Sabato 29 agosto, in un Pincio illuminato dai colori del tramonto, Filippo Scòzzari, uno dei più importanti artisti della scena italiana ed europea, ha presentato un’antologia di suoi racconti di fantascienza dagli anni 70 agli anni 2000: Lassù no, edito da Coconino Press. Scòzzari ha conversato nel corso dell’evento con il critico di fumetti Alessio Trabacchini.

Si tratta sì di una raccolta di racconti che vira, però, verso una graphic novel: la nuova edizione deluxe ha un formato differente rispetto alla precedente. Si tratta di racconti di fantascienza ma bisogna tenere a mente, nell’approcciarcisi, la visione della fantascienza di Scòzzari: secondo l’autore la fantascienza è nella nostra testa, non bisogna andare altrove, in altri mondi.

La molla

Cosa spinge un artista a disegnare e scrivere? Per Scòzzari il fumetto e la scrittura sono le bombe atomiche che puoi scatenare contro i tuoi nemici perché difficilmente questi potranno restituirti il favore. Per questo motivo libri e fumetti possono essere considerati anche l’arma del vigliacco perfetto. “L’essere adirati fortemente contro qualcuno costituisce una molla, una spinta irrefrenabile nella produzione artistica”, dice Scòzzari.

Delirio e perfezionismo

La poetica di Filippo Scòzzari è caratterizzata da una combo di delirio e perfezionismo. Secondo l’artista, infatti, il delirio costituisce l’elemento scatenante ma è necessario che  saperlo governare. L’opera di Scòzzari è, pertanto, caratterizzata da un governo perfetto, spasmodico e ferreo sulle creazioni “Ed è così che dev’essere altrimenti è troppo facile fare i matti”. Ne emerge una costante necessità di governare una materia ribollente di delirio.

Per quanto riguarda il genere, leggendo l’opera di Scòzzari, talvolta, si ha l’impressione che egli usi piuttosto un contro-genere. La sua è una fantascienza indubbiamente diversa:

“Dopo un’infanzia passata a leggere e guardare puttanate invereconde ho deciso di vendicarmi: non c’è bisogno di andare sulle stelle per trovare la fantascienza, noi siamo le stelle.”

Storie politiche

È inportante tenere a mente che tutte le opere del fumettista sono opere politiche: “Io disegagnavo e Bologna era in fiamme, io facevo la puntaalle mative ed i bravi ragazzi alzavano le barricate”. Nel bel mezzo del ‘77 bolognese Filippo Scòzzari aveva compreso il valore politico del fumetto:

“Prendere le manganellate è il modo migliore per nutrirsi di odio nei confronti della realtà, soprattutto quando non le puoi restituire. Il mio manganello era la matita, disegnare mi dava l’opportunità di mettere in atto delle sane vendette”.

Se il fumetto è in grado di leggere la realtà, L’opera di Scòzzari ha il merito di incidere su di essa “A quel punto la realtà reagisce facendo telefonate”, conclude il fumettista.

L’opera di Tommaso Landolfi

Fondamentale nell’opera di Scòzzari è l’influenza di Tommaso Landolfi. Trabacchini ammette che, dovendo spiegare ad una persona estranea al mondo del fumetto chi sia Scòzzari, citerebbe indubbiamente Landolfi. Una delle opere più note di Scòzzari fu proprio la versione a fumetti de Il mar delle blatte (uno dei racconti presenti nella raccolta Il mar delle blatte e altre storie di Landolfi).

Come andò la vicenda? Scòzzari lesse Cancroregina, rimase colpito dalla scrittura fina ed elegante anche se alla terza pagina lo giudicò una noia totale. Indispettito iniziò a sfogliare il librone e si imbatté ne Il mar delle blatte; pensò che quel racconto fosse stato scritto pensando a lui: lo percepì come una voce moderna che gli parlava dal passato. “Era, però, ignoto alle tribù che mi mantenevano”, continua Scòzzari, pertanto il fumettista decise di rimanere fedelissimo all’opera di Landolfi senza cambiare nulla e uscì in quattro puntate sul mensile francese Frigidaire. Il libro fu pubblicato senza mai essere pagato dai francesi, lo stesso Scòzzari fu ripagato con appena dieci copie dell’album. Per non pagare i diritti, inoltre, gli autori francesi non citarono neppure Landolfi in copertina.

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