Diario | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Sun, 24 Jan 2021 20:12:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8 https://2021.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Diario | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ 32 32 Passaggi Digitali e la Giornata della Memoria: conversazione con Andrea Barzini e Marino Sinibaldi https://2021.passaggifestival.it/giornata-memoria-2021-fratello-minore-barzini-sinibaldi/ Sun, 24 Jan 2021 19:49:37 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=77133 Nei giorni in cui si susseguono iniziative per ricordare la Shoah, giovedì 28 gennaio, alle ore 18.30, presentazione in diretta Facebook del libro "Il fratello minore. Il mistero di Ettore Barzini ucciso a Mauthausen” (Solferino Libri)

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Giornata memoria 2021 Il fratello minore Copertina Barzini

Giornata memoria 2021: giovedì 28 gennaio in diretta Facebook presentazione del libro “Il fratello minore- Il mistero di Ettore Barzini ucciso a Mauthausen”

Cammina, la storia, a piccoli passi che si sommano e si confondono in trame intricate e spesso difficili da sbrogliare. La storia di una famiglia eccentrica, di anime da strecciare e di scelte tanto differenti da sembrare, a volte, persino estranee tra loro, è la storia di ‘Il fratello minore. Il mistero di Ettore Barzini ucciso a Mauthausen”, scritto da Andrea Barzini e pubblicato da Solferino Libri.

Una storia che si costruisce mattone su mattone, come un’indagine, una ricerca indispensabile tra gli scaffali della memoria, a ripescare l’origine del presente, che senza quella memoria, in fondo, non si risolve, e fatica ad anche ad accettarsi. Un saggio che si fonda su un’attenta ricostruzione dei fatti e dei tempi ed un romanzo, come scrive Paolo Mieli nella prefazione, “coraggiosamente introspettivo opera di uno scrittore che ha saputo addentrarsi nei meandri più segreti di una tra le più conosciute famiglie italiane. La sua”.

Tutto parte da una domanda: che fine ha fatto Ettore Barzini, lo zio Ettore, figlio del celebre giornalista Luigi Senior e fratello di un’altra importante firma della carta stampata, Luigi Junior? E perché in famiglia nessuno ricorda la sua morte nel campo di concentramento di Mauthausen? Nel far luce sul mistero di un uomo, Andrea Barzini rischiara anche le ombre della storia e ripercorrendo le proprie vicende personali, ricostruisce il passato della propria famiglia ed un capitolo di storia italiana.

Ed in questo viaggio si sovrappongono padri e fratelli, grandi personalità e scelte difficili, politica, fascismo, ricerca della libertà e della giustizia, sacrificio, capacità ed incapacità di comunicare: due tra i più grandi giornalisti italiani del Novecento, il primo, Barzini Senior, vicino a Mussolini che seguì nell’avventura della Repubblica sociale italiana, divenendo anche direttore dell’Agenzia Stefani e che poi, a causa di quella scelta, perse tutto dalla possibilità di fare il giornalista, fino alla sua stessa vita, che si tolse, suicida, nel 1947.

Il secondo, autore di importanti reportage dall’estero e di celebri interviste, uomo, giornalista, scrittore di grande successo ed anticomunista convinto. E poi Ettore, cresciuto tra Italia, America e Somalia, agronomo e spirito differente, sognatore e ‘Don Chischotte’ come lo chiamavano in famiglia, lontano dagli altri due nelle scelte politiche e di vita, eppure destinato ad essere figura più che presente, a loro accomunato oltre che dal sangue e dall’affetto, dalla guerra e dalle sue tragiche, inevitabili conseguenze.

Chi è Andrea Barzini

Andrea Barzini, che oltre che scrittore è regista, sceneggiatore, documentarista –tra i suoi film Desiderando Giulia con Johan Leysen, Italia Germania 4-3, Volevamo essere gli U2 e in tv, tra le altre, le serie Chiara e gli altri, Don Matteo, Capri- ci accompagna in questo viaggio con una scrittura scorrevole e leggera, sincera ed ironica, come è bene che siano i viaggi nei ricordi.

Giornata Memoria 2021: Passaggi Digitali con Marino Sinibaldi e Andrea Barzini

In occasione delle iniziative della Giornata Memoria 2021 che in questi giorni ricordano la Shoah, Passaggi Digitali propone l’incontro con l’autore Andrea Barzini che converserà sul suo libro “Il fratello minore” con Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3.

Appuntamento giovedì 28 gennaio alle 18,30 in diretta Facebook sulla pagine di Passaggi Festival, Solferino Libri, Visit Fano e Librerie.Coop per il primo di una nuova serie di appuntamenti di Passaggi Digitali.

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Marino Sinibaldi alla presidenza del Centro per il libro: le congratulazioni di Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/sinibaldi-presidente-centro-libro-lettura-cepell/ Sat, 09 Jan 2021 18:54:07 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=77089 Il direttore di Radio 3 e membro del comitato scientifico di Passaggi Festival, nominato presidente del Cepell dal ministro della Cultura Dario Franceschini.

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Marino Sinibaldi e Piero Angela a Passaggi Festival Fano (Foto Passaggi Festival)

Marino Sinibaldi e Piero Angela a Passaggi Festival Fano (Foto Lallo Cupparoni)

 

Passaggi Festival si complimenta con il direttore di Rai Radio 3 Marino Sinibaldi per la sua nomina a presidente del Centro per il Libro e la Lettura (Cepell). Un riconoscimento prestigioso alla professionalità e alla competenza di Sinibaldi, giornalista, critico letterario, autore e conduttore radiofonico e alla sua capacità di veicolare il libro, il sapere e la conoscenza, attraverso un mezzo così ‘quotidiano’ e vicino alle persone come la radio, mantenendo inalterate qualità e valore del messaggio culturale.

L’ingresso nel 2018 di Marino Sinibaldi nel comitato scientifico di Passaggi Festival –afferma il direttore della manifestazione Giovanni Belfiori- ha impresso ulteriore pregio e autorevolezza a Passaggi, che individua in lui un punto di riferimento fondamentale. Con Sinibaldi stiamo anche lavorando a una nuova rassegna che sarà presentata proprio quest’anno, nella nona edizione di Passaggi Festival in programma a Fano dal 21 al 27 giugno”.

Marino Sinibaldi –aggiunge Belfiori- è uno degli intellettuali più interessanti che abbiamo in Italia. Il suo lavoro alla direzione di Radio3 ha prodotto risultati miracolosi: il primo è quello di aver creato una radio colta e popolare allo stesso tempo, in grado di arrivare ad un pubblico molto ampio, senza cedere nulla in termini di qualità. Senza dubbio farà un ottimo lavoro anche alla guida del Cepell, istituto al quale chi opera nel settore degli eventi culturali guarda con attenzione e con grandi aspettative”.

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Passaggi di Natale 2020: aspettando il Festival tra l’infinito e il provvisorio https://2021.passaggifestival.it/passaggi-natale-andrea-marcolongo-sinibaldi/ Fri, 18 Dec 2020 16:08:06 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=76880 Andrea Marcolongo e Marino Sinibaldi conversano sul tema dell'edizione 2021. Al centro anche il mito dell'eroe greco tra sconfitta e ripartenza.

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Andrea Marcolongo

Andrea Marcolongo e Marino Sinibaldi in diretta Facebook martedì 22 dicembre alle 19

‘D’infinito e provvisorio’ è il tema dell’edizione 2021 di Passaggi Festival. A presentarlo, anticipandone l’ispirazione, i rimandi e i contenuti, sarà l’appuntamento di Passaggi di Natale 2020, quest’anno esclusivamente on line viste le restrizioni legate all’emergenza sanitaria, in programma martedì 22 dicembre alle ore 19 in diretta Facebook dalle pagine di Passaggi Festival e della Casa Editrice Laterza.
Ospiti dell’incontro saranno Andrea Marcolongo autrice di best seller dedicati alla lingua e alla letteratura greca, già tradotta in ventotto paesi, e Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio Tre, giornalista e critico letterario. Presenta e modera l’incontro il direttore di Passaggi Festival Giovanni Belfiori.

Enea: l’ ‘antieroe’ necessario in tempi di burrasca

Al centro della conversazione sarà anche l’ultimo libro di Andrea Marcolongo ‘La lezione di Enea’ (Editori Laterza), un saggio incentrato sulla figura dell’eroe –o antieroe- cantato da Virgilio, perfetto per i periodi di burrasca, quando tutto va rimesso in discussione e si è costretti a fare i conti con la sconfitta e con la ripartenza. Un libro che disegna il profilo di Enea come dell’uomo che sempre spera e resiste, continuamente alla ricerca di un nuovo inizio e di una terra promessa in cui ricominciare. Un personaggio, quindi quanto mai attuale e forse, in questo momento, ancor più familiare e necessario, proprio per la sua umanità e per la capacità di tradurre in azione ed in reazione tutti gli inciampi, quelli enormi della storia, ma anche quelli più piccoli che riguardano la vita di ciascuno di noi.

I libri di Andrea Marcolongo

Tra i titoli più noti di Andrea Marcolongo ricordiamo ‘La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco’ (Laterza) e ‘La misura eroica’ (Mondadori) con i quali la scrittrice ha portato nel mondo i miti di una civiltà luminosa e la magia del greco antico, lingua che legge e racconta la realtà in un modo unico e speciale.

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C’è un libro per te: l’iniziativa delle librerie.coop da casa e in libreria https://2021.passaggifestival.it/librerie-coop-libro/ Mon, 23 Nov 2020 00:50:40 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=76463 Una formula innovativa per mantenere le librerie vive e i librai al centro della relazione con i lettori, puntando a sostenibilità e personalizzazione. La catena indipendente aderisce anche alla campagna di Aie per anticipare gli acquisti di Natale in libreria.

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Ce un libro per te Librerie Coop

Difendere ed esaltare il legame con i lettori e il ruolo delle librerie fisiche – gli unici spazi culturali ancora aperti nel contrasto alla pandemia – e continuare a promuovere il libro e la sua fruizione per tutti, con strumenti e canali innovativi, anche on line. È la sfida di librerie.coop per la fine del 2020, anno di enormi cambiamenti per il mondo delle librerie italiane: prima chiuse per mesi, poi pioniere della riapertura alla vendita nella fase due, adesso considerate tra i negozi essenziali nell’Italia divisa in zone, ma soggette ad alcune chiusure nel fine settimana.

Per questo la catena di librerie indipendenti – non collegate, cioè, ad alcun editore – lancia “C’è un libro per te”: un bouquet di servizi da utilizzare da casa, on line, e in libreria, a partire dalla prenotazione e vendita sul sito www.librerie.coop.it, per acquistare e regalare libri, con recapito a domicilio in tutta Italia, anche dove non sono presenti le librerie fisiche dell’insegna. Queste fungeranno comunque da basi logistiche per le consegne, secondo un modello di e-commerce innovativo: ogni libreria e i suoi librai assicureranno così un servizio utile in più ai lettori, soprattutto in vista dei giorni clou delle festività natalizie, rispondendo alla tendenza ormai consolidata ad acquistare on line.
Librerie.coop aderisce in questo modo anche alla campagna lanciata dall’Aie (Associazione Italiana Editori) che invita i lettori ad anticipare già a novembre gli acquisti di Natale, per evitare code e sostenere l’attività delle librerie.

Bencivenni: “Acquisti in sicurezza on-line e le librerie restano luoghi essenziali”

“C’è un libro per te – spiega la presidente di librerie.coop, Nicoletta Bencivenni – nasce per rispondere alla necessità contingente di sicurezza e servizio da parte di chi frequenta le nostre librerie, ma anche al desiderio di tanti soci Coop e clienti che non hanno una libreria Coop vicino a casa”. I soci Coop rappresentano circa la metà dei clienti di librerie.coop, di proprietà di Coop Alleanza 3.0. In collaborazione con quest’ultima e con Coop Italia i soci Coop godranno in fase di lancio di “C’è un libro per te” di omaggi riservati, e acquistando on line potranno accumulare punti per il collezionamento.

“Inoltre – aggiunge Bencivenni – vogliamo offrire una valida alternativa a chi non vuole rivolgersi alle grandi piattaforme di e-commerce on line, che erodono il tessuto delle librerie italiane. Le librerie fisiche restano luoghi vivi ed essenziali per le comunità, puntiamo a un modo nuovo di offrire anche sul web le competenze insostituibili dei librai, mantenendole al centro della relazione con i lettori”. Ora la grande scommessa sarà il Natale, quando probabilmente sarà più difficile preservare le vendite delle librerie fisiche: anche se resteranno aperte, nei prossimi mesi è presumibile che le persone saranno ancora molto prudenti e si affideranno in modo stabile agli acquisti on line.

I nuovi servizi, da casa e in libreria

I nuovi servizi digitali di “C’è un libro per te” prevedono la possibilità di prenotare i libri sul sito www.librerie.coop.it e scegliere se ritirarli di persona, in libreria, o farseli consegnare direttamente a casa. Anche il pagamento potrà avvenire on line o in libreria. Per chi sceglie di ricevere i libri a domicilio, la consegna è gratuita per spese superiori ai 25 euro; allo stesso modo i volumi acquistati possono essere recapitati anche ad altri, in regalo. Per chi vuole fare un dono speciale, c’è il servizio Regalibro: il libro con dedica personale, da firmare a mano e spedire direttamente dalla libreria dove si acquista.

“C’è un libro per te” comprende anche ulteriori innovazioni improntate a sostenibilità e personalizzazione, come la eco-card di librerie.coop in Bio-pvc, materiale ecologico e biodegradabile; gratuita e priva di scadenza, permette di raccogliere punti ad ogni acquisto e usufruire degli sconti per chi non è socio Coop.

Tra le opportunità per tutti i lettori ci sono anche la Newsletter dei librai (ogni settimana via mail le novità, i consigli dei librai, le promozioni e gli incontri con gli autori); la Gift card (la carta prepagata da regalare, per diversi importi, per fare acquisti di tutti i prodotti presenti nelle librerie.coop) e la Ebookpass (tessera per l’acquisto di ebook sul sito delle librerie e da regalare a chi ama i libri digitali); la Lista regalo (per farsi regalare i libri preferiti in tutte le occasioni come ricorrenze, nozze, feste di laurea, compleanni, anniversari), i Bombolibri (per scegliere i titoli giusti come bomboniera nelle occasioni speciali), e Sulle tracce del libro (la ricerca personalizzata di libri introvabili, esauriti e fuori catalogo).
Oltre alle prenotazioni e gli acquisti on line, continueranno a viaggiare sul web le presentazioni di libri dalle pagine Facebook della catena di librerie a marchio Coop.

L’andamento delle Librerie.Coop e gli effetti del lockdown

Oggi le librerie.coop gestiscono una rete di 31 librerie collocate sia nei centri cittadini, tra le quali alcune importanti librerie storiche, sia nei centri commerciali. A queste si affiancano i 6 corner libreria in collaborazione con Eataly, 43 spazi «Libri scelti per voi da librerie.coop» negli ipercoop di tutta Italia e le librerie temporanee a servizio dei maggiori festival letterari e culturali italiani. Una formula di distribuzione indipendente e originale, che si è ulteriormente evoluta, anche on line, durante il lockdown.

Già prima della pandemia, il mercato del libro del libro nel nostro Paese era molto contenuto e l’attività delle librerie particolarmente difficile. “Nel 2020, in controtendenza rispetto al mercato, abbiamo continuato a investire e qualificare la rete delle librerie fisiche – sottolinea la presidente Nicoletta Bencivenni –- con l’acquisizione della storica libreria All’Arco di Reggio Emilia, tra le più belle in Italia, e il trasferimento in pieno centro della libreria.coop di Piombino”. Una scelta che ha assicurato fino a metà ottobre una tenuta relativa delle vendite (cresciute in valore assoluto sullo stesso periodo dell’anno precedente, ma in calo di circa il 5% a rete omogenea).

Oltre ai due mesi di chiusura (marzo ed aprile), hanno inciso in negativo sulle vendite di libri l’assenza di turisti e studenti nei centri storici e dalle località di vacanza, e le forti limitazioni agli eventi letterari e ai festival culturali. Da qualche settimana, le nuove restrizioni alla mobilità per ragioni sanitarie stanno ulteriormente penalizzando i risultati.

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Unica necessità il superfluo: chi era Oscar Wilde? https://2021.passaggifestival.it/unica-necessita-il-superfluo-chi-era-oscar-wilde/ Fri, 16 Oct 2020 08:45:44 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75771 Era il 16 ottobre del 1854 quando, a Dublino, nasceva Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, che sarebbe diventato celebre in tutto il mondo solo con il suo primo nome. Nei 46 anni della sua vita – morì nel 1900 a Parigi – fu uno dei più noti poeti e sceneggiatori teatrali al mondo. Nascita ed […]

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Era il 16 ottobre del 1854 quando, a Dublino, nasceva Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, che sarebbe diventato celebre in tutto il mondo solo con il suo primo nome. Nei 46 anni della sua vita – morì nel 1900 a Parigi – fu uno dei più noti poeti e sceneggiatori teatrali al mondo.

Nascita ed istruzione

Oscar Wilde nacque al 21 di Westland Row, luogo che oggi è sede dell’Oscar Wilde Centre di Dublino, proprietà del Trinity College. Nato e cresciuto in un ambiente culturalmente e artisticamente elevato – nella dimora di famiglia busti e dipinti neoclassici, di chiara ispirazione greca e romana, spuntavano come funghi – Wilde si avvicina al nazionalismo irlandese e scrive le sue prime opere, con lo pseudonimo Speranza – utilizzando proprio il vocabolo italiano – per i filo-rivoluzionari Giovani Irlandesi (The Young Irelanders), un gruppo di indipendentisti dublinesi nato nel 1848.

Fino all’età di 9 anni, Oscar Wilde fu educato in casa. Dopodiché venne iscritto alla Portora Royal School, ove cominciò a far parlare di sé per la sua intelligenza e brillantezza. La sua abilità nella lettura rapida lo rendeva capace di leggere fino a due pagine contemporaneamente o quasi e terminare un libro lungo tre volumi in poco più di mezz’ora, immagazzinando abbastanza informazioni per dare una sintesi di massima della trama. A scuola era bravissimo, soprattutto nelle materie umanistiche, in particolare in greco e latino.

All’università studiò prima al Trinity College, ove primeggiò in ogni materia, e poi, dopo aver vinto una borsa di studio, al Magdalen College di Oxford, in Inghilterra. Fu durante questo periodo che si avvicinò all’estetismo e al decadentismo. Terminati gli studi, dopo alcuni anni alla ricerca di sé, Wilde si trasferì definitivamente a Londra.

La vita a Londra

Grazie al successo della Duchessa di Padova, Oscar Wilde riuscì a disporre di una cospicua somma di sterline. Forte di questi guadagni, cominciò a frequentare i salotti culturali parigini. Nel 1881, nella capitale britannica, conobbe Constance Lloyd, figlia di Horace, membro del Consiglio della Regina Vittoria. I due si sposarono nel 1884 presso la chiesa di Saint James. Dalla loro unione nasceranno due figli e una dimora dallo stile impeccabile ma quantomeno stravagante, dato l’amore di entrambi i coniugi per il lusso e l’opulenza. Nonostante Constance ricevesse annualmente una somma cospicua da parte dei familiari – parliamo di 250 sterline, che ai giorni d’oggi corrisponderebbero a circa 27mila £ annuali – e Oscar guadagnasse bene, i due finivano per trovarsi sovente in ristrettezza economica, a causa delle loro spese sfrenate.

Già a partire dal 1886, quando il suo matrimonio non aveva che due anni di vita, Oscar Wilde cominciò a sentirsi attratto dagli uomini. L’Inghilterra vittoriana ripudiava l’omosessualità, eppure Wilde parlava con libertà dell’amore tra persone dello stesso sesso. In fin dei conti era un grande amante della cultura greca e la sua stima per il giornalista e critico d’arte canadese, Robert Ross, era sotto gli occhi di chiunque frequentasse gli ambienti culturali londinesi di fine ‘800.

In seguito alla nascita della secondogenita Vyvyan Wilde, il fisico di Constance restò debilitato, provato e l’esteta in suo marito ne rimase profondamente turbato. Dalla nascita della figlia in poi, Oscar Wilde non sarebbe più stato sessualmente attratto da sua moglie. Secondo il critico e saggista Daniel Mendelsohn, profondo conoscitore dell’autore irlandese, “il matrimonio di Oscar Wilde iniziò a sfasciarsi dopo la seconda gravidanza, che lo portò a provare una repulsione fisica verso sua moglie”.

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Oscar Wilde nella sua foto più famosa.

Guai giudiziari

Le relazioni omosessuali di Oscar Wilde si susseguirono negli anni successivi alla nascita di Vyvyan. Uno dei suoi amanti, Lord Alfred Douglas, era figlio del marchese Queensberry, l’inventore del pugilato moderno. Il marchese non aveva alcuna intenzione di supportare – o sopportare se è per questo – una simile relazione. Tra il nobile e l’autore si aprì una veemente faida.

Sintetizzando la vicenda, tutto iniziò quando Queensberry accusò Wilde di sodomia e l’autore lo denunciò per diffamazione. In seguito a questo sviluppo, il marchese assunse dei detective privati, incaricandoli di pedinare lo scrittore e dimostrare che non aveva diffamato, in quanto si era limitato a constatare il vero. Gli investigatori aprirono il proverbiale Vaso di Pandora sulla vita di Oscar Wilde. Essi registrarono le sue frequentazioni di bordelli per omosessuali, i suoi incontri con prostitute di sesso maschile, uomini vestiti da donna e altri professionisti nel mercato del sesso a pagamento interno al sottobosco della Londra vittoriana. All’epoca si poteva finire in manette per simili passatempi ed è esattamente quel che avvenne.

Oscar Wilde in carcere

Il vincitore dello screzio fu innegabilmente Queensberry. Il marchese riuscì a provare che non aveva diffamato, in quanto aveva detto il vero. Dunque Wilde si vide costretto a pagare le spese processuali. In seguito a ciò, restò senza il becco di un quattrino, come si suol dire ma non mutò le sue abitudini. L’autore non fece neppure in tempo a prendere atto dell’esito del processo che venne raggiunto dalla notifica di accusa di sodomia ed indecenza. Oscar Wilde si rifiutò di lasciare Londra per rifugiarsi in Francia – come invece fecero i suoi amanti Douglas e Reginald Turner – e andò a processo di fronte ad una corte inglese. L’amore che non osa The Love that dare not speak its Name, per usare le celeberrime parole di Lord Alfred Douglas, tuttora utilizzate come metafora per l’amore omosessuale – costò a Oscar Wilde due anni di lavori forzati.

Scontò la sua pena prima alla prigione di Newgate e poi a Pentonville. Infine fu trasferito a Wandsworth. Durante i lavori forzati Wilde, tutt’altro che abituato a fare sforzi fisici e piuttosto cagionevole di salute, collassò a terra infortunandosi gravemente. Fu costretto a trascorrere due mesi in infermeria, anche a seguito della lacerazione del timpano destro. Tale infortunio fu una delle cause della sua morte.

Il declino e la morte

Lo scrittore fu liberato nel 1897, dalla prigione di Reading Gaol, dove trascorse l’ultima porzione della sua prigionia. La sera del 19 maggio, giorno della sua liberazione, salperà per Dieppe, in Francia. Non rientrerà mai più nel Regno Unito.

Nei suoi ultimi anni Wilde si farà chiamare Sebastian Melmoth – dai nomi di San Sebastiano e Melmoth l’errante, il protagonista di un racconto gotico scritto da suo zio Charles Maturin – e condurrà una vita segnata dall’esperienza in carcere, che aveva chiesto il suo obolo alla salute dell’autore, e dalla povertà in seguito alle esose spese processuali che fu costretto a pagare. In questo periodo continuò a scrivere ma non si segnalano opere particolarmente significative. Lo stesso Wilde scriverà al suo editore: “Sono in grado di scrivere ma ho perso la gioia nel farlo.”

Gli affetti Douglas e Ross lo accompagneranno durante i suoi ultimi anni, con il canadese che gli starà vicino fino alla fine. Nel novembre dell’anno 1900 i medici diagnosticarono all’autore irlandese una meningite cerebrale. Il 30 novembre morì presso l’Hotel d’Alsace, a Saint-Germain-des-Prés, ove si era trasferito per l’ultimo periodo della sua vita. Le cause della meningite non sono mai state chiarite: qualcuno incolpa la sifilide, qualcuno un intervento chirurgico mal riuscito, altri ancora – tra cui il medico curante – dicono che dipese dalla suppurazione del suo orecchio destro, quello che si infettò in carcere.

Il perdono postumo

Nel 1967 l’Inghilterra e il Galles hanno depenalizzato l’omosessualità.  Con il Policing and Crime Act del 2017, il Regno Unito ha ufficialmente perdonato circa 50.000 persona accusate nel passato di comportamenti indecenti a causa della propria sessualità. Tra questi figura anche il nome di Oscar Wilde. Si tratta di una magra consolazione, naturalmente.

Opere principali di Oscar Wilde

Non è facile fare una selezione delle opere di Oscar Wilde. L’irlandese fu infatti scrittore e sceneggiatore teatrale prolifico, oltre che mente finissima e creativo sopraffino. Per cui è chiaro che per trattare in maniera adeguata la sua opera occorrerebbe un trattato accademico e non basta certo lo spazio di un articolo su questo notiziario culturale. Cionondimeno, per completezza, è necessario riportare alcuni dei suoi titoli più importanti. Queste opere lo hanno reso uno degli scrittori più letti – e più rappresentati in teatro – nella storia della letteratura.

Tra i suoi racconti e romanzi è impossibile non citare Il fantasma di Canterville (1887); Il principe felice e altri racconti (1888); Il crimine di Lord Arthur Savile e altri racconti (1891); La casa dei melograni (1891) e, ovviamente, Il ritratto di Dorian Gray (uscito sotto forma di unico volume nel 1891).

Le raccolte di poesie più celebri sono Poesie (1881); La Sfinge (1894) e La ballata di Reading Gaol (1898). Il suo epistolario De Profundis (scritto nel 1897) è stato pubblicato in più fasi, durante la prima metà del ‘900.

Per quanto riguarda il teatro, Oscar Wilde ci ha lasciato alcuni libretti tra i più rappresentati nelle rassegne di tutto il mondo: Il ventaglio di Lady Windermere (1892); Una donna senza importanza (1893); Un marito ideale (rappresentata nel 1895 ma pubblicata soltanto nel 1898) e, naturalmente, la celebre L’importanza di chiamarsi Ernesto (anch’essa andata in scena nel 1895 ma pubblicata non prima del 1898).

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La statua della Oscar Wilde Memorial Sculpture in Merrion Square a Dublino

Oscar Wilde: consigli di lettura

Molto del pensiero di Oscar Wilde si può comprendere semplicemente ricercando i numerosi aforismi che ci ha lasciato. Gran parte di essi provengono dalle sue opere; i cui principali titoli sono stati riportati nel paragrafo precedente. C’è anche una vasta letteratura che parla di Oscar Wilde, senza essere stata composta dall’autore irlandese.

Chiunque voglia approfondire la vita e l’opera di Wilde farebbe bene a consultare i seguenti libri:

  • Oscar. Vita di Oscar Wilde di Matthew Sturgis (UTET, 2018)
  • Processo a Oscar Wilde. La legge e l’amore di Fabio Canino, Vincenzo Piscitelli, Michael Harakis e Antonio Salvati (Le Lucerne, 2020)
  • L’amore che non osa. Poesie per Oscar Wilde di Alfred Douglas, curato da SIlvio Raffo (Elliot, 2018)

Chiaramente, ad un autore dell’importanza di Wilde sono stati dedicati numerosi altri volumi. Quelli elencati qui, però, sono probabilmente i migliori per cominciare ad approfondirlo in quanto sono i più recenti ed esaustivi (il primo); o particolarmente significativi per capire l’emotività che stava dietro al lavoro dello scrittore (secondo e terzo).

 

 

 

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Metodo Montessori: libertà, indipendenza e autoeducazione https://2021.passaggifestival.it/metodo-montessori/ Mon, 31 Aug 2020 18:16:37 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=74931 il 31 agosto del 1870 nasceva l'ideatrice di uno dei metodi di insegnamento più usati al mondo.

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Metodo Montessori

Autoeducazione, indipendenza, libertà. Questi sono i principi cardine del Metodo educativo Montessori, ideato e promulgato dalla pedagogista Maria Montessori, della quale oggi si celebra il centocinquantesimo anniversario dalla sua nascita.

Il carisma di Maria Montessori

Non esente da critiche, il Metodo Montessori ha riscosso un grande successo nazionale e internazionale, tanto che, ancora oggi, esistono nel mondo circa 65 mila istituti montessoriani.

I motivi di questa intramontabile fama sono da ricercarsi, oltre che nel metodo educativo stesso, anche nella personalità carismatica della Montessori. La pedagogista è stata infatti la terza donna italiana a laurearsi in medicina ed è stata anche un’oppositrice del fascismo, tanto che è stata esiliata in Olanda nel 1934, dove è deceduta nel 1952. Nel corso della sua vita ha poi scritto numerosissimi libri tra cui Educare alla libertà e Mente del bambino. Mente assorbente.

Il successo del Metodo, però, è dovuto anche al virtuoso girotondo di dicerie formatosi nel corso degli anni intorno ad esso, rendendo progressivamente il Metodo Montessori appannaggio di una classe ristretta e privilegiata. Di qui una delle maggiori critiche contemporanee mosse al Metodo; il fatto cioè che i successi professionali dei pupilli di molte famiglie benestanti, cresciuti tra le più illustri cerchie sociali e una copertura considerevole di denaro alle spalle, possano non essere dovuti esclusivamente alla frequentazione delle scuole montessoriane.

Metodo Montessori: quasi come leggere un libro

Bando però alle accuse, spesso infondate, è invece doveroso spezzare alcune lance in favore di questa scuola alternativa e rivoluzionaria, che si oppone ai dettami di quella tradizionale, come l’imposizione di regole dall’alto, l’apprendimento passivo, la limitazione delle libertà decisionali e di pensiero dello studente.

Si potrebbe paragonare il Metodo Montessori all’apprendimento derivato dalla lettura di un libro. La prima fase, quella decisionale, è infatti quasi totalmente autonoma. Certo, talvolta è necessario essere spinti alla lettura, specialmente nei primi anni di vita. Oppure è possibile che l’ambiente circostante o i consigli di altre persone influenzino la scelta. Ma la decisione finale spetta solo e soltanto al lettore.

Allo stesso modo, con il metodo Montessori il bambino è sì indotto a frequentare quella scuola, a seguire le lezioni, a stare con i compagni. È però anche responsabilizzato in tutte le sue scelte, che devono essere autonome e spontanee: dalle lezioni da seguire, ai compiti da svolgere a casa, ai compagni con cui stare. Il bambino, per esempio, può anche trascorrere il tempo con compagni di età diverse. Si renderà poi conto da solo che gli argomenti trattati non sono alla sua portata, oppure che la semplice presenza dei suoi coetanei è migliore. Proprio come quando ci si approccia ad un libro pensato per fasce di età diverse o per persone con competenze diverse.

L’autoeducazione del Metodo Montessori

La lettura di un libro, poi, è l’emblema dell’autoeducazione. L’atto del leggere, nella sua lentezza, nella sua richiesta di concentrazione e, ovviamente, per le informazioni presenti nel libro stesso, è un grande stimolo all’apprendimento. Proprio come il Metodo Montessori, che insegna al bambino la lentezza, l’attenzione e la concentrazione, o comunque a seguire i suoi personali tempi, per far sì che le sue azioni siano svolte al meglio.

Nell’insegnamento montessoriano, poi, il bambino riceve molte nozioni, da quelle più tradizionali, come il riconoscimento dei colori, la lettura e la scrittura, sino a quelle più pratiche o quotidiane, come sparecchiare il proprio piatto dopo aver mangiato, prendersi cura di piante e animali, stare a contatto con la natura.

L’importanza dell’insegnante

Un libro, però, ha sempre un autore. Questo, oltre a fornire determinate informazioni, guida il lettore tra le pagine e spesso suggerisce le chiavi interpretative della storia. In alcuni casi è più partecipe, in altri si nasconde alla perfezione tra le parole, ma è sempre presente. L’insegnante montessoriano, allo stesso modo, deve essere una guida presente, che vigila sugli studenti e suggerisce loro la via più giusta da intraprendere. Non deve, però, essere invadente, né deve rimproverare sterilmente gli alunni dall’alto del suo sapere.

Deve invece porsi allo stesso piano spiegando loro, in modo ragionevole, il motivo per cui, a suo parere, l’alunno abbia commesso un errore, stimolandolo all’autocorrezione. Una piccola distrazione dal lavoro, per esempio, è tollerata, così come può esserlo una distrazione dalla lettura. Il libro, così come la scuola e i compagni, rimane sempre lì, pronto a riaccogliere lo studente senza gravi conseguenze, come voti bassi o giudizi negativi.

Nella scuola montessoriana non ci sono i voti

Anzi, nella scuola montessoriana i voti non esistono affatto e gli alunni sono portati ad implementare le proprie capacità di autovalutazione. Tornando alla metafora del libro, il lettore sa che saltando le pagine potrebbe velocizzare la lettura. Questo però renderà la comprensione del libro più difficoltosa e, talvolta, potrebbe persino allungarne il processo.

O ancora: talvolta il lettore può decidere di non finire un libro. Questo non è sbagliato in sé; semplicemente priverà il lettore di ulteriori conoscenze o della soddisfazione di aver portato a termine qualcosa. Lo stesso varrà per i compiti a casa o per il lavoro in classe dello studente montessoriano. Se non implementati, al bambino verranno semplicemente comunicate le conseguenze delle sue azioni, piuttosto che essere bollato con un semplice voto numerico.

Il Metodo Montessori e il distacco dalla realtà

La realtà, voi direte, è però più complessa della semplice lettura di un libro. Ogni bambino ha una personalità diversa, così come ogni insegnante. Ogni famiglia predilige, a casa, metodi di educazione costruiti sulle proprie esigenze e i paesi in cui sono sorte le scuole montessoriane hanno ognuno background culturali propri.

Inoltre, e questa è la seconda comune critica al Metodo, la vita post-scolastica sarà molto meno accondiscendente con gli studenti delle scuole montessoriane, i quali rischiano di trovarsi catapultati in realtà lavorative e sociali che non ammettono decisioni autonome, errori o autocorrezioni, che richiedono velocità, prontezza e capacità di adattamento.

Non per questo, però, non deve esistere una realtà diversa, che propone un’educazione non tradizionale e che, se accostata all’esperienza obbligata del mondo “reale”, può regalare al bambino un ritaglio di spazio proprio, di apprendimento e di evasione. Proprio come può fare un libro.

 

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Sacco e Vanzetti: una storia americana https://2021.passaggifestival.it/sacco-e-vanzetti/ Sun, 23 Aug 2020 11:13:21 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=74477 Nel 1916 i due si conobbero entrando a far parte di un gruppo anarchico composto da italoamericani. Poi scoppiò la Grande Guerra e il gruppo scappò in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Al termine del conflitto, i due tornarono insieme in Massachusetts. Furono uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927

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Sacco-Vanzetti

I nomi di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti occupano un posto di riguardo nella cultura di massa italiana e nell’immaginario collettivo nazionale, a seguito della loro ingiusta esecuzione, triste vicenda dagli Stati Uniti dei roaring twenties, i ruggenti anni ’20 del secolo scorso. In quel decennio la società statunitense visse un periodo di sviluppo e rinascita, assimilabile a quella Belle Epoque che caratterizzò l’Europa fino allo scoppio della Grande Guerra. Eppure l’ombra dell’esecuzione di Sacco e Vanzetti ne oscurò una parte, aprendo interrogativi ancora attuali sulla pena di morte e la violenza di stato.

La migrazione

Nicola Sacco da Torremaggiore (Foggia) giunge negli USA nel 1909, sbarcando a Boston. Bartolomeo Vanzetti da Villafalletto (Cuneo), in quei giorni di aprile è già in America da circa un anno, avendo raggiunto New York a giugno 1908. I due non si conoscevano ma avevano un tratto in comune, non trascurabile: erano due anarchici.

Sacco era figlio di agricoltori e andò negli States a cercar fortuna, trovando lavoro a Milford, in Massachusetts, come operaio in un calzaturificio. Si stabilì in città dove si sposò ed ebbe due figli. Nonostante i turni da 10 ore al giorno in fabbrica, difficilmente si perdeva una manifestazione operaia. Era molto attivo nella sua union e teneva regolarmente discorsi per l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Nel 1916 fu arrestato proprio per questo motivo: lo si giudicava un agitatore.

Vanzetti viveva in condizioni economiche migliori ma l’improvvisa scomparsa della madre lo colpì molto, deprimendolo e portandolo sull’orlo della follia, tanto vi era legato. La sua migrazione fu dovuta all’esigenza di cambiare vita e distanziarsi da quell’evento. Accettò ogni tipo di lavoro, spostandosi continuamente all’interno della federazione. Avido lettore di Marx, Tolstoj e anche Dante – tra gli altri – spirito ribelle e indipendente, guidò nel 1916 uno sciopero contro la casa automobilistica Plymouth e, in seguito, nessuno volle più assumerlo. Per tal motivo si mise in proprio, operando come pescivendolo itinerante.

L’incontro

Nel 1916 i due si conobbero entrando a far parte di un gruppo anarchico composto da italoamericani. Poi scoppiò la Grande Guerra e il gruppo scappò in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Nessun’onta è infatti maggiore, per un anarchico, del dover uccidere e morire per questo o quell’altro Stato. Al termine del conflitto, i due tornarono insieme in Massachusetts. Quel che non sapevano, era che il Ministero di Giustizia li aveva inseriti in una lista di sovversivi, dunque Sacco e Vanzetti erano a quel punto ufficialmente nemici del Paese e, da prassi, i servizi segreti presero a pedinarli. L’America di Sacco e Vanzetti mal sopportava il diverso, lo straniero, il progressista militante di estrema sinistra. Proprio come accade negli Stati Uniti di oggi.

Su quella stessa lista si leggeva anche il nome di Andrea Salsedo, un tipografo originario di Pantelleria. Quel che restava del corpo di Salsedo fu ritrovato a terra, alla base del grattacielo Park Row Building ove ha sede il Bureau of Investigation, antenato dell’FBI, il 3 maggio 1920. Il BOI aveva sede al quattordicesimo piano e – a quanto pare – dopo diversi giorni di detenzione al suo interno, decise di andarsene passando dalla finestra. L’FBI ha sempre dichiarato che Salsedo si suicidò. Il Dipartimento di Giustizia e la Polizia di New York continuano a negare ogni tipo di responsabilità nella vicenda.

L’arresto

A seguito della morte di Salsedo, Vanzetti organizzò una protesta. La manifestazione doveva tenersi a Brockton, Massachusetts – la città dei campioni, fucina di atleti di successo tra cui the Marvelous Marvin Hagler e Rocky Marciano – il 9 maggio. Sacco e Vanzetti, però, furono arrestati prima.

Nei giorni successivi all’episodio presso il Park Row Building, i due anarchici italiani furono trovati in possesso di una pistola semiautomatica e un revolver, con relative munizioni. In maniera piuttosto sommaria e frettolosa, Sacco e Vanzetti furono accusati di una rapina a mano armata avvenuta in un sobborgo di Boston, presso Slater and Morrill Shoes, nella quale restarono uccisi Frederick Parmenter, cassiere del calzaturificio rapinato, e Alessandro Berardelli, guardia giurata che prestava servizio presso la ditta. Entrambi erano stati assassinati a colpi di pistola.

Non è mai stato dimostrato ma è parere diffuso che, alla base del verdetto di condanna, vi furono pregiudizi di tipo politico e razziale. Ricordiamo infatti che, in quel periodo, procuratore generale degli Stati Uniti era il famigerato Alexander Mitchell Palmer, quello dei Palmer Raids per intenderci. Il suo principale risultato politico fu quello dell’espulsione sommaria di oltre 10.000 immigrati sospetti di essere sovversivi comunisti, Spesso e volentieri, la loro unica colpa era quella di non essere in grado di parlare correttamente la lingua inglese e non appartenere allo status quo WASP che, da sempre, regola e governa l’America. Era consuetudine, in quel periodo, calpestare le più basilari libertà individuali e ogni principio di giustizia in nome della sicurezza nazionale. Negli Usa della Red Scare, la psicosi nota in Italia come paura rossa che ha caratterizzato gli States dopo la vittoria comunista nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, le persecuzioni contro il diverso erano cronaca quotidiana.

Teniamo comunque a mente che le armi trovate in possesso dei due uomini presentavano una buona rilevanza indiziaria. La semiautomatica era balisticamente compatibile con l’arma utilizzata durante la rapina. Inoltre il revolver era dello stesso tipo di quello sottratto alla guardia giurata uccisa e sparito dalla scena del crimine.

Sentenza e protesta

Sacco e Vanzetti non si consideravano comunisti. Il cuneese non aveva neppure precedenti penali, eppure le autorità statunitensi consideravano i due militanti radicali. Il loro coinvolgimento in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra li aveva resi tali agli occhi dei potenti.

I due italoamericani si ritenevano vittime di pregiudizi sociali e politici. Il giudice Webster Thayer, incaricato di esprimersi sul loro caso, definì Sacco e Vanzetti due bastardi anarchici, senza mezze parole, all’interno di un tribunale federale. In fin dei conti, i due immigrati erano un perfetto capro espiatorio nonché un importante test per esaminare il polso dell’opinione pubblica statunitense. Si trattava di due migranti con una comprensione imperfetta della lingua inglese, noti per difendere idee politiche assolutamente radicali negli States. Palmer non poteva desiderare agnelli sacrificali migliori. Il tribunale condannò Sacco e Vanzetti alla pena di morte su sedia elettrica.

Dopo l’emissione della sentenza, prese il via una partecipata protesta a Boston, di fronte al Palazzo del Governo. Essa andò avanti fino alla data dell’esecuzione, a oltranza, eppure non servì a convincere il governatore dello Stato del Massachusetts, Alvan Fuller, a impedire l’esecuzione. Il politico si limitò a istituire una commissione per riesaminare le prove. La commissione confermò la condanna. Il corteo di protesta partiva dall’edificio governativo e giungeva di fronte alla prigione di Charlestown, la quale ospitava Sacco e Vanzetti. Il governo schierò polizia e guardia nazionale di fronte all’accesso del carcere, sul muro di cinta vi erano mitragliatrici puntate sui manifestanti.

Il fronte per Nick e Bart

Numerose voci si alzarono a favore dei due condannati. Molte arrivarono dall’Italia. Nel nostro Paese l’opinione pubblica si schierò apertamente con i due anarchici, governo fascista compreso. Lo stesso Benito Mussolini riteneva il tribunale americano pregiudizialmente prevenuto e, fino al 1927 attivò il Ministero degli Esteri, l’ambasciatore italiano a Washington e il console a Boston per ottenere una revisione del processo. Nessuno fu ascoltato.

Anche molti intellettuali internazionali presero le difese di Sacco e Vanzetti: Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Albert Einstein, Dorothy Parker, John Dewey, Upton Sinclair, Herbert George Wells e il premio Nobel Anatole France – il quale paragonò la vicenda dei due anarchici al famigerato affaire Dreyfus – anch’essi senza alcun successo. Nick e Bart, come venivano affettuosamente chiamati da chi simpatizzava per loro, furono uccisi il 23 agosto 1927.

L’epilogo

L’esecuzione segnò l’inizio di ferventi proteste a Londra, a Parigi e in Germania. Una bomba, la cui matrice era probabilmente anarchica, devastò l’abitazione del giudice Thayer, nel 1928. Egli non era in casa, restarono ferite sua moglie e una domestica.

I comuni di origine dei due hanno dedicato vie e una scuola ai due anarchici, sostenendo Vincenzina Vanzetti nella sua fondazione del comitato di riabilitazione di Nicola Sacco e suo fratello, Bartolomeo Vanzetti. Finalmente, 50 anni esatti dopo l’esecuzione, il 23 agosto 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, emanò un proclama che riabilitava i due uomini dopo l’accusa degli omicidi al calzaturificio. “Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.” Affermò Dukakis. Tale dichiarazione, naturalmente, non costituisce in alcun modo una dichiarazione della loro innocenza.

Una campagna di Amnesty International, lanciata nel 2016 per tutelare i diritti umani nel mondo, è stata dedicata alla memoria di Sacco e Vanzetti.

Per approfondire

Esistono svariati tributi alla memoria dei due anarchici nel cinema e nella musica, tra i più noti ricordiamo lo speciale The Sacco – Vanzetti Story, curato da Reginald Rose per la NBC nel 1960; il film di Giuliano Montaldo del 1971, intitolato Sacco e Vanzetti; la canzone di Ennio Morricone, Here’s to you, cantata da Joan Baez e quella di Francesco De Gregori e Giovanna Marini, Sacco e Vanzetti. Numerosi sono anche i libri che trattano della loro triste storia, ne segnaliamo di seguito alcuni:

  • I miei ricordi di una tragedia familiare. Sacco e Vanzetti, di Maria Fernanda Sacco, 2010, Malatesta editore.
  • Non piangete la mia morte, di Bartolomeo Vanzetti, 2017, Edizioni Clichy
  • La marcia del dolore – I funerali di Sacco e Vanzetti – Una storia del Novecento, di Luigi Botta, 2017, Nova Delphi Libri

 


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Il maestro del fumetto Filippo Scòzzari a Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/scozzari-passaggi-festival/ Fri, 14 Aug 2020 10:02:22 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=74281 E ancora Gianluca Costantini, Claudia Palmarucci, Michele Petrucci, Antonio Pronostico e Fulvio Risuleo nella sezione di graphic novel della manifestazione che si tiene a Fano dal 26 al 30 agosto.

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E ancora Gianluca Costantini, Claudia Palmarucci, Michele Petrucci, Antonio Pronostico e Fulvio Risuleo nella sezione di graphic novel della manifestazione che si tiene a Fano dal 26 al 30 agosto.

È uno dei più grandi per fama, grandezza e importanza sulla scena italiana ed europea. Un artista che ha rotto gli schemi, ha scompigliato e scompaginato, un maestro del suo genere che ha fatto la storia del fumetto. Filippo Scòzzari sarà a Passaggi Festival, l’evento che si occupa di saggistica e non solo in programma a Fano nelle Marche dal 26 al 30 agosto, ospite della sezione Passaggi fra le Nuvole, dedicata ai graphic novel. Sabato 29 agosto alle 19 al Pincio presenterà insieme al critico di fumetti Alessio Trabacchini Lassù no (Coconino Press), antologia in edizione deluxe dei suoi racconti di fantascienza dagli anni ’70 ai 2000, alcuni mai raccolti prima in volume. Classe 1946, è stato un protagonista della Bologna degli anni intorno al 1977. Insieme a Massimo Mattioli e ai più giovani Andrea Pazienza, Stefano Tamburini e Tanino Liberatore ha fondato le riviste Cannibale e Frigidaire due esperienze fondamentali della cultura underground dell’epoca. “Scòzzari e i suoi amici e sodalispiega Giovanni Di Bari, curatore di Passaggi fra le Nuvolehanno innovato il modo di fare il fumetto cominciando a raccontare quello che succedeva a loro nella vita, e quello che succedeva nella vita di chi aveva vent’anni nel ‘77 a Bologna era qualcosa di molto forte: bello e tragico insieme.”

Sono quattro gli appuntamenti di graphic novel della sezione, tutti alle 19 e tutti presentati da Trabacchini, più uno condiviso con Fuori Passaggi, l’altra rassegna del festival pensata per un pubblico giovane e anch’essa ospitata al Pincio. Si comincia giovedì 27 con un altro nome di rilievo, quello del graphic journalist Gianluca Costantini, artista attivista, vincitore del premio Arte e diritti umani di Amnesty International 2019, che presenta Libia (Mondadori) realizzato insieme alla giornalista d’inchiesta Francesca Mannocchi, un racconto del paese nordafricano alternativo a quello dei telegiornali e dei social. L’ospite di venerdì 28 sarà l’illustratrice Claudia Palmarucci autrice dei disegni di Marie Curie. Nel paese della scienza (Orecchio Acerbo) scritto da Irene Cohen Janca, libro che ha vinto nel 2020 il Bologna Ragazzi Award nella categoria Non Fiction e il Premio Orbil nella categoria Divulgazione. “La Palmarucci è un po’ una licenza poetica che ci siamo concessi perché non fa parte del mondo dei fumettiaggiunge Di Barima è brava ed è marchigiana e quest’anno volevamo dare maggior valore al nostro territorio, più o meno allargato. Infatti quasi tutti gli artisti sono nati o vivono in una zona compresa tra Ravenna e Macerata, anche Scòzzari che vive nel riminese.” Chiude la sezione domenica 30 un artista a chilometro zero, Michele Petrucci, forsempronese di nascita, fanese d’adozione che, dopo il grande successo internazionale di Messner, è uscito a giugno con L’insaziabile (Coconino Press), di nuovo una biografia ispirata alla vita di Tarrare, l’uomo più vorace al mondo vissuto in Francia alla fine del ‘700 e la cui storia non era ancora mai stata narrata in forma di fiction.

Il quinto evento, legato ai fumetti e alla musica, è invece per venerdì 28 alle 21.30, sempre al Pincio.  Il cantautore della scena indie Giovanni Truppi insieme all’illustratore Antonio Pronostico e al regista e sceneggiatore Fulvio Risuleo raccontano al pubblico di Fuori Passaggi l’esperienza che li ha visti insieme. Truppi ha recentemente pubblicato l’EP “5”, accompagnato da Cinque (Coconino Press), un fumetto con tutte le canzoni del disco illustrate da differenti disegnatori. Risuleo e Pronostico hanno rielaborato il brano “Mia” raccontando la storia di un amore ormai giunto a capolinea e che alla cui fine uno dei due protagonisti non vuole arrendersi.

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La forma dell’odio: il Muro di Berlino https://2021.passaggifestival.it/anniversario-costruzione-muro-di-berlino/ Thu, 13 Aug 2020 08:49:18 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=73874 Ci sono costruzioni che segnano la storia, simboli concreti per rappresentare la solidificazione di decenni di ideologia, architetture segnanti che danno forma all'odio, alle divisioni e all'inimicizia tra i popoli. Tra queste infrastrutture, il Muro di Berlino è re incontrastato.

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Ci sono costruzioni che segnano la storia, simboli concreti per rappresentare la solidificazione di decenni di ideologia, architetture segnanti che danno forma all’odio, alle divisioni e all’inimicizia tra i popoli. Tra queste infrastrutture, il Muro di Berlino è re incontrastato.

Per Muro di Berlino si intende comunemente tutto quel sistema di recinzione in calcestruzzo e filo spinato, sormontato da torrette di guardia alto oltre 3 metri e mezzo e lungo 156 chilometri che per 28 anni ha tagliato in due Berlino, la Germania e il mondo intero.

La conferenza di Jalta, l’inizio della fine

A pochi mesi dalla conclusione de facto del secondo conflitto mondiale, con la vittoria degli alleati che era ormai soltanto questione di tempo, i leader dei Paesi antinazisti si riunirono a Jalta, in Crimea.

Tale conferenza è spesso ricordata per essere stata l’appuntamento che ha dato avvio alla costituzione dell’ONU, eppure fu anche la sede nella quale si decise di dividere Berlino in ben 4 zone d’influenza; come a voler spartire una torta appetitosa per tutti ma troppo dolce per uno solo tra gli Stati vincitori della guerra. Unione Sovietica, Regno Unito, Francia e, naturalmente Stati Uniti d’America, avrebbero avuto giurisdizione su un settore a testa della devastata capitale tedesca. In un equilibrio piuttosto instabile si governò la città (e di conseguenza, la Germania) fino al 1948, quando la situazione s’inasprì decisamente, dando avvio ad una escalation che assunse presto le dimensioni di un domino incontrollabile, raggiungendo il culmine nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, esattamente 59 anni fa.

La cortina di ferro

L’Unione Sovietica vantava il settore più esteso, tanto che, a confronto, i settori influenzati da USA e Stati europei erano di fatto poco più che un’enclave in territorio filo-russo. Le ambizioni sovietiche sulla Germania e la sua capitale, dunque, erano molto forti. Iosif Stalin desiderava controllare l’intero Paese e non accettò mai in toto le condizioni di Jalta, avversando fin dal principio l’asse anglo-francese. Gli alleati lo avevano capito. Winston Churchill, non più Prime Minister dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 1946 – sulle quali, naturalmente, pesò come una montagna il troppo fresco ricordo del conflitto – in uno dei suoi più celebri discorsi, tenuto un anno dopo il termine del conflitto, esternò una frase entrata in ogni libro di storia: “Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, sull’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il Continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa Centrale e Orientale.”

Origini del termine

L‘espressione cortina di ferro non nacque nella mente di Churchill. Prima di lui la utilizzarono Max Walter Clauss, un giornalista tedesco, sul settimanale Das Reich, la cui impostazione politica è chiara e, qualora non lo fosse, ricordiamo che vi scriveva anche Joseph Goebbels, potentissimo Ministro della Propaganda nazista e delfino del Führer und Reichskanzler, il quale fu il secondo a parlare di cortina di ferro. Secondo Goebbels, in caso di sconfitta della Germania (alla quale forse anche lui si stava già rassegnando nel febbraio 1945, quando scrisse l’articolo in questione) si sarebbe subito interposta una cortina di ferro nei territori dell’Unione Sovietica dietro la quale tener nascosto il massacro di massa comunista.

Nel luglio del 1945 lo statista tedesco Konrad Adenauer riprese il termine, parlandone anch’egli in ottica antisovietica. Nel dicembre dello stesso anno fu il direttore della CIA, Allen Dulles, a utilizzare il termine cortina di ferro in un discorso. Dulles però si riferiva solamente alla Germania e non all’intera Europa. La celebrità dell’espressione, ad ogni modo, si deve soprattutto a Churchill e al suo impareggiabile carisma. Sfortunatamente, il discusso primo ministro inglese, aveva ragione da vendere e il suo discorso non si rivelò essere soltanto retorica politica.

Il blocco della capitale

Nel corso del 1948 la tensione cominciò a farsi palpabile tra le potenze che presidiavano la Germania. L’Unione Sovietica passò il limite quando impose il blocco di Berlino, impedendo alle risorse necessarie alla popolazione per la vita quotidiana di entrare in città. L’asse anglo – francese, allora, rispose attuando un ponte aereo per rifornire la città di generi di prima necessità. Fu il punto di rottura, l’inizio di uno strappo che avrebbe caratterizzato brutalmente i seguenti decenni europei.

Nel corso degli anni ’40 non esistevano grosse restrizioni per chi volesse spostarsi da un’area all’altra della capitale tedesca, si poteva circolare liberamente in ogni settore. L’escalation della Guerra Fredda, però, portò alla chiusura del confine tra Germania Est e Germania Ovest, nel 1952. A seguito di questa decisione, la porzione occidentale si fece via via più attraente per chi viveva nella sfera d’influenza sovietica. Nei 12 anni compresi tra il 1949 e il 1961 furono 2,6 milioni i tedeschi dell’Est che migrarono ad Ovest. Per fermare questo esodo, la Germania Est prese una decisione drastica.

Il muro di Berlino

Come anticipato, fu nella notte tra 12 e 13 agosto 1961 che il regime di Stalin cominciò ad isolarsi dai settori occidentali. Dapprima si trattò di blande recinzioni in filo spinato. Già a partire dal 15 agosto, però, si integrarono elementi in cemento prefabbricato e blocchi di pietra. La base del Muro di Berlino era pronta. Esso giunse a racchiudere completamente i settori occidentali in una sorta di penisola, la quale comunicava con il resto della Germania Ovest tramite uno stretto collegamento, poiché la sfera d’influenza sovietica non circondava completamente i settori controllati dagli anglo – francesi.

Il problema orientale era proprio quel tratto di comunicazione con l’Occidente. Finché fu concessa libertà di circolazione la DDR (Deutsche Demokratische Republik, Germania Est) vide un esodo massiccio di lavoratori specializzati – i quali volevano massimizzare le loro competenze nel mercato capitalista occidentale, ove si prospettava un futuro migliore – e una lunga serie di diserzioni dall’esercito filo-sovietico.

Tutto questo avvenne a pochi mesi dalla celeberrima, probabilmente suo malgrado, dichiarazione di Walter Ulbricht, capo di Stato della DDR e segretario del Partito Socialista Unitario della Germania, l’organo di potere di Stalin in terra tedesca. Nel giugno 1961, Ulbricht dichiarò: “Qui nessuno ha intenzione di costruire un muro.” La storia lo smentì in maniera netta poco dopo.

Le conseguenze

Innalzare il Muro di Berlino fu il più grave errore politico commesso nella storia dell’URSS. Da questo punto di vista la decisione si trasformò in un disastro completo non solo per la Germania orientale ma per l’intero blocco comunista.

Ora il mondo aveva una testimonianza di 156 per 3,5 metri della tirannia di Stalin e anche il più convinto degli occidentali filocomunisti non poteva che esprimere il suo sdegno di fronte alle uccisioni deliberate – spesso e volentieri sotto gli occhi dei media – di chi provava a fuggire dalla DDR per inseguire un futuro migliore da questa parte del Muro di Berlino.

Non paghi, i sovietici resero la barriera regolarmente più rischiosa e difficile da valicare nel corso degli anni successivi  al 1961. Il fondo fu toccato con l’innalzamento di un secondo muro, all’interno della frontiera orientale, creando così l’infame striscia della morte, una zona scoperta e facilmente controllabile tra le due barriere.

L’infrastruttura della morte

Nel 1975 il Muro  di Berlino si mostrava con il suo volto peggiore. Alte recinzioni, un fossato anticarro lungo oltre 105 chilometri, più di 30 torrette militari presidiate notte e giorno da cecchini armati, 20 bunker e una strada di pattugliamento continuamente percorsa da guardie di frontiera lunga più di 175 chilometri; era ormai chiaro a chiunque che il Muro di Berlino non era affatto la protezione antifascista battezzata da Stalin. Il leader comunista e i suoi successori, tanto il reggente Malenkov – al potere soltanto per 8 giorni dopo la morte del tirannico capo di Stato – quanto gli architetti dell’URSS, Nikita Chruscëv e Leonid Breznev, insisterono sul fatto che la barriera fosse necessaria per tutelare le repubbliche socialiste sovietiche da invasioni occidentali. La realtà era ben diversa.

Superare il muro di Berlino

Durante i decenni in cui la barriera restò eretta i tentativi di fuga furono 5mila. Nulla rispetto alle cifre dell’esodo precedenti al 1961. I fuggiaschi uccisi dalle guardie di confine furono oltre 200 (le cifre oscillano tra 190 e 240). Si tentava a fuggire in ogni modo: qualcuno provava a passare sotto le barricate alla guida di un’auto sportiva molto bassa, possibile fino a quando il muro non fu completamente fortificato; altri si gettavano nel vuoto da un balcone sul confine, sperando di riuscire ad atterrare dalla parte giusta; chi poteva si attrezzava con aerei ultraleggeri mentre chi non possedeva i mezzi ideava gallerie sotterranee o si affidava al rischiosissimo metodo di scivolamento tra i cavi elettrici, passando di pilone in pilone.

Morire per un sogno

Tra i morti del Muro prevalgono i giovani e gli uomini ma vi sono anche casi particolari, come quello dell’ottantenne Olga Segler, ed episodi particolarmente disgustosi come quello di Marienetta Jirkowsky, uccisa nel 1980 con 27 colpi d’arma da fuoco, a 18 anni, o quello di Peter Fechter, il quale venne ferito dalle munizioni dei cecchini nel 1962 e fu lasciato morire, dissanguato, nella striscia della morte sotto l’occhio dei media della Bundesrepublik occidentale. Vi sono molti altri esempi simili a questi rintracciabili tra le pagine della triste storia del Muro di Berlino, persone che hanno tentato di inseguire la libertà e delle quali ora resta soltanto una lapide commemorativa, all’ombra della Porta di Brandeburgo.

Come scrisse il romanziere russo Viktor Suvorov nel suo L’ombra della vittoria: “Tanto più lavoro, ingegnosità, denaro e acciaio i comunisti mettevano per migliorare il muro, più chiaro diventava un concetto: gli esseri umani possono essere mantenuti in una società comunista solo con costruzioni impenetrabili, filo spinato, cani e spari alle spalle. Il muro significava che il sistema costruito dai comunisti non attraeva ma repelleva.”

La caduta

Nel corso degli anni ’80 il declino dell’URSS cominciò a farsi inarrestabile. I costi della vita tra Berlino Ovest e Berlino Est erano separati da un abisso e lo stesso valeva per le opportunità dei cittadini. Il governo della Germania Est veniva continuamente contestato; Austria e Ungheria, Stati orgogliosi, storici custodi di uno dei maggiori imperi degli ultimi secoli, rimossero ogni restrizione al confine, consentendo, di fatto, la fuga ai cittadini della DDR; Erich Honecker, leader della Germania Est si dimise il 18 ottobre 1989, lasciandosi alle spalle uno Stato moribondo e un’affermazione consegnata agli annali, quella fatta nel gennaio dello stesso anno: “Vi assicuro che il Muro resisterà per altri 100 anni.”

Il 9 novembre del 1989 furono ufficialmente autorizzate le visite a Berlino Ovest e nella Germania occidentale. Nel giro di poche ore, in un’atmosfera festosa, moltissimi cittadini di Berlino Est scavalcarono il Muro. In un atto di liberazione e partecipazione collettiva come pochi altri nella storia recente, durante le settimane successive, la barriera fu abbattuta a colpi di badile, piccone e persino a mani nude dai berlinesi, fino a quando non venne smantellata utilizzando apparati industriali, i quali seppellirono la forma del Muro di Berlino ma non la sua storia. La caduta del Muro di Berlino aprì la strada alla riunificazione delle due Germanie, conclusasi il 3 ottobre del 1990.

Il 9 novembre è festa nazionale in Germania e nel nostro Paese è stato dichiarato dal parlamento Giorno della Libertà.

Per approfondire: consigli di lettura

Il Muro di Berlino ha una storia molto più ampia di quella che si può sviscerare in un articolo, anche se corposo come questo. L’importanza della barriera nella storia europea e mondiale è immensa e il suo ruolo pivotale durante i difficili anni della Guerra Fredda è indubbio. Approfondirla potrebbe colmare alcune lacune e, soprattutto, aprirci gli occhi su una situazione che sembra riaffacciarsi alla finestra del nostro tempo, con schermaglie verbali sempre più ripetute tra USA e Cina, le due tigri più feroci nella giungla dell’economia contemporanea. Di seguito, si possono trovare alcuni titoli che si occupano della tematica:

  • Quei giorni a Berlino. Il crollo del Muro, l’agonia della Germania Est, il sogno della riunificazione: diario di una stagione che ha cambiato l’Europa, di Lilli Gruber e Paolo Borella, edizioni Rai Libri, 1990.
  • La Germania divisadi Fabio Bertini e Antonio MissiroliGiunti Editore, 1994
  • Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlinodi Gianluca Falanga, editore Carocci, 2009
  • Chi ha costruito il Muro di Berlino? Dalla Guerra Fredda alla nascita della bomba atomica sovietica, i segreti della storia più recentedi Giulietto ChiesaUno Editori, 2019

 

 


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L’Arte in Mostra a Passaggi Festival 2020 https://2021.passaggifestival.it/arte-mostre-passaggi-festival-2020/ Wed, 12 Aug 2020 10:43:19 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=74035 L’ottava edizione di Passaggi Festival si svolgerà a Fano dal 26 al 30 agosto 2020. Ad accompagnare la rassegna di Libri vista mare, vi sarà una Rassegna d’Arte con tre differenti mostre, che saranno visitabili dal 26 agosto al 27 settembre 2020. Non solo saggistica, ma anche attenzione all’arte nelle sue varie sfaccettature: dal fumetto […]

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mostre passaggi festival

Immagine della giornata di inaugurazione delle Mostre della scorsa edizione

L’ottava edizione di Passaggi Festival si svolgerà a Fano dal 26 al 30 agosto 2020. Ad accompagnare la rassegna di Libri vista mare, vi sarà una Rassegna dArte con tre differenti mostre, che saranno visitabili dal 26 agosto al 27 settembre 2020.
Non solo saggistica, ma anche attenzione all’arte nelle sue varie sfaccettature: dal fumetto alla fotografia, passando per la pittura.
La Mediateca Montanari Memo ospiterà “Strip o no?”, mostra di fumetti di Giacinto Gaudenzi.
A Centraledicola si svolgerà Postille”, mostra di fotografia organizzata dall’Associazione Centrale Fotografia.
Infine all’Enoteca Terra si terràIdentità mascherata” , mostra di pittura di Veronica Chessa con un sorprendente lavoro inedito.

La curatrice delle tre mostre è Paola Gennari, Visual Art Manager, laureata in architettura, che da diversi anni si occupa di arte contemporanea.

“Strip o no?”: Il fumetto di Giacinto Gaudenzi

“Strip o no?” è la mostra dedicata al maestro del fumetto Giacinto Gaudenzi.  Nato a Cattolica nel 1945 e formatosi alla Scuola d’Arte di Urbino, è diventato un vero e proprio “artigiano dell’immagine” che ha istruito diversi artisti divenuti a loro volta famosi. La cura per i dettagli e la maestria nel disegno sono caratteristiche fondamentali delle sue opere, come sarà possibile vedere nelle tavole eseguite tra gli anni Settanta e Novanta, selezionate ed esposte alla Mediateca Montanari Memo dal 26 agosto al 27 settembre 2020.
(Ingresso libero. Orari: dal 1 agosto al 15 settembre – lunedì, martedì e venerdì 15- 20 / mercoledì 9-13; 15-20 / giovedì: 15-23 / sabato: 9-13. Aperture straordinarie: sabato 29 agosto 15-20 / domenica 30 agosto: 15-20. Dal 16 al 27 settembre: martedì, mercoledì e domenica 15-19 / giovedì, venerdì e sabato 10-19 – lunedì chiuso).

Giacinto Gaudenzi non è solo fumettista, ma anche cartoonist, incisore ed animatore. Ha iniziato la carriera occupandosi di cortometraggi e spot pubblicitari a Roma e Genova. Dal 1975 ha abbracciato il fumetto, pubblicando nel 1983 per L’Eternauta Storie di un altro Evo sulla rivista “Sgt. Kirk”. Nel 1989, per lo Scarabeo, chiude un ciclo molto importante con L’Eterico Mutante.
Un lavoro che lo ha reso noto è stato quello di illustrate la Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi, pubblicato da Mondadori a fine anni Settanta. A questo libro hanno partecipato anche Milo Manara e Hugo Pratt.
Fu un’opera di grande impatto, che entrò nelle case di tutti gli italiani e fu ristampata in diverse edizioni e formati.

Come afferma Paola Gennari, curatrice della mostra:

“La mano di Giacinto Gaudenzi è attenta, precisa, scrupolosa estremamente creativa e libera nello spazio-tempo passando da opere a colori a quelle in bianco e nero dal risultato sempre fortemente espressivo e suggestivo. Tutto il suo lavoro è caratterizzato da una accurata ricerca della perfezione del dettaglio dell’immagine: le forme, le scenografie, i personaggi più che disegnati sembrano dipinti assumendo aspetti molto vicini alla realtà. I colori spesso vengono utilizzati per risaltare caratteristiche emotive e sentimentali; alcuni volti assumono i colori deformati dell’ambiente portando il soggetto ad un pathos espressivo molto elevato.”

“Postille”: la fotografia di Alessandro Santi

A Centraledicola si terrà la mostra “Postille”. Si tratta di una mostra fotografica con gli scatti di Alessandro Santi, i testi di Massimo Bini, curata da Marcello Sparaventi e organizzata dall’Associazione “Centrale Fotografia” con AF News.
L’Associazione Culturale Centrale Fotografia, ideata da Marcello Sparaventi, promuove e divulga la cultura fotografica organizzando iniziative per il grande pubblico e per chi ama la fotografia.
Quest’anno rinnova per la quinta volta il sodalizio con Passaggi Festival, con la mostra “Postille”. Il progetto intende valorizzare le opere pittoriche del Museo Civico di Fano,  come quelle de “Il Guercino” o di Giovanni Francesco Guerrieri. Questi pittori hanno ispirato il fotografo Alessandro Santi  verso l’attenzione per il dettaglio, la meraviglia per le piccole cose come mani, piedi, oggetti, vestiti, ali. Gli scatti rivelano l’identità del soggetto attraverso il singolo elemento estrapolato dal suo intero. Si tratta di elementi riuniti che guidano l’occhio dell’osservatore alla curiosità e allo stupore, lasciando spazio alle possibili realtà e dimensioni che ispirano i singoli scatti.
Inoltre “Centrale Fotografia” collabora  con il geografo Massimo Bini, che scrive testi su ogni singola immagine, creando un sodalizio tra arte figurativa e parole.

Alessandro Santi è un fotografo fanese, nato nel 1992. Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico a Fano, ha conseguito la Laurea Triennale in Architettura a Torino. Ha  poi proseguito la sua formazione con un Master di Fotografia di Architettura e Interni presso Spazio Labò a Bologna, tenuto dal Prof. L.Capuano e conseguito nel luglio 2017.

“Identità mascherate”: la pittura di Veronica Chessa

L’Enoteca Terra ospiterà  la mostra di pittura “Identità Mascherata”, della pittrice Veronica Chessa. A fare da protagonista è un lavoro inedito, ambientato a Fano, incentrato sulla figura di Cecilia Gallerini, una nobildonna resa celebre dal ritratto che ne fece Leonardo da Vinci nel quadro “La dama con l’ermellino”.  Nel progetto di Veronica Chessa il soggetto, ovvero Cecilia Gallerini, si trasforma ogni volta pur mantenendo la stessa posa. Il lavoro inedito la vede ritratta nella città di Fano: si intravedono alle spalle l’Arco d’Augusto e il Pincio.

Veronica Chessa, nata a Orbetello nel 1975, si è formata tra Liceo Artistico di Grosseto e Accademia  delle Belle Arti di Firenze (sezione pittura). Dal 2004 vive a Fano.
Attualmente collabora con 3B Gallery, Contatto Gallery e Galleria Afnakafna di Roma. Collabora con “Piscina comunale spazio d’arte in copisteria”, realtà milanese che promuove artisti emergenti. Ha tenuto mostre personali e collettive in tutta Italia, tra cui la personale dedicata a Leonardo da Vinci a Villa Medici del Vascello (CR). Nelle Marche ha collaborato con l’associazione culturale Sponge arte contemporanea, per alcune collettive e personali, tra cui una bipersonale al Palazzo Mochi Zamperoli di Cagli, dove in seguito è tornata ad esporre con una personale, invitata dalla direttrice del “Dance Immersion Festival”.

 

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