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Ci sono costruzioni che segnano la storia, simboli concreti per rappresentare la solidificazione di decenni di ideologia, architetture segnanti che danno forma all’odio, alle divisioni e all’inimicizia tra i popoli. Tra queste infrastrutture, il Muro di Berlino è re incontrastato.

Per Muro di Berlino si intende comunemente tutto quel sistema di recinzione in calcestruzzo e filo spinato, sormontato da torrette di guardia alto oltre 3 metri e mezzo e lungo 156 chilometri che per 28 anni ha tagliato in due Berlino, la Germania e il mondo intero.

La conferenza di Jalta, l’inizio della fine

A pochi mesi dalla conclusione de facto del secondo conflitto mondiale, con la vittoria degli alleati che era ormai soltanto questione di tempo, i leader dei Paesi antinazisti si riunirono a Jalta, in Crimea.

Tale conferenza è spesso ricordata per essere stata l’appuntamento che ha dato avvio alla costituzione dell’ONU, eppure fu anche la sede nella quale si decise di dividere Berlino in ben 4 zone d’influenza; come a voler spartire una torta appetitosa per tutti ma troppo dolce per uno solo tra gli Stati vincitori della guerra. Unione Sovietica, Regno Unito, Francia e, naturalmente Stati Uniti d’America, avrebbero avuto giurisdizione su un settore a testa della devastata capitale tedesca. In un equilibrio piuttosto instabile si governò la città (e di conseguenza, la Germania) fino al 1948, quando la situazione s’inasprì decisamente, dando avvio ad una escalation che assunse presto le dimensioni di un domino incontrollabile, raggiungendo il culmine nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, esattamente 59 anni fa.

La cortina di ferro

L’Unione Sovietica vantava il settore più esteso, tanto che, a confronto, i settori influenzati da USA e Stati europei erano di fatto poco più che un’enclave in territorio filo-russo. Le ambizioni sovietiche sulla Germania e la sua capitale, dunque, erano molto forti. Iosif Stalin desiderava controllare l’intero Paese e non accettò mai in toto le condizioni di Jalta, avversando fin dal principio l’asse anglo-francese. Gli alleati lo avevano capito. Winston Churchill, non più Prime Minister dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 1946 – sulle quali, naturalmente, pesò come una montagna il troppo fresco ricordo del conflitto – in uno dei suoi più celebri discorsi, tenuto un anno dopo il termine del conflitto, esternò una frase entrata in ogni libro di storia: “Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il Continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa Centrale e Orientale.”

Origini del termine

L‘espressione cortina di ferro non nacque nella mente di Churchill. Prima di lui la utilizzarono Max Walter Clauss, un giornalista tedesco, sul settimanale Das Reich, la cui impostazione politica è chiara e, qualora non lo fosse, ricordiamo che vi scriveva anche Joseph Goebbels, potentissimo Ministro della Propaganda nazista e delfino del Führer und Reichskanzler, il quale fu il secondo a parlare di cortina di ferro. Secondo Goebbels, in caso di sconfitta della Germania (alla quale forse anche lui si stava già rassegnando nel febbraio 1945, quando scrisse l’articolo in questione) si sarebbe subito interposta una cortina di ferro nei territori dell’Unione Sovietica dietro la quale tener nascosto il massacro di massa comunista.

Nel luglio del 1945 lo statista tedesco Konrad Adenauer riprese il termine, parlandone anch’egli in ottica antisovietica. Nel dicembre dello stesso anno fu il direttore della CIA, Allen Dulles, a utilizzare il termine cortina di ferro in un discorso. Dulles però si riferiva solamente alla Germania e non all’intera Europa. La celebrità dell’espressione, ad ogni modo, si deve soprattutto a Churchill e al suo impareggiabile carisma. Sfortunatamente, il discusso primo ministro inglese, aveva ragione da vendere e il suo discorso non si rivelò essere soltanto retorica politica.

Il blocco della capitale

Nel corso del 1948 la tensione cominciò a farsi palpabile tra le potenze che presidiavano la Germania. L’Unione Sovietica passò il limite quando impose il blocco di Berlino, impedendo alle risorse necessarie alla popolazione per la vita quotidiana di entrare in città. L’asse anglo – francese, allora, rispose attuando un ponte aereo per rifornire la città di generi di prima necessità. Fu il punto di rottura, l’inizio di uno strappo che avrebbe caratterizzato brutalmente i seguenti decenni europei.

Nel corso degli anni ’40 non esistevano grosse restrizioni per chi volesse spostarsi da un’area all’altra della capitale tedesca, si poteva circolare liberamente in ogni settore. L’escalation della Guerra Fredda, però, portò alla chiusura del confine tra Germania Est e Germania Ovest, nel 1952. A seguito di questa decisione, la porzione occidentale si fece via via più attraente per chi viveva nella sfera d’influenza sovietica. Nei 12 anni compresi tra il 1949 e il 1961 furono 2,6 milioni i tedeschi dell’Est che migrarono ad Ovest. Per fermare questo esodo, la Germania Est prese una decisione drastica.

Il muro di Berlino

Come anticipato, fu nella notte tra 12 e 13 agosto 1961 che il regime di Stalin cominciò ad isolarsi dai settori occidentali. Dapprima si trattò di blande recinzioni in filo spinato. Già a partire dal 15 agosto, però, si integrarono elementi in cemento prefabbricato e blocchi di pietra. La base del Muro di Berlino era pronta. Esso giunse a racchiudere completamente i settori occidentali in una sorta di penisola, la quale comunicava con il resto della Germania Ovest tramite uno stretto collegamento, poiché la sfera d’influenza sovietica non circondava completamente i settori controllati dagli anglo – francesi.

Il problema orientale era proprio quel tratto di comunicazione con l’Occidente. Finché fu concessa libertà di circolazione la DDR (Deutsche Demokratische Republik, Germania Est) vide un esodo massiccio di lavoratori specializzati – i quali volevano massimizzare le loro competenze nel mercato capitalista occidentale, ove si prospettava un futuro migliore – e una lunga serie di diserzioni dall’esercito filo-sovietico.

Tutto questo avvenne a pochi mesi dalla celeberrima, probabilmente suo malgrado, dichiarazione di Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, l’organo di potere di Stalin in terra tedesca. Nel giugno 1961, Ulbricht dichiarò: “Qui nessuno ha intenzione di costruire un muro.” La storia lo smentì in maniera netta poco dopo.

Le conseguenze

Innalzare il Muro di Berlino fu il più grave errore politico commesso nella storia dell’URSS. Da questo punto di vista la decisione si trasformò in un disastro completo non solo per la Germania orientale ma per l’intero blocco comunista.

Ora il mondo aveva una testimonianza di 156 per 3,5 metri della tirannia di Stalin e anche il più convinto degli occidentali filocomunisti non poteva che esprimere il suo sdegno di fronte alle uccisioni deliberate – spesso e volentieri sotto gli occhi dei media – di chi provava a fuggire dalla DDR per inseguire un futuro migliore da questa parte del Muro di Berlino.

Non paghi, i sovietici resero la barriera regolarmente più rischiosa e difficile da valicare nel corso degli anni successivi  al 1961. Il fondo fu toccato con l’innalzamento di un secondo muro, all’interno della frontiera orientale, creando così l’infame striscia della morte, una zona scoperta e facilmente controllabile tra le due barriere.

L’infrastruttura della morte

Nel 1975 il Muro  di Berlino si mostrava con il suo volto peggiore. Alte recinzioni, un fossato anticarro lungo oltre 105 chilometri, più di 30 torrette militari presidiate notte e giorno da cecchini armati, 20 bunker e una strada di pattugliamento continuamente percorsa da guardie di frontiera lunga più di 175 chilometri; era ormai chiaro a chiunque che il Muro di Berlino non era affatto la protezione antifascista battezzata da Stalin. Il leader comunista e i suoi successori, tanto il reggente Malenkov – al potere soltanto per 8 giorni dopo la morte del tirannico capo di Stato – quanto gli architetti dell’URSS, Nikita Chruscëv e Leonid Breznev, insisterono sul fatto che la barriera fosse necessaria per tutelare le repubbliche socialiste sovietiche da invasioni occidentali. La realtà era ben diversa.

Superare il muro di Berlino

Durante i decenni in cui la barriera restò eretta i tentativi di fuga furono 5mila. Nulla rispetto alle cifre dell’esodo precedenti al 1961. I fuggiaschi uccisi dalle guardie di confine furono oltre 200 (le cifre oscillano tra 190 e 240). Si tentava a fuggire in ogni modo: qualcuno provava a passare sotto le barricate alla guida di un’auto sportiva molto bassa, possibile fino a quando il muro non fu completamente fortificato; altri si gettavano nel vuoto da un balcone sul confine, sperando di riuscire ad atterrare dalla parte giusta; chi poteva si attrezzava con aerei ultraleggeri mentre chi non possedeva i mezzi ideava gallerie sotterranee o si affidava al rischiosissimo metodo di scivolamento tra i cavi elettrici, passando di pilone in pilone.

Morire per un sogno

Tra i morti del Muro prevalgono i giovani e gli uomini ma vi sono anche casi particolari, come quello dell’ottantenne Olga Segler, ed episodi particolarmente disgustosi come quello di Marienetta Jirkowsky, uccisa nel 1980 con 27 colpi d’arma da fuoco, a 18 anni, o quello di Peter Fechter, il quale venne ferito dalle munizioni dei cecchini nel 1962 e fu lasciato morire, dissanguato, nella striscia della morte sotto l’occhio dei media della Bundesrepublik occidentale. Vi sono molti altri esempi simili a questi rintracciabili tra le pagine della triste storia del Muro di Berlino, persone che hanno tentato di inseguire la libertà e delle quali ora resta soltanto una lapide commemorativa, all’ombra della Porta di Brandeburgo.

Come scrisse il romanziere russo Viktor Suvorov nel suo L’ombra della vittoria: “Tanto più lavoro, ingegnosità, denaro e acciaio i comunisti mettevano per migliorare il muro, più chiaro diventava un concetto: gli esseri umani possono essere mantenuti in una società comunista solo con costruzioni impenetrabili, filo spinato, cani e spari alle spalle. Il muro significava che il sistema costruito dai comunisti non attraeva ma repelleva.”

La caduta

Nel corso degli anni ’80 il declino dell’URSS cominciò a farsi inarrestabile. I costi della vita tra Berlino Ovest e Berlino Est erano separati da un abisso e lo stesso valeva per le opportunità dei cittadini. Il governo della Germania Est veniva continuamente contestato; Austria e Ungheria, Stati orgogliosi, storici custodi di uno dei maggiori imperi degli ultimi secoli, rimossero ogni restrizione al confine, consentendo, di fatto, la fuga ai cittadini della DDR; Erich Honecker, leader della Germania Est si dimise il 18 ottobre 1989, lasciandosi alle spalle uno Stato moribondo e un’affermazione consegnata agli annali, quella fatta nel gennaio dello stesso anno: “Vi assicuro che il Muro resisterà per altri 100 anni.”

Il 9 novembre del 1989 furono ufficialmente autorizzate le visite a Berlino Ovest e nella Germania occidentale. Nel giro di poche ore, in un’atmosfera festosa, moltissimi cittadini di Berlino Est scavalcarono il Muro. In un atto di liberazione e partecipazione collettiva come pochi altri nella storia recente, durante le settimane successive, la barriera fu abbattuta a colpi di badile, piccone e persino a mani nude dai berlinesi, fino a quando non venne smantellata utilizzando apparati industriali, i quali seppellirono la forma del Muro di Berlino ma non la sua storia. La caduta del Muro di Berlino aprì la strada alla riunificazione delle due Germanie, conclusasi il 3 ottobre del 1990.

Il 9 novembre è festa nazionale in Germania e nel nostro Paese è stato dichiarato dal parlamento Giorno della Libertà.

Per approfondire: consigli di lettura

Il Muro di Berlino ha una storia molto più ampia di quella che si può sviscerare in un articolo, anche se corposo come questo. L’importanza della barriera nella storia europea e mondiale è immensa e il suo ruolo pivotale durante i difficili anni della Guerra Fredda è indubbio. Approfondirla potrebbe colmare alcune lacune e, soprattutto, aprirci gli occhi su una situazione che sembra riaffacciarsi alla finestra del nostro tempo, con schermaglie verbali sempre più ripetute tra USA e Cina, le due tigri più feroci nella giungla dell’economia contemporanea. Di seguito, si possono trovare alcuni titoli che si occupano della tematica:

  • Quei giorni a Berlino. Il crollo del Muro, l’agonia della Germania Est, il sogno della riunificazione: diario di una stagione che ha cambiato l’Europa, di Lilli Gruber e Paolo Borella, edizioni Rai Libri, 1990.
  • La Germania divisadi Fabio Bertini e Antonio MissiroliGiunti Editore, 1994
  • Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlinodi Gianluca Falanga, editore Carocci, 2009
  • Chi ha costruito il Muro di Berlino? Dalla Guerra Fredda alla nascita della bomba atomica sovietica, i segreti della storia più recentedi Giulietto ChiesaUno Editori, 2019

 

 


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