Alessandra Rossi | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Mon, 21 Jun 2021 06:35:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8 https://2021.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Alessandra Rossi | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ 32 32 Antonella Viola e l’esercizio del pensiero scientifico https://2021.passaggifestival.it/antonella-viola-passaggi-festival/ Mon, 21 Jun 2021 02:18:54 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82066   Ad aprire gli eventi in piazza nella terza serata di Passaggi Festival è Antonella Viola. L’immunologa ha presentato il suo libro Danzare nella tempesta. Viaggio nella fragile perfezione del sistema immunitario (Feltrinelli). L’autrice è stata intervistata dalla giornalista Alessandra Longo. Antonella Viola ha iniziato, inoltre, il suo incontro raccontando del suo legame forte con […]

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Ad aprire gli eventi in piazza nella terza serata di Passaggi Festival è Antonella Viola. L’immunologa ha presentato il suo libro Danzare nella tempesta. Viaggio nella fragile perfezione del sistema immunitario (Feltrinelli). L’autrice è stata intervistata dalla giornalista Alessandra Longo. Antonella Viola ha iniziato, inoltre, il suo incontro raccontando del suo legame forte con Fano, dove ha trascorso un anno tra il 2012 ed il 2013 e dove ritorna periodicamente con piacere.

L’attuale situazione pandemica ed i vaccini

All’inizio dell’intervento Alessandra Longo ha chiesto ad Antonella Viola di fare il punto sull’attuale situazione pandemica e di commentare l’andamento del piano vaccinale e le recenti vicende legate al vaccino AstraZeneca. L’immunologa si è subito rivelata critica nei confronti della scelta della parola “consigliabile” utilizzata da AIFA rispetto alla seconda dose di un vaccino diverso per gli under 60 che hanno fatto la prima dose di Astrazeneca, poiché da un’agenzia del farmaco ci si aspetterebbe maggiore chiarezza. Secondo Antonella Viola, afvorevole all seconda dose con un vaccino diverso per gli under 60, affidare la scelta al singolo o al proprio medico di base è, in realtà, un pericoloso errore, un modo di scaricare responsabilità sui medici di base.

Alla constatazione di Alessandra Longo sulle numerose disdette che stanno caratterizzando gli ultimi giorni della campagna vaccinale Antonella Viola si rivolge direttamente alle persone spaventate: l’immunologa infatti ci tiene a precisare di come tutti i vaccini proteggano dalla malattia grave e di come questa protezione sia fondamentale in un contesto in cui il virus sta mutando e che, nonostante in estate circoli meno, non è detto che a settembre ed ottobre non si ripresenti come avvenuto lo scorso anno. La differenza, però, precisa la Viola, è proprio nella protezione fornita dai vaccini.

Un libro sull’amore

Nel momento in cui l’immunologa inizia a parlare del suo libro, come evidenzia Alessandra Longo, emerge subito un totale un innamoramento  ed una forte passione per il proprio lavoro. nel suo Danzare nella tempesta. Viaggio nella fragile perfezione del sistema immunitario, infatti, Antonella Viola descrive, spiega e racconta il sistema immunitario con un linguaggio romantico: i meccanismi che lo riguardano sono descritti in modo accattivante anche per lettori non esperti. E così l’incontro tra le sentinelle (che dalla periferia arrivano nei linfonodi) con i linfociti viene descritto come un tango: si tratta di un momento decisivo, dice l’immunologa, in cui si scopre se le informazioni che arrivano al sistema immunitario sono giuste o sbagliate, “se l’affinità funziona”.

Il messaggio del pescegatto

Antonella Viola si è avvicinata alla biologia perché molto sensibile alle tematiche ambientali, una sensibilità, che, essendo lei di Taranto, è inevitabilmente legata alle vicende dell’Ilva. Durante l’incontro ci tiene a precisare di non essere un medico ma una biologa e ripercorre il suo percorso dallo studio degli effetti dei metalli pesanti sul sistema immunitario del pescegatto presso l’Università di Padova, durante il quale si è ritrovata più volte a pescare i pesci nelle vasche con le proprie mani, al Basel Institute of Immunology (a soli 25 anni, ndr) dove nell’arco di pochi mesi pubblicherà il suo primo articolo su Science. Il messaggio del pescegatto consiste pertanto, per l’immunologa, in una spinta al non demordere, a lavorare, anche facendo cose che apparentemente sembrano allontanarci dall’obiettivo più importante, poiché “non è mai tempo buttato quando le cose si fanno con passione”.

Previsioni

L’immunologa inizia, poi, a parlare del rapporto tra scienza e comunicazione: una pandemia infatti era stata prevista dal mondo scientifico da diverso tempo e se ne parlava durante i convegni e gli incontri frequentati esclusivamente da addetti ai lavori. Ciò che è mancato, secondo Antonella Viola, è stata proprio una traduzione ed un’interazione con le istituzioni e con il grande pubblico. La pandemia probabilmente sarebbe arrivata lo stesso ma ad aspettarla avrebbe trovato un piano pandemico strutturato meglio. Invece questi ultimi anni hanno evidenziato come la scienza non sappia comunicare con la politica, scienza che invece dovrebbe essere una bussola che orienta le scelte politiche. Alla luce di tutto ciò l’immunologa lancia un appello importante: nel 2050 la prima causa di morte saranno, presumibilmente le infezioni, questo sarà legato ad una sostanziale resistenza che stiamo sviluppando agli antibiotici. Antonella Viola, però non si riferisce all’assunzione personale degli antibiotici (che hanno salvato e continuano a salvare moltissime vite) ma all’utilizzo massiccio di questi nella catena alimentare. Questa resistenza che, per ora, colpisce persone tendenzialmente molto fragili potrebbe, con il tempo, andare a colpire anche le persone in salute. Per questo, secondo Antonella Viola, è necessario agire subito, smetterla di usare il pianeta come discarica ed investire in ricerca.

Pensiero scientifico e ricerca

È necessario, inoltre, secondo l’immunologa, educare i cittadini tutti al pensiero scientifico: la scienza, infatti, si misura con l’incertezza e nella capacità di un determinato argomento di creare dibattito. Anche nel mondo scientifico c’è dibattito e, talvolta, divisione, soprattutto rispetto ad un argomento nuove ed imprevedibile come il Covid: da un lato qualcuno si è confrontato con gli altri e ha studiato, dall’altro, invece,qualcuno si è lasciato andare di più alla propria intuizione. La medicina deve, però, secondo Antonella Viola, fare un salto di qualità e non può essere più basata sull’intuizione, tale approccio, infatti, è considerato totalmente anacronistico e polveroso. Questo preciso momento che stiamo vivendo, secondo l’immunologa, è una grandissima occasione per far capire che la scienza è fortemente democratica: “è ovvio che non si possa scegliere ad alzata di mano se la legge di gravità vale o non vale” ma nelle questioni importanti, come quando parliamo di sanità o di ambiente, le persone non sono solo spettatori ma hanno anche potere decisionale e, quindi, vanno coinvolte. Quando si decide di vaccinarsi, per esempio, è necessario, afferma Antonella Viola, che i cittadini siano preparati e consapevoli poiché alla base di una scelta libera c’è la conoscenza.  L’educazione scientifica, pertanto, deve iniziare nelle scuole elementari: qualunque bambino deve trarre vantaggio ed esercitare il dubbio sistematico, esercitare il pensiero scientifico.

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Un viaggio nell’Italia del futuro: dalla crisi climatica ai fiordi dell’Adriatico https://2021.passaggifestival.it/pievani-ferrarese-passaggi-festival-italia-futuro/ Sun, 20 Jun 2021 09:21:27 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=81917 Sabato 19 giugno, in una Piazza XX Settembre gremita, il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani ed il cartografo Francesco Ferrarese hanno presentato il libro Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La straordinaria geografia del nostro futuro (Aboca Edizioni), scritto anche con il geografo Mauro Varotto. Sul palco, a conversare con gli autori, c'era il giornalista di Rai radio 2 Massimo Cirri.

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Sabato 19 giugno, in una Piazza XX Settembre gremita, il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani ed il cartografo Francesco Ferrarese hanno presentato il libro Viaggio nell’Italia dell’AntropoceneLa straordinaria geografia del nostro futuro (Aboca Edizioni), scritto anche con il geografo Mauro Varotto. Sul palco, a conversare con gli autori, c’era il giornalista di Rai radio 2 Massimo Cirri.

Il cambiamento climatico, qui ed ora

Il libro è ambientato nell’Italia del 2786 attraversata da un giovane, Milordo, che ripercorre il celebre Grand Tour, il viaggio compiuto esattamente 1000 anni prima da Gohete e da altri giovani europei per entrare in contatto con i tesori e le culture dello stivale.  L’Italia che si presenta a Milordo è, però, un paese totalmente diverso da quello in cui ci muoviamo nel 2021 e questo è già chiaro dalla copertina del libro: una costa Adriatica caretterizzata da fiordi, il lido di Lodi, Roma e Firenze tenute in bilico su palafitte ne sono solo alcuni esempi. Francesco Ferrarese, che si è occupato di disegnare le cartine, ci spiega subito che quell’immagine dell’Italia raffigurata nella copertina, che a primo impatto potrebbe trasmettere spaesamento e confusione, è una proiezione di come potrebbe essere il nostro paese nell’ipotesi sciagurata che entrambe le calotte si sciolgano. Si tratta, pertanto, di una mappa irrealistica ma, come ci tiene a precisare Telmo Pievani, non così lontana se si pensa che “il Mar Mediterraneo sta per essere riclassificato, in base alle specie trovate al suo interno, in un mare tropicale”. Nonostante il libro sia ambientato in un futuro molto lontano, infatti, Pievani e Ferrarese ribadiscono durante tutto l’incontro come il cambiamento climatico non sia un qualcosa di lontano, che riguarda il futuro ma un qualcosa di presente che incombe su tutti noi, su alcuni più che su altri.

Cambiamento climatico e migrazioni

Nel libro ci viene presentato uno dei quadri catastrofici che gli esperti ci segnalano. Nei prossimi anni, infatti, il cambiamento climatico verrà percepito maggiormente in Italia. Il nostro paese è uno dei più vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici:  è un luogo con una biodiversità incredibile in quanto punto di passaggio, questa sua posizione, però, lo rende anche una zona estremamente critica. In futuro anche l’Italia sarà interessata da migrazioni interne per cause climatiche: “Belluno potrebbe diventare, per le migrazioni, la nuova Manhattan”.

Quello che succede in questa Italia immaginata, però, sta succedendo già adesso. Interi paesi, soprattutto nella fascia tropicale, stanno soccombendo e le migrazioni climatiche sono un fenomeno del nostro presente. Le Nazioni Unite, che di solito fanno stime prudenziali, hanno calcolato che, entro il 2050, 200 milioni di persone dovranno lasciare i propri luoghi d’origine a causa del cambiamento climatico: l’80% di questi migranti rimarrà nella propria nazione andando ad affollare le periferie delle grandi città.

Cos’è l’Antropocene?

Il libro parte da una  provocazione: ufficialmente, infatti, l’Antropocene non è stato ancora riconosciuto come era geologica ma l’anno prossimo verrà certificato dalla comunità scientifica diventando, così, l’era in cui stiamo effettivamente vivendo. Siamo entrati in un’era geologica nuova proprio perché l’Homo Sapiens è diventato una forza geologica e chi verrà dopo di noi non potrà che vedere i segni della nostra attività nella stratificazione archeologica. Ma quando è cominciato l’antropocene? Per stabilire l’inizio di un’era ci vuole un segno specifico, quello che gli studiosi chiamano “chiodo d’oro”. Dal dibattito sono emerse diverse opzioni: una scuola di pensiero voleva farlo iniziare con l’avvento dell’agricoltura,  un’altra ancora con quello della macchina a vapore, alla fine si è optato per farlo cominciare dal 1945. Si è scelta questa precisa data poichè, anche tra 50 milioni di anni, gli studiosi vedranno uno strato precisissimo: gli elementi radioattivi di scarto delle bombe atomiche e degli esperimenti nucleari.

Gli archeologi del futuro non troveranno solo scarti radioattivi ma si dovranno confrontare anche con una presenza pervasiva di microplastiche. Il cartografo Francesco Ferrarese ha spiegato, infatti, come uno dei markers più forti di questa nostra epoca sia proprio la plastica che produciamo, non solo gli oggetti in plastica, ma anche tutte quelle fibre di plastiche, quasi impercettibili, che negli anni sono state completamente sottovalutate: scarti di lavatrice, pneumatici che si deteriorano, e, in generale, qualsiasi  oggetto in plastica che si degradi,  si riversano nei corsi d’acqua e poi in mare, fino ad arrivare nella Fossa delle Marianne.

Una crisi di ingiustizia

In questo momento, affermano gli autori, è come se stessimo tagliando il ramo su cui siamo seduti con una certa incoscienza e noncuranza. Eppure gli effetti dei cambiamenti climatici sono presenti ed anche drammatici soprattutto in alcune parti del mondo. La crisi ambientale, infatti, crea ingiustizia sociale poiché i paesi che già stanno pagando e che pagheranno di più per il nostro tenore di vita insostenibile sono proprio quei paesi che hanno il minore impatto nel cambiamento climatico. A questo discorso, inoltre, può essere applicato anche  un dato generazionale. Proprio le future generazioni, infatti, quelle che ancora non hanno avuto modo di devastare il nostro pianeta saranno anche quelle che pagheranno di più: “Stiamo scaricando un debito terribile su chi non l’ha prodotto e questa è un’enorme ingiustizia”.

Dall’Amazzonia alla pandemia

Anche le pandemie hanno a che fare con l’ingiustizia climatica. Sul palco Pievani ci spiega come l’immagine della deforestazione dell’Amazzonia sia inevitabilmente collegata all’immagine di una persona malata di Covid in una terapia intensiva italiana. Deforestazione, infatti, significa anche un aumento vertiginoso del numero di contatti con animali selvatici, proprio questo contatto avrebbe determinato il passaggio di specie del virus e la diffusione della malattia. Per questo motivo è importante iniziare a pensare che le pandemie non siano castighi divini o eventi occorsi casualmente ma che abbiano radici profonde. Scoprire queste cause profonde servirà anche, secondo gli autori, a non usare più la tecnologia in modo utilitaristico  e a non deresponsabilizzarci attraverso di essa per poter continuare a consumare come se non ci fosse un domani. La tecnologia, infatti, non può risolvere tutti i problemi che noi creiamo e non devono esserle riconosciuti poteri salvifici.

Il pensiero delle cattedrali

Ma cosa possiamo fare per contrastare tutto questo? Innanzitutto è fondamentale inserire la tutela dell’ambiente nella costituzione poiché quello che facciamo, o che non facciamo, oggi è in grado di plasmare il futuro. Integrare la costituzione non ci costerebbe niente ma ci porterebbe un grandissimo vantaggio di lungimiranza: non si tratterebbe, infatti, solo di un esercizio formale ma di un esempio di continuità nell’azione politica. Ciò che bisogna imparare a fare secondo gli autori, infatti, è agire con lungimiranza, mettere in pratica “il pensiero delle cattedrali”: bisogna iniziare ad agire adesso sapendo che i nostri nipoti godranno degli effetti di tutte le azioni positive che compiamo oggi.  In sostanza bisogna comportarsi come chi costruiva cattedrali nel Medioevo pur sapendo che non avrebbe mai fatto in tempo a vedere la sua opera compiuta. Per fare ciò, sostiene Pievani “C’è bisogno di statisti illuminati”.  Anche noi, ad ogni modo, possiamo avere un impatto importante: l’alimentazione, per esempio, è uno un aspetto fondamentale nei cambiamenti climatici. Basterebbe , per esempio, semplicemente ridurre la carne del del 30% o iniziare a chiedersi non soltanto più il costo effettivo dei prodotti che compriamo ma anche il loro costo in termini ambientali.

 

 

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Non esiste filosofia al di fuori della gioventù https://2021.passaggifestival.it/leonardo-caffo-non-esiste-filosofia-al-di-fuori-della-gioventu/ Fri, 18 Jun 2021 23:25:13 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=81754 Venerdì 18 giugno, nella splendida cornice della Chiesa di San Francesco, il filosofo Leonardo Caffo ha presentato il suo libro Essere Giovani. Intervistato dalla critica letteraria Carolina Iacucci, Caffo ha proposto al pubblico un nuovo modo di pensare la filosofia partendo proprio dalla gioventù.

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Venerdì 18 giugno il Filosofo Leonardo Caffo ha aperto la Rassegna di saggistica Libri alla San Francesco con il suo libro “Essere Giovani” (Edito da Ponte delle Grazie), l’autore ha conversato con la critica letteraria

Un cambiamento di prospettiva

Nel libro si parla di gioventù ma non di una gioventù anagrafica. Questa, infatti, viene descritta come uno stato di grazia dal quale si può uscire ed entrare durante il corso della propria vita. Su tale possibilità Caffo ha costruito il suo lavoro ipotizzando una filosofia che organizzi le categorie del mondo dalla prospettiva dei più giovani. La filosofia occidentale, che viene maggiormente studiata negli ambienti accademici, è, infatti, una filosofia che nasce dalle domande che si sono posti uomini adulti, quasi sempre bianchi ed Europei. La rivoluzione che Caffo ci propone di fare è, pertanto, profonda e, in qualche modo, destabilizzante: assomiglia a quel passaggio che da diversi anni viene proposto dagli studi umanistici globali, attraverso i quali si intende superare la nostra concezione tipicamente eurocentrica del sapere. Ciò che Leonardo Caffo ci invita a considerare attraverso le pagine del suo libro, però, è un cambiamento di prospettiva non più geografico ma anagrafico.

Perché la gioventù?

Perché, come ha spiegato Caffo durante l’incontro, caratteristica della gioventù è proprio l’incapacità di arrivare all’universale senza prima passare dal particolare. Vera essenza della gioventù, infatti, è lo stare vivere il momento contingente, il qui ed ora, e comportarsi di conseguenza: la gioventù ci da la possibilità di stare nel momento in cui si è. Mentre gli adulti sono costantemente orientati al futuro e, in questo modo, condannati ad una totale incapacità di radicarsi, ai ragazzi rimane aperto l’accesso ad una metafisica della presenza. Mentre gli adulti sentono la necessità di intrappolare tutto in determinate categorie, i bambini sembrano comprendere meglio che esiste uno stato di cose del mondo in cui le cose sono solo lì come sono. Questo vivere il presente significa non perdere la capacità di avere stupore nei confronti del mondo. Gli unici che possono provare esperienza estetica, secondo Caffo, infatti sono proprio i ragazzi.

Come recuperare questa dimensione perduta?

Leonardo Caffo ci mette in guardia, però, da una possibile banalizzazione del messaggio: il suo lavoro, infatti, non ci dice che essere giovani sia necessariamente bello ma dovrebbe portarci a ripensare a quanto e perché nella nostra società venga sopravvalutato, e spesso accelerato, il processo di maturazione. L’autore, infatti, ci invita a porci alcune domande: qual è il sistema dogmatico per cui noi abbiamo accettato di diventare adulti? Perché abbiamo accettato di invecchiare? Esiste nel nostro stesso modello di vita uno stato in cui tutto è diverso? Si può ambire in qualche modo a questo stato? Caffo ci dice di sì, proprio perché la gioventù non è solamente un fattore anagrafico. Non si tratta sicuramente di un processo facile poichè la società in cui viviamo è la prima ad ostacolarci. È comodo, infatti, che si invecchi prima del tempo per un sistema, quello capitalista,  che ci vuole consumatori facilmente manovrabili e controllabili: i giovani, d’altra parte, sono completamente imprevedibili e per questo si chiede loro di maturare in fretta.

La filosofia e l’arroganza assurda di cambiare le cose

Il libro ha la funzione di capire se la gioventù sia un qualcosa a cui si possa tendere per tornare, così, a riconsiderare un sistema di pensiero e di vita al quale potremmo sembrare condannati. La provocazione di Caffo sta proprio nel dire che, come la gioventù, la filosofia deve avere l’arroganza assurda di cambiare le cose e immaginare il modo di sovvertire tutto e che, per questo motivo, in fondo non esiste filosofia al di fuori della gioventù.

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Filippo Scòzzari: la fantascienza nella nostra testa https://2021.passaggifestival.it/scozzari-passaggi-lassu-no/ Wed, 02 Sep 2020 10:39:01 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75338 Filippo Scòzzari presenta a Passaggi festival la sua antologia di racconti di fantascienza Lassù no (Coconino Press).

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Sabato 29 agosto, in un Pincio illuminato dai colori del tramonto, Filippo Scòzzari, uno dei più importanti artisti della scena italiana ed europea, ha presentato un’antologia di suoi racconti di fantascienza dagli anni 70 agli anni 2000: Lassù no, edito da Coconino Press. Scòzzari ha conversato nel corso dell’evento con il critico di fumetti Alessio Trabacchini.

Si tratta sì di una raccolta di racconti che vira, però, verso una graphic novel: la nuova edizione deluxe ha un formato differente rispetto alla precedente. Si tratta di racconti di fantascienza ma bisogna tenere a mente, nell’approcciarcisi, la visione della fantascienza di Scòzzari: secondo l’autore la fantascienza è nella nostra testa, non bisogna andare altrove, in altri mondi.

La molla

Cosa spinge un artista a disegnare e scrivere? Per Scòzzari il fumetto e la scrittura sono le bombe atomiche che puoi scatenare contro i tuoi nemici perché difficilmente questi potranno restituirti il favore. Per questo motivo libri e fumetti possono essere considerati anche l’arma del vigliacco perfetto. “L’essere adirati fortemente contro qualcuno costituisce una molla, una spinta irrefrenabile nella produzione artistica”, dice Scòzzari.

Delirio e perfezionismo

La poetica di Filippo Scòzzari è caratterizzata da una combo di delirio e perfezionismo. Secondo l’artista, infatti, il delirio costituisce l’elemento scatenante ma è necessario che  saperlo governare. L’opera di Scòzzari è, pertanto, caratterizzata da un governo perfetto, spasmodico e ferreo sulle creazioni “Ed è così che dev’essere altrimenti è troppo facile fare i matti”. Ne emerge una costante necessità di governare una materia ribollente di delirio.

Per quanto riguarda il genere, leggendo l’opera di Scòzzari, talvolta, si ha l’impressione che egli usi piuttosto un contro-genere. La sua è una fantascienza indubbiamente diversa:

“Dopo un’infanzia passata a leggere e guardare puttanate invereconde ho deciso di vendicarmi: non c’è bisogno di andare sulle stelle per trovare la fantascienza, noi siamo le stelle.”

Storie politiche

È inportante tenere a mente che tutte le opere del fumettista sono opere politiche: “Io disegagnavo e Bologna era in fiamme, io facevo la puntaalle mative ed i bravi ragazzi alzavano le barricate”. Nel bel mezzo del ‘77 bolognese Filippo Scòzzari aveva compreso il valore politico del fumetto:

“Prendere le manganellate è il modo migliore per nutrirsi di odio nei confronti della realtà, soprattutto quando non le puoi restituire. Il mio manganello era la matita, disegnare mi dava l’opportunità di mettere in atto delle sane vendette”.

Se il fumetto è in grado di leggere la realtà, L’opera di Scòzzari ha il merito di incidere su di essa “A quel punto la realtà reagisce facendo telefonate”, conclude il fumettista.

L’opera di Tommaso Landolfi

Fondamentale nell’opera di Scòzzari è l’influenza di Tommaso Landolfi. Trabacchini ammette che, dovendo spiegare ad una persona estranea al mondo del fumetto chi sia Scòzzari, citerebbe indubbiamente Landolfi. Una delle opere più note di Scòzzari fu proprio la versione a fumetti de Il mar delle blatte (uno dei racconti presenti nella raccolta Il mar delle blatte e altre storie di Landolfi).

Come andò la vicenda? Scòzzari lesse Cancroregina, rimase colpito dalla scrittura fina ed elegante anche se alla terza pagina lo giudicò una noia totale. Indispettito iniziò a sfogliare il librone e si imbatté ne Il mar delle blatte; pensò che quel racconto fosse stato scritto pensando a lui: lo percepì come una voce moderna che gli parlava dal passato. “Era, però, ignoto alle tribù che mi mantenevano”, continua Scòzzari, pertanto il fumettista decise di rimanere fedelissimo all’opera di Landolfi senza cambiare nulla e uscì in quattro puntate sul mensile francese Frigidaire. Il libro fu pubblicato senza mai essere pagato dai francesi, lo stesso Scòzzari fu ripagato con appena dieci copie dell’album. Per non pagare i diritti, inoltre, gli autori francesi non citarono neppure Landolfi in copertina.

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Giovanni Allevi e la via dell’innovazione https://2021.passaggifestival.it/allevi-passaggi-revoluzione/ Mon, 31 Aug 2020 11:02:44 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75198 Ad aprire la Rassegna Grandi Autori nell'ultima giornata di Passaggi Festival è stato il musicista e compositore Giovanni Allevi che ha presentato il suo libro Revoluzione edito da Solferino. A conversare con l'autore c'era Massimo Sideri del Corriere della Sera.

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Ad aprire la Rassegna Grandi Autori nell’ultima giornata di Passaggi Festival è stato il musicista e compositore Giovanni Allevi che ha presentato il suo libro Revoluzione edito da Solferino. A conversare con l’autore c’era Massimo Sideri del Corriere della Sera. Davanti ad un pubblico coinvolto ed entusiasta, Allevi ha toccato molteplici tematiche. A fine incontro il compositore ha coinvolto la piazza gremita nell’esecuzione di un canto gregoriano.

Revoluzione

Giovanni Allevi è “un genio poliedrico”, così lo definisce Sideri ad inizio incontro ed andando avanti chi già non lo sapesse se ne rende conto.  Il titolo del libro Revoluzione viene presentato come un titolo “Darwiniano”: la musica è, infatti, secondo Allevi, evoluzione ed innovazione:

“La musica è sempre stato un conflitto continuo tra chi voleva difendere lo status quo e chi voleva cambiare. Indubbiamente, però, l’innovazione richiede più coraggio”.

Si tratta di un libro autobiografico: “Il manuale di un innovatore” viene definito sul palco.

La disubbidienza pacifica.

“Ma cosa significa esattamente essere un innovatore? Si tratta dell’ebrezza di uscire fuori dai binari prestabiliti…che è meraviglioso ma al tempo stesso può essere percepito come insufficiente”: Allevi ammette di essere ancora in conflitto rispetto a come comportarsi nei confronti dei grandi del passato. In ogni caso andare oltre, superare lo status quo per intraprendere la via del cambiamento sembra essere la strada più seducente per il compositore. Essere anticonformisti può essere spaventoso ma anche una liberazione: questo emerge dalle parole di Allevi che ammette di aver avuto la dimostrazione di ciò durante il lockdown:

“Viviamo in un mondo estremamente conformista ma durante la quarantena, pur nella drammaticità dell’esperienza, siamo andati oltre la normalità, siamo diventati in qualche modo straordinari. Io sono ossessionato dall’opinione degli altri ma in questo periodo ho sentito che potevo essere veramente me stesso è stato un sollievo!”

Ogni rivoluzione parte dal vuoto

E proprio durante la quarantena nasce la figura chiave del libro di Allevi: Maddalena è la vera protagonista dell’opera. Si tratta di una voce che parla ad Allevi e gli suggerisce da dove ripartire: il vuoto è la chiave. “In realtà si tratta di una pianta della quale si è preso cura durante il lockdown”: il libro è la raccolta di questi dialoghi con la pianta . Incredibile anche la scelta del nome di questa sua protagonista: inizialmente causale, ma dopo aver completato la stesura del libro, Allevi si è reso conto che stavano rifiorendo gli studi su Maria Maddalena, per questo motivo l’opera inizia con una frase sul vangelo agnostico di Maria Maddalena. ecco che questa incredibile figura femminile, simbolo di rinascita e riscatto, confida ad compositore il suo segreto: ogni rivoluzione parte dal vuoto. Maddalena era, infatti, una pianta arida, secca che del vuoto si è nutrita e che dal vuoto ha ricominciato.

Musica ed Intelligenza artificiale

Un altro tema trattato sul palco è quello dell’intelligenza artificiale e di come essa stia in qualche modo tentando di cambiare la musica. Allevi racconta un aneddoto sull’incompiuta di Schubert. “Schubert era giovane quando ha scritto l’incompiuta, il suo problema è stato quello di aver vissuto nel momento di massima esplosione di Beethoven. Confidò ad un amico di aver scritto una sinfonia ma di non volerla finire perchè tanto il genio Beethoven l’avrebbe oscurata”. Il problema di Schubert, secondo Allevi, era semplicemente quello di non essere in linea con il proprio tempo perché già parte di quel mondo romantico che si sarebbe imposto successivamente:”Ecco il dramma dell’innovatore!”

Ritornando all’Incompiuta, qualche anno fa Allevi fu invitato a Londra a sentire il completamento della sinfonia generato da un’intelligenza artificiale. Il terzo e quarto movimento sembrarono al compositore perfetti ma, ascoltando più profondamente, si accorse che a mancare erano proprio quelle meravigliose melodie presenti nei movimenti di Schubert, quelle melodie che erano sopravvissute attraverso i secoli. Allevi aveva trovato quel qualcosa di irriducibile nell’essere umano che un computer non potrà mai creare:

“L’essere umano possiede, a differenza del computer, il senso della morte: ed ecco che l’artista partorisce l’opera come una reazione a questo sgomento nei confronti del senso di caducità. E questo sentimento di rivalsa è proprio dell’arte ma anche della ricerca scientifica.”

 

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Italia e Albania: sulle sponde dello stesso mare https://2021.passaggifestival.it/dedja-taci-passaggi-2020/ Sun, 30 Aug 2020 14:46:07 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75192 L'ultimo incontro di ieri San Francesco ha avuto come protagonisti due autori albanesi Arben Dedja e Durim Taci.

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Dedja-Taci-Passaggi-2020L’ultimo incontro della giornata alla San Francesco ha avuto come protagonisti due autori albanesi Arben Dedja e Durim Taci che hanno presentato le loro opere, rispettivamente Trattato di medicina in 19 racconti e ½ (Vague Edizioni) ed Extra Time (la tua seconda persona) edito da Mimesis Edizioni.

Europa/Mediterraneo

Il legame con gli autori albanesi non è nuovo per il Festival: la Rassegna di Narrativa Europa/Mediterraneo è stata inaugurata lo scorso anni con l’intento di sottolineare il legame storico e culturale profondo che intercorre tra i paesi che sono collegati e allo stesso tempo separati dal Mar Adriatico. Ad intervistare i due autori c’era la giornalista del Corriere della Sera Jessica Chia che ha ricordato all’inizio dell’intervento la generosità del premier albanese Edi Rama che, nel momento più cupo della pandemia, ha mandato trenta medici a Bergamo.

È intervenuta sul palco anche L’ambasciatrice albanese che ci ha tenuto a sottolineare come queste figure siano un patrimonio sia per la letteratura albanese che per quella italiana.

Trattato di medicina in 19 racconti e ½

Arben Dedja presenta il suo Trattato di medicina in 19 racconti e ½ edito da Vague Edizioni. La Chia sottolinea come il libro sia pervaso da una componente ironica: ciò che accade negli ospedali, e che solitamente è riportato evidenziando la tragicità del luogo, diventa tragicomico e macabro nei racconti di Dedja che è un medico come suo padre e suo nonno prima di lui e che esercita la professione a Padova.

Il bilinguismo

il tema della lingua usato nella scrittura è centrale e viene analizzato più volte durante l’incontro: si tratta, infatti, di scrittori albanesi che scrivono in italiano.

Dedja spiega come gli intellettuali nell’Albania comunista facessero a gara a per far imparare ai figli più lingue straniere. L’autore racconta come tutto ciò avesse anche la necessaria copertura, una frase di Marx infatti recitava: “A foreign language is a weapon in the struggle of life” (Una lingua straniera è l’arma nella lotta della vita, ndr). Indubbiamente è traumatico e dispendioso di energie per la mente usare più lingue ma Dedja afferma di voler comunque rimanere in questa “su questo bilico”.

Anche Durim Taci si è confrontato con il tema del bilinguismo. Racconta di aver trovato a quattordici anni una rivista lasciata in spiaggia da diplomatici italiani: Taci ha conservato quella rivista per anni ammaliato dalle immagini splendide della Basilicata che emergevano dalle pagine. L’autore racconta di come l’unico modo per sopravvivere a quella dittatura durante la quale è cresciuto era il fascino per la cultura italiana. Da quella rivista Taci è arrivato poi a tradurre Svevo.

Extra Time (la tua seconda persona)

“La mia opera è un’uscita di casa” dice Durim Taci: raccoglie la strada, raccoglie il viaggio concepito sempre e solo come un ritorno e non come un “andare verso”. Taci ha avvertito la necessità di raccogliere ciò che vedeva per impastarlo con la sua storia. La storia di Taci è stata definita dall’autore “trans-autobiografica”: quando si scrive un’autobiografia, secondo Taci, non si può essere del tutto sinceri ed obbiettivi, “Quel ‘trans’, infatti”, dice Taci,Sta per tramite: un passaggio che è inevitabile che ci sia nel raccontare la propria esperienza”.

Le emozioni non si possono scrivere ma si possono proiettare: questo libro è frutto di una perdita. Extra Time è ciò che viene trovato quando si perde qualcosa e si cerca un senso, è il tempo in più, in cui riflettere e ricercare.

Italia/Albania

I due autori hanno concluso l’incontro riflettendo sulla reale identità delle loro opere: “Si tratta di opere italiane o albanesi?” chiede Jessica Chia. Per Taci è il contesto culturale, la connotazione culturale, l’approccio a rendere l’opera parte della letteratura italiana. Per Dedja, invece, la chiave sta nel riconoscere di avere due punti di riferimento, in questo caso l’Italia e l’Albania: “Riscrivere il testo in due lingue da la possibilità di fondere razionalità ed istinto”.

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Giorgio Zanchini: lezioni di giornalismo culturale https://2021.passaggifestival.it/zabchini-barbato-passaggi-2020/ Sun, 30 Aug 2020 11:05:08 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75184 Sul palco di Piazza XX settembre il giornalista Giorgio Zanchini presenta il suo libro Cielo e Soldi e riceve il premio Andrea Barbato.

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Ieri sera sul palco in Piazza XX Settembre è stato consegnato il Premio Andrea Barbato per l’edizione di Passaggi 2020 al giornalista Giorgio Zanchini. Nell’ambito della Rassegna Grandi Autori, Zanchini, ha presentato, conversando con Lorenzo Pavolini, il suo ultimo libro Cielo e Soldi (Aras).

Il tramonto di una stagione

Il libro parla di un mondo che cambia, si tratta del tramonto del ‘900: il tramonto di una stagione, di una cultura, di punti di riferimento nei quali il giornalismo è cresciuto. Zanchini sostiene che ciò che siamo vivendo è una crisi del giornalismo non solo culturale. Zanchini riporta nel suo libro il pensiero di Massimiliano Panarari secondo il quale la crisi del giornalismo sarebbe soprattutto frutto di una crisi della scena pubblica che vede il compiersi di un individualismo anche nel modo di consumare cultura.
Il lavoro del giornalista culturale diventa, pertanto, sempre più complesso. Una delle sfide più importanti sta proprio nel capire come trovare i nuovi lettori.

Nuovi lettori

La rivoluzione digitale ha cambiato davvero tutto nel modo di fare informazione. Nel ‘900 l’offerta era facilmente leggibile: il quotidiano cartaceo era “Uno straordinario fatto organizzativo” che ci dava un ordine nella lettura delle cose del mondo. Oggi i consumi dei più giovani e, più nello specifico, il modo di informarsi delle nuove generazioni è totalmente diverso, a cambiare è, indubbiamente, anche il modo di partecipare alla produzione dei contenuti culturali. Lo strumento che ha cambiato sostanzialmente il modo di informarsi è lo smartphone “Che ha, però, portato anche libertà, partecipazione ed emancipazione alla radio”, dice Zanchini.

La televisione digitale e la frammentazione dell’offerta

Con la televisione digitale e la frammentazione dell’offerta fare informazione è, per certi versi, più facile, sostiene Zanchini: “La cultura trova delle case molto ospitali“, si tratta di canali culturali che rimangono indirizzati ad un pubblico più di nicchia. La televisione generalista deve però continuare a tener conto dei numeri, “La capacità che hanno avuto alcune trasmissioni generaliste è stata riuscire a tenere insieme qualità, divulgazione ed intrattenimento”, afferma Zanchini, “È un modo di fare spettacolo tipicamente anglosassone, la spettacolarizzazione del sapere”.

Ricucire lo strappo

Pavolini fa notare come un elemento molto presente nell’informazione culturale sia la storia: vediamo il racconto storico sopravvivere e guadagnare molta centralità. “Si può pensare che possa essere il racconto della storia a ricucire lo strappo tra le nuove generazioni? Non serve per forza ad ogni generazione conoscere la propria storia?”, chiede Pavolini a Giorgio Zanchini. Il giornalista parla di una generazione caratterizzata da una grandissima orizzontalità e velocita ma anche da una certa carenza di verticalità e profondità: in questo contesto la storia potrebbe essere effettivamente lo strumento in grado di legare le generazioni. Zanchini racconta come, oggettivamente, il giornalismo italiano sia stato sempre attento alla dimensione storica.

Si può parlare di cultura solo se c’è controversia

Zancini e Pavolini continuano parlando di come la seconda metà degli anni ’80 sia stata l’età dell’affermazione della televisione commerciale, che indubbiamente ha imposto un tipo di linguaggio legato alla controversia, alla lite. Ciò però dipenderebbe anche dal fatto, dice Zanchini, che gli Italiani non hanno la cultura del dibattito regolamentato. L’elemento televisivo avrebbe, inoltre, secondo il giornalista, havrebbe corroso la qualità del discorso politico ed i social media avrebbero dato man forte a questo aspetto.

La mediazione

Il giornalista culturale è una figura di mediazione: “Un buon mediatore culturale deve connettere i significati”, dice Giorgio Zanchini. Si è persa la figura del critico militante che faceva da mediatore, “Oggi sulla base di cosa facciamo la nostra scelta nel consumare cultura?”, sicuramente la figura dell’influencer si è incanalata in questo sistema muovendo il mercato molto più di quanto possa fare un critico. Cosa deve fare allora un giornalista avvertito e capace?:

“Mettere in connessione tutti questi mondi, presidiare i luoghi in cui c’è circolazione di idee e segnalare i mondi che lui, in ragione della sua preparazione, frequenta e conosce e quindi consigliare. Deve essere un filtro avvertito.”

Il mediatore in un certo senso è, secondo Zanchini, equiparabile ad un genitore o ad un insegnante che dia verticalità ad una generazione, quella dei giovani di oggi, in grado di usare sapientemente molteplici strumenti culturali. Questo compito, conclude il giornalista, lo sta già adempiendo la scuola: “È lì che bisogna investire”, conclude.

La consegna del Premio Andrea Barbato

Alla fine dell’incontro salgono sul palco Ivana Monti Barbato, Nando Dalla Chiesa e Ludovica Zuccarini per la consegna del Premio giornalistico Andrea Barbato, per il merito di aver esercitato la professione giornalistica con sapienza, onestà e competenza.

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Giovanni Truppi: da Cinque ad Uno https://2021.passaggifestival.it/truppi-passaggi-festival-2020/ Sat, 29 Aug 2020 10:58:49 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75127 Il cantautore Giovanni Truppi presenta il suo album Cinque (Coconino Press), pubblicato con una serie di racconti a fumetti. Con lui al Pincio tre degli autori: Cerri, Pronostico e Risuleo

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Ieri sera il Pincio ha ospitato un incontro che ha racchiuso in sé l’anima delle rassegne di Passaggi ospitate dal Pincio. Il cantautore Giovanni Truppi ha, infatti, parlato del suo ultimo album Cinque arricchito da una serie di brevi racconti a fumetti legati alle sue canzoni ed edito da Coconino Press. Con lui tre tra gli autori di questi racconti a fumetti: Antonio Pronostico, Fulvio Risuleo (autori del racconto Mia) e, a sorpresa, Mara Cerri (autrice di Procreare). A conversare con gli artisti sul palco c’era il critico di fumetti Alessio Trabacchini. Alla fine della presentazione il cantautore ha regalato una performance live al pubblico di Passaggi.

Da Poesia e Civiltà a Cinque

I fumetti sono tutti diversi tra loro e, come ha evidenziato Alessio Trabacchini, questo tipo di lavoro ha il merito di portare il fumetto nelle mani di chi solitamente non legge fumetti. Truppi racconta di come il progetto sia nato in maniera piuttosto istintiva: l’album Cinque racchiude tre canzoni di Poesia e Civiltà (il precedente album), per il quale Truppi aveva già pensato ad una componente grafica.

Procreare, dalla moltitudine all’uno

La prima a parlare del suo lavoro è l’illustratrice Mara Cerri, l’unica ad aver lasciato il testo della canzone così com’era nel racconto. Si tratta di un testo intimo e profondo che racchiude in sé un tema ricorrente nell’opera di Truppi: il confronto continuo tra la moltitudine di pensieri e teste e la sensazione di fare parte di un organismo unico. Il testo è sostanzialmente uno scambio di confidenze e paranoie che confluiscono spesso in momenti di spaesamento ed indefinitezza e di confusione o fusione con gli altri. L’autrice sembra essere perfettamente in sintonia con la poetica del cantautore, dimostrando attraverso le sue parole di averla compresa profondamente. Ed è proprio questa comprensione e questa comunione artistica ad aver dato vita ad una delle storie più belle ed interessanti del libro.

Mia, i due livelli della fine di una storia

Il racconto basato sulla canzone Mia, e realizzato da Pronostico e Risuleo, è caratterizzato da elementi che, diversamente dal lavoro precedente, integrano il testo della canzone di Truppi. Fortemente voluta dai due autori, la canzone è il racconto di una storia d’amore che finisce, della disperazione di chi viene lasciato ed implora sotto la finestra della sua amata di tornare. L’elemento più interessante inserito dai due autori è indubbiamente il controcampo della ragazza, un nuovo punto di vista che costituisce un ulteriore livello narrativo. Truppi ammette di aver dovuto elaborare questa interpretazione; indubbiamente, però, questo incontro tra diverse sensibilità artistiche ha favorito la nascita di un lavoro che raggiunge alti livelli poetici.

Il live

È quando Giovanni Truppi inizia a suonare che comincia la magia. In un Pincio stregato, il cantautore, da solo con la sua chitarra, ha riempito il palco. Si sono susseguite diverse canzoni, a mala pena presentate. Eppure sembrava di conoscerle sin dalla prima nota, dalla prima parola: sono testi che parlano di esperienze comuni raccontate in modo straordinario. canzoni d’amore e di politica, che descrivono il tentativo di rilanciare l’intimità come valore sociale ed il senso politico dell’amore e dei legami sentimentali.

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Dj Linus: dallo stereo di selezione Fino a quando… https://2021.passaggifestival.it/linus-passaggi-festival-2020/ Fri, 28 Aug 2020 12:59:01 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75102 Ieri sera al Pincio il celebre conduttore radiofonico e Dj Linus ha presentato il suo libro Fino a quando (Mondadori), dando, così, il via alla Rassegna Fuori Passaggi Music & Social. Sul palco con lui Luca Valentini.

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Ieri sera, in uno splendido Pincio tutto esaurito, il celebre conduttore radiofonico e Dj Linus ha presentato il suo libro Fino a quando (Mondadori), dando, così, il via alla Rassegna Fuori Passaggi Music & Social. Sul palco con lui c’era il Dj e critico musicale Luca Valentini.

Fino a quando

Linus inizia l’incontro tranquillizzando i suoi fan: Fino a quando non è l’annuncio del suo ritiro. Si tratta piuttosto di un titolo che può avere una valenza tanto positiva quanto negativa. Nella testa di Linus, infatti, si fanno spazio una serie di domande: “Fino a quando dovrò sopportare determinati aspetti di questo lavoro?” o “Fino a quando la gente avrà voglia di sentirmi?” ma anche “Fino a quando avrò la fortuna di fare questo lavoro?”. Principalmente il libro si prefigge di raccontare il percorso che lo ha portato a diventare quello che è diventato.

Il bello della radio”, dice Linus, “È iuscire a trasmettere qualche emozione, il titolo infatti significa più che altro fin che posso”, per il Dj, infatti, un artista che non si diverte e che non ha passione per il suo lavoro diventa di fatto un impiegato.

Un inizio casuale nell’hinterland milanese

Tutto ebbe inizio in un pomeriggio del 1976. Si trattava di una radio privata: Radio Hinterland Milano Due, “Un nome che più brutto non poteva essere” dice Linus, che racconta poi di come tutte le radio degli anni ’70 si chiamassero International. La radio in cui ha mosso i primi passi, però, era in periferia e da lì Hinterland. La Prima trasmissione avvenne in maniera casuale: tutti si avvicinavano per gioco “All’inizio andava in onda chiunque…bastava che avesse due dischi da portarsi da casa”.

Wake Up Everybody

Sul palco viene, poi, trasmessa la prima canzone lanciata da Linus, risuonano le note di Wake Up Everybody di Harold Melvin & The Blue Notes, “Questa canzone mi fa pensare che mi è andata di culo” dice il Dj:

Se avessi presentato Ramaya di Afric Simone, che era praticamente contemporanea, forse non avrei mai detto che era la mia prima canzone, invece la mia prima fu questa ed è una canzone che è sopravvissuta”.

Un susseguirsi di Sliding doors che si aprono e si chiudono

Nel 1975 nasce Radio Milano International che ha dato l’imprinting a tutti i Dj più importanti che iniziavano a farsi strada in quegli anni. Costituì una meteora, lo stesso Linus ammise di esserci arrivato verso la fine, nonostante ciò è rimasta nel DNA di coloro che in quegli anni facevano radio.

Arriva, poi, Radio Music 100, a questo punto Linus inizia a fare la Radio di mestiere, era il 1980. Erano gli anni in cui suo fratello Albertino iniziava ad affermarsi nell’ambiente e la passione e l’amore per la Radio erano più forti della paura di non sfondare e di non avere successo in quel mondo. Linus lascia così il suo lavoro da operaio: “Avevo 20 anni ed ho deciso di provare a fare la Radio di mestiere…però, di fatto, ho iniziato a fare la fame di mestiere”.

La passione per la musica lo accompagnava da sempre: Linus racconta sul palco di quando si riuniva con tre amici, uno dei quali aveva uno stereo di selezione (antesignano dell’Hi-Fi) ad ascoltare dischi. Valentini a questo punto gli chiede “Prima la radio o la musica?”, Linus risponde: “Nel mio caso tutte e due, a casa mia la televisione è arrivata nel ’69, prima da noi c’era la radio, che mio padre teneva sempre accesa”. La musica era in radio, soprattutto per un bambino degli anni 60 come Linus, cresciuto con la neonata musica pop. Linus ha, infatti, anche curato una raccolta, FM Radio Evolution, in cui ripercorre i movimenti musicali passati alla Radio.

Ad un certo punto Radio Music viene acquistata da Claudio Cecchetto. Si tratta di una svolta drammatica: Linus, come i suoi colleghi, si ritrova in mezzo ad una strada, senza sapere che due anni dopo verrà richiamato dallo stesso Cecchetto a Radio Deejay, la nuova radio Music 100. Su questo Linus dice “Meglio esser scelti per il valore artistico che come pezzo d’arredamento”.

La questione delle discoteche nell’epoca post-Covid

Spesso il Deejay della Radio si trova a fare il Deejay in discoteca. Così è stato per Linus che negli ultimi tempi è stato anche protagonista di una polemica riguardante la riapertura delle discoteche nell’epoca post-Covid esprimendosi sostanzialmente contro. Rispondendo a chi gli ha detto di sputare nel piatto dove mangia, Linus ha affermato:

“Io sputo in un piatto che conosco e che ho riempito per tanti anni più che mangiarci. Sputo in un piatto che so essere cucinato male. Non ce l’ho con le discoteche in generale ma voglio vivere usando la prudenza minima che ci consenta di avere una vita normale, la riapertura delle discoteche potrebbe non garantire questo, bisogna evitare gli eccessi”.

La Radio: prima la voce poi una canzone

Per Linus la parte parlata in radio è fondamentale, poiché “Fare Radio è una questione di personalità”. Dopo anni di esperienza Linus è al momento una delle figure centrali nel panorama della Radio in Italia: di recente è diventato direttore editoriale di tutte le emittenti del gruppo GEDI “La cosa più divertente? “È che sono tornato a rompere le scatole a mio fratello!” (il fratello minore, Dj Albertino, lavora a M2o che appartiene al gruppo, ndr).

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Oliver Stone: 25 centesimi per tre Oscar https://2021.passaggifestival.it/oliver-stone-passaggi-2020/ Thu, 27 Aug 2020 10:01:54 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75007 Il 26 agosto Oliver Stone ha aperto Passaggi 2020 con il suo libro Cercando la luce. Scrivere, dirigere e sopravvivere in piazza XX Settembre.

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Oggi esce in Italia il libro del regista, sceneggiatore e produttore Oliver Stone: Cercando la luce. Scrivere, dirigere e sopravvivere, edito da La Nave di Teseo. Ospite di Passaggi 2020, ieri Stone ha aperto la Rassegna Grandi Autori in Piazza XX Settembre. Il regista ha conversato con Silvia Bizio, Corrispondente de La Repubblica da Los Angeles e Collaboratrice di Genoma Films.

25 cents per una storia

Il libro è una biografia incentrata su un periodo specifico della sua vita: quello che va dai 30 ai 40 anni. In realtà il racconto è costellato di flashback legati alla genesi della sua passione per il cinema e la scrittura. Effettivamente Stone iniziò a scrivere molto presto: quando aveva 7 anni il padre gli chiedeva spesso di scrivere brevi storie (2/3 pagine) in poco tempo per 25 cents. Sempre il padre avrebbe stimolato in lui l’interesse e la passione per il cinema: un interesse critico e consapevole, “A quattordici anni mi portava a vedere i film e poi ci concentravamo sugli aspetti tecnici, sulle problematiche”, racconta Oliver Stone.

Anni di crisi

A 19 anni Stone ha una visione del mondo oscura, sta affrontando un momento difficile, si sente perso e parte verso il Sud-Est asiatico. In Vietnam insegna, poi ricopre diverse posizioni lavorative. Di lì a due anni vi tornerà come soldato arruolato nell’Esercito degli Stati Uniti.

La guerra in Vietnam, oltre a costituire successivamente il soggetto di diverse opere, gli consentirà anche di pagarsi la scuola di cinema a New York. Dopo la laurea inizia per lui un nuovo periodo difficile: senza contatti con il mondo di Hollywood, per sette anni cerca di affermarsi senza mai riscuotere successo. A 30 anni si ritrova povero, con un matrimonio fallito alle spalle, “Perso come Dante”, ci dice, “Ma ogni sogno ha un fallimento che lo accompagna”.

La svolta: trovare un significato al fallimento

Lo spartiacque nella sua vita è un evento drammatico: la morte della sua nonna francese, alla quale era molto legato, lo porta a porsi importanti domande: “Come si cresce? Come si processano le memorie?”. Oliver Stone capisce così che deve fare i conti con il suo passato, soprattutto con le esperienze più difficili e drammatiche. Stone si rende conto che non ha veramente mai elaborato il periodo della Guerra in Vietnam e nel ’76 scrive la sceneggiatura di Platoon. L’obbiettivo è trovare il significato di quella Guerra e trovare, così, significato al fallimento in generale.

La Guerra in Vietnam: una narrazione sbagliata

La Guerra era risultata in una sconfitta per il Vietnam ma era stato sicuramente un drammatico fallimento anche per gli USA. In quegli anni Stone cerca in tutti i modi di rimpiazzare la narrazione edulcorata, che fino ad allora si era fatta del conflitto, con una narrazione dura e sincera. Hollywood sembra, però, più interessata ad un racconto caratterizzato dal successo, dalle figure eroiche in grado di alimentare il mito dell’America, un’America che non voleva riconoscere in alcun modo il proprio fallimento. In quel periodo spopolano i film con Sylvester Stallone e Chuck Norris, per Stone, invece, i rifiuti furono numerosi.

Il sogno diventa reale

Ancora una volta rifiutato ed incompreso, Oliver Stone si trasferisce prima a New York e poi in Europa. A questo punto un piccolo produttore indipendente inglese, John Daly, decide di correre il rischio e di dargli fiducia. Daly, dopo aver letto le sceneggiature di Salvador e di Platoon, chiese a Stone quale dei due avrebbe voluto girare prima. Con questa domanda, “la domanda dei sogni per ogni regista”, iniziò la sua ascesa.

Nel 1986 finalmente esce Platoon. È un film controverso che, inizialmente, viene proiettato in America solo in poche sale indipendenti: l’America sembra non voler accettare il fatto che molte delle sue vittime erano cadute in Vietnam proprio a causa del fuoco amico, per errori di comunicazione, per incompetenza e frustrazione. In poco tempo, però, il film ottiene un successo inimmaginabile e si ritrova ad incassare 140 milioni di dollari. A 40 anni Stone viene catapultato “In cima al mondo per la prima volta”: è Elizabeth Taylor a consegnargli l’Oscar, il mito della sua adolescenza.

L’importanza dell’elaborazione

Stone ha concluso il suo intervento raccontando il valore che la scrittura di questo libro ha avuto per lui. “Ho realizzato i miei sogni quando era già in età avanzata”, dice, “Quando scrivi un libro su un momento della tua vita ed hai la possibilità di guardare a quello che è stato è come riviverlo una seconda volta”. Rivivere un periodo incredibile, un periodo di dolore e rinascita, e riviverlo con la lucidità e la maturità dell’età avanzata è un’enorme opportunità. “E proprio quest’età matura”, conclude Stone, “Sarà la protagonista del suo prossimo libro”.

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