Editori Coraggiosi Passaggi Festival 2021

Conversando con Fabrizio Lombardo, Elisa Donzelli autrice di “album”  e Franca Mancinelli autrice di “Tutti gli occhi che ho aperto”, hanno esposto i loro libri in occasione della rassegna “Passaggi diVersi”, tenutasi nella suggestiva chiesa di San Francesco.

La poesia oscillante di Elisa: un arcobaleno dopo la tempesta

“Non ho mai pensato di fare la poetessa”, afferma Elisa Donzelli, sollecitata dalla richiesta di Fabrizio Lombardo di parlare della sua poesia e del perché questa sia così intima. “album ” viene partorita dai ritmi oscillanti e irrefrenabili dei treni, che conducevano la donna da Pisa a Roma: il moto cigolante sulle rotaie si riflette nel suo stile, che definisce appunto “Oscillante”. L’ispirazione e l’avvicinamento verso questo progetto nasce in seguito ad un evento drammatico: la morte di sua sorella all’età di ventidue anni, e in seguito, l’apparizione in sogno della defunta. Ed è in questo momento che dalle ferite viene sprigionata una luce abbagliante, e il dolore si tramuta in arte non appena la donna impugnò in mano la penna per iniziare a scrivere la sua raccolta poetica. Inizialmente, confessa lei, non aveva intenzione di divulgare il suo operato, ma progressivamente in lei inizia a balenare l’idea che il privato sia in realtà collettivo. Ne parla nella poesia Due agosto 1990, in cui ripercorre sprazzi della sua infanzia che non vanno considerati singolarmente, in quanto in quegli anni accadevano vicende nel suo paese che avrebbero formato le sue idee più avanti.

La poesia di Franca: Le ferite sono occhi e occasioni di crescita

“Ho scritto il libro camminando” si apre così l’intervento di Franca Mancinelli, rispondendo alla stessa domanda posta in precedenza da Fabrizio Lombardo. Con la sua voce straordinariamente pacata riesce a delineare il quadro interiore frammentato e addolorato che possedeva quando ebbe l’ispirazione per il suo componimento. Ritiene che l’idea di “Tutti gli occhi che ho aperto” l’avesse  folgorata durante una camminata per l’Appennino, nel momento in cui alzando gli occhi vide stagliarsi nel cielo un albero “segnato dalle cicatrici”. Ammette di provare da sempre un sentimento sublime verso gli alberi, in quanto le rimandano da sempre misticità e intraducibilità di linguaggio. Continua la sua esposizione spiegando che il suo libro è volutamente costruito da tanti personaggi, tante voci che intrecciandosi conferiscono una pluralità anche nella forma. Tutti i personaggi (una donna migrante, una statuetta votiva alberi) hanno in comune il fatto di essere fragili, e l’intento è quello di divulgare un messaggio preciso: “le ferite sono possibilità di visione e di crescita e vanno riconosciute come occhi”

Una poesia che deve dire “io” e deve essere fatta di “tu”

Riprende la parola Elisa, che prima di leggere approfondisce il suo titolo, affermando che l’io è diventato plurale, mentre i “tu” che si rincorrono tra le righe della sua poetica sono principalmente donne o uomini che hanno costellato la sua vita. Seguono le letture di due poesie: la prima è dedicata a Marta Russo, una sua coetanea che studiò alla Sapienza come l’autrice. L’altra narra un dolce ricordo della sua infanzia: dedicata a sua sorella nell’occasione del concerto di Madonna a Torino, si conclude con “sei stata tu la mia prima star”, creando un parallelismo tra la star internazionale e la sorella.

Parlando di stile e leggendo componimenti

L’ondeggiare del treno e camminare conferiscono alle due raccolte poetiche punti di contatto, ma anche differenze. Parla Franca Mancinelli, affermando che la prosa l’ha sempre accompagnata in quanto contiene una dolcezza maggiore. Legge da “Luminescenze”, una sezione del libro dal nome ipnotico che suggerisce il superamento di un trauma: sceglie questa parte poiché inizia in prosa e finisce in frammenti. Approfondendo l’anatomia di “Tutti gli occhi che ho aperto” , la donna afferma di aver inserito delle pagine bianche come “divisori” affinché tra una sezione e l’altra si possa riflettere ed elaborare ciò che è stato letto. Elisa Donzelli, invece, spiega che la sua poesia-narrazione parte dal particolare per arrivare all’universale: nei suoi componimenti devono convivere narrazione e condensazione. Legge quindi “l’espatriata” , metà in versi e metà in prosa, per poi leggere una poesia dedicata al crollo dell’Aquila.

Riflessioni sul percorso

in chiusura Fabrizio Lombardo chiede ad entrambe una riflessione sul percorso: ad Elisa Donzelli chiede se stesse già pensando a divulgare qualche altro progetto, ma la donna si astiene dal rispondere, augurandosi di non aver scrivere nuovamente in seguito ad un incontro traumatico. A Franca, invece, viene chiesto il suo punto di vista riguardo il suo stesso libro, ossia come questo sia percepito da lei: un punto d’arrivo? Una ripartenza? Anche la sua risposta è vaga: il suo operato deve ancora parlarle del tutto, la scrittura è un ingresso nella nostra camera oscura, e lei lo sente ancora nell’ombra.
L’incontro viene traghettato alla conclusione tramite la lettura di altri brevi frammenti da “Luminescenze”, e due poesie (“insetto” per la madre, “il covid ha sei anni” per il figlio) di Elisa Donzelli.

 

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