, il diplomatico, l’esteta, il filosofo; lui, il libertino, il maestro della seduzione, l’uomo che fa innamorare la nobildonna e la plebea, muore dimenticato, squattrinato, incompreso, persino sbeffeggiato dalla servitù. Il suo mondo era già finito, gran parte sedotto forzatamente da Madama la Ghigliottina: la Rivoluzione Francese abbatte quel tempo dorato in cui Casanova seduce, fugge, viaggia.
Quella intellettuale straordinaria e ben poco studiata che è stata Margherita Sarfatti – per i più, semplicemente l’ebrea amante del Duce – nel 1938, a causa delle leggi razziali fasciste, lascia l’Italia. Tornerà nel 1947 e nel 1950 pubblica, per i tipi dell’Arnoldo Mondadori Editore, un volumetto che si intitola: Casanova contro Don Giovanni.
Margherita, anche lei veneziana, scriverà che Casanova “redime la voluttà fisica” e la “glorifica in delicata commozione di anima e cuore“. Il paragone con l’altro arcifamoso seduttore, Don Giovanni, sembra insomma giocare a favore di Casanova. Non so se sia proprio così: Casanova usa ogni mezzo per sedurre, il denaro, l’inganno e perfino la violenza. Quel che c’è nella sua seduzione, forse, è la disperata volontà di vivere, un atto eroico, patentemente votato alla sconfitta, di conquistare l’immortalità conquistando il corpo della donna desiderata. George Bataille nella sua Storia dell’erotismo, scrive che “L’amore è l’approvazione della vita fin dentro la morte”: probabilmente Casanova la pensava allo stesso modo.
E l’altro, l’altro e gli altri seduttori? Il Don Giovanni di Tirso de Molina o quello dell’opera mozartiana: egli cerca la vergine, la maritata, cerca la preda che lo ecciti insomma, e spavaldamente la conquista, la possiede sessualmente, l’abbandona senza alcun rimorso. È, appunto, il dongiovanni del linguaggio comune.
Eppure, l’autentico seduttore, più del Don Giovanni e forse più di Casanova, è Johannes, il protagonista del Diario di Kierkegaard, il quale massimamente elude la conquista carnale, l’ebbrezza gioiosa e incosciente dell’atto erotico, il conteggio degli amplessi casanoviani, per godere, invece, solo dell’avvenuta caduta psicologica della donna. La seduzione per Johannes è, prima di tutto, deviare dalla realtà, altrimenti noiosa e priva di interesse. Egli non inganna solo la giovane Cordelia, ma anche se stesso. Vorrebbe essere amato al di sopra di ogni cosa al mondo, ma nello stesso istante in cui lo anela, lo rende impossibile.
Johannes ordisce scaltramente i suoi piani, perché la seduzione è una delle più grandi arti della guerra, che insegna come adattarsi alle circostanze, senza farsi scrupoli o rispettare regole, insomma à la guerre comme à la guerre. Quando il visconte di Valmont, nel libro più istruttivo per ogni aspirante seduttore, le Relazioni pericolose di Laclos, individua, quale oggetto della seduzione, la presidentessa de Tourvel -fedele al marito, profondamente devota, moralmente inattaccabile-, egli così la descrive “ecco una nemica degna di me”; non vuole, insomma, sedurla per amarla, bensì per vincerla, così come si fa coi nemici in guerra.
Ci appare, allora, in tutta evidenza il vero significato di sedurre: trarre in disparte, cioè trarre fuori dalla retta via, condurre l’altro altrove, distogliendolo dalla strada maestra (quella del bene) per fargli percorrere itinerari nascosti e deviati. La ‘seduzione’ ha un legame molto stretto con la ‘perversione’: perverso è colui che non rispetta e sovverte l’ordine stabilito. Jean Baudrillard spiega che “la seduzione è sempre riferita al male (…) non appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella dell’artificio”.
Un teologo cristiano scrisse che l’amore è esodo da se stessi per donarsi all’altro; la seduzione, al contrario, è l’esasperata ricerca del piacere-felicità individuale.
Nel Seicento, padre Paolo Segneri, nel terzo tomo delle Opere Ascetiche, partendo da San Giacomo, ragiona sul parlare e sul sedurre, in particolare sul “non raffrenare la lingua e sedurre il cuore”. Il gesuita arriva alla conclusione che “sedurre è incitare al male con finte ragioni che quello sia bene, e che non sia male“, e dettaglia ancor meglio il concetto: “E così i Religiosi si seducono prima il cuore, con persuadersi che il parlare alquanto liberamente nella tale occasione non sia mal fatto, e ciò a titolo di onesta sollevazione, che quella parola mordace non sia gran peccato“.
La parola arma la seduzione ed è arma di essa: Valmont -siamo alla lettera XXIV- si finge sedotto per sedurre, e così protesta l’innocenza e la sensibilità del suo cuore, ch’è fatto per amare, contro il cuore senza pietà della Tourvel.
L’exemplum più alto del meccanismo di seduzione appartiene al Casanova apocrifo di Arthur Schnitzler. Anziano, Casanova anela al rientro nella sua Venezia. Si ferma nella campagna mantovana, attendendo, in una villa d’amici, la concessione della grazia dal governo della Repubblica, e qui fa la conoscenza dell’affascinante Marcolina, giovane e colta studiosa di filosofia e matematica. La seduzione prevede qui la costruzione di una scena accurata: dapprima Casanova paga un oneroso debito di gioco al sottotenente Lorenzi, amante di Marcolina, e in cambio si prende il suo mantello; finge poi di partire per Venezia e invece torna indietro nella villa; si traveste col mantello del Lorenzi e con una chiave rubata entra nel giardino e quindi nella camera di Marcolina, e poi, con l’inganno della maschera, si infila nel letto della bella giovane.
L’artificio ha successo, ma termina – come ogni incantesimo – con l’arrivo della prima luce dell’aurora.
La scena si fa crudele, spietata e pietosa: Marcolina s’avvede che l’uomo con cui ha giaciuto non è il suo giovane drudo, bensì il vecchio Casanova. Marcolina è una statua, immobile ai piedi del letto, guarda fissa verso il vecchio, con vergogna e orrore.
Casanova si specchia nello sguardo della giovane, e impietosamente capisce che negli occhi della ragazza non c’è nessuna accusa d’esser libertino o canaglia o immorale o ladro; in quegli occhi, Casanova legge solo una tremenda, irrimediabile “sentenza definitiva”, quella che più gli faceva paura: vecchio.
L’inganno è parte costitutiva della seduzione. Il Tommaseo mette a confronto i verbi ‘sedurre’ e ‘ingannare’: “L’ingannatore vuol farvi cadere nel laccio, e nulla più. Seducendo s’inganna; ingannare si può senza sedurre“. La seduzione, dunque, implica sempre l’astuzia, la menzogna, la lusinga, la violenza, l’inganno. Circe, come Penelope, tesse, e, parimenti, il suo ordito serve all’inganno.
Là, a Itaca, la fedele Penelope con la tela infinita inganna i Proci e sfida il tempo nell’attesa del ritorno di Odisseo. Nell’isola di Eaa, Circe dai riccioli belli è intenta alla grande tela per trarre in inganno i compagni di Odisseo.
Circe è la summa delle arti seduttive: non solo tesse, come Penelope, ma canta soavemente, come le Sirene, e il canto e l’ordito seducono gli incauti uomini, i quali, fiduciosi nell’ospite, bevono e mangiano senza presagire la terribile sorte che toccherà loro, quella di essere mutati in porci. Il canto e la tessitura, attività domestiche muliebri, qui diventano armi di seduzione e, quindi, di inganno. Essere coraggiosi non serve, la seduzione vince allo stesso modo l’eroe e il pavido.
Anche Odisseo avrebbe lo stesso destino, se Ermes non gli donasse un antidoto, e proprio il fatto che egli sfugga alle arti magiche, sorprende e attrae Circe: lei seduttrice è ora sorpresa e tratta da pari Odisseo, l’uomo dal multiforme ingegno che ha molto a che fare con la seduzione.
Nessun altro -si stupisce la bella e tremenda dea- aveva resistito ai suoi farmaci. Se tu non sei stato stregato da essi, non puoi che essere Odisseo.
E così Circe lo accoglie nel suo letto, giura di non meditare altre azioni malvagie, libera i compagni dal sortilegio e addirittura li ringiovanisce e li rende più belli, ospita tutti con grande generosità, e infine consiglia Odisseo su cosa fare prima della partenza da Eea.
Omero non ci racconta che accadde poi a Circe. Il canto X si conclude con Circe che si nasconde agli occhi umani. Forse qualcuno potrebbe immaginarla convertita al bene e all’amore: vinta da Odisseo, Circe potrebbe davvero aver perso la sua aurea di donna-vipera per rientrare nei ranghi di donna-moglie. Oppure, partito l’eroe, Circe ordirà nuove trame e canterà nuove melodie, perché ella, dea e donna, è consapevole che la sua felicità risiede nel potere e il potere non è altro che soggiogare e la seduzione, fra tutte, è la forma di esercizio di potere più grande e devastante, poiché soggioga, non con la forza ma con l’inganno, chi già è predisposto a essere ingannato. La seduzione, come sa bene Circe, è l’abbandono totale e consapevole della vittima al suo carnefice.