Isabella Roberti | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ Passaggi Festival. Libri vista mare Sat, 26 Jun 2021 11:17:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8 https://2021.passaggifestival.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-nuovo-logo-passaggi-festival_rosso-300x300-1-32x32.jpg Isabella Roberti | Fano – Passaggi Festival https://2021.passaggifestival.it/ 32 32 Camihawke: un romanzo per dare voce alla parte più introspettiva https://2021.passaggifestival.it/camihawke-romanzo-dare-voce-parte-piu-introspettiva/ Sat, 26 Jun 2021 11:17:33 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82842 La rassegna “Fuori Passaggi Music & Social” si chiude in bellezza al Pincio di Fano, con l’ospite Camilla Boniardi, in arte Camihawke, influencer e scrittrice. Il suo primo romanzo, edito da Mondadori, si intitola “Per tutto il resto dei miei sbagli”. A presentarlo con lei, la radio speaker Ivana Stjepanovic. Cimentarsi nella scrittura La scrittrice, […]

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Camihawke Passaggi Festival 2021

La rassegna “Fuori Passaggi Music & Social” si chiude in bellezza al Pincio di Fano, con l’ospite Camilla Boniardi, in arte Camihawke, influencer e scrittrice. Il suo primo romanzo, edito da Mondadori, si intitola “Per tutto il resto dei miei sbagli”. A presentarlo con lei, la radio speaker Ivana Stjepanovic.

Cimentarsi nella scrittura

La scrittrice, per la prima volta a Fano, è stata accolta da un pubblico molto caloroso, gran parte del quale ha già letto il suo libro. Nella realizzazione di questo romanzo d’esordio ha provato diversi sentimenti: ansia, emozione, soddisfazione e paura. Una paura declinata nella volontà di non deludere il pubblico, che sarebbe stato molto più ampio rispetto a quello di un post su Tumblr. Il timore di deludere gli altri è infatti un aspetto del carattere di Camilla, che la accompagna in vari ambiti.
Prima ancora della stesura del testo, aveva già in mente ciò che voleva raccontare e una sommaria divisione in capitoli. Ovviamente, come ogni genere di pianificazione, non è stata rispettata, però le ha permesso di affrontare l’ansia. A ciò si è aggiunta anche un’organizzazione lavorativa molto schematica, perché non le piace lavorare abbandonandosi all’ispirazione.
Mentre scriveva il suo romanzo, ha continuato a leggere i libri di altri autori e questo rischiava di bloccarla per i continui confronti. Allora l’editor le ha suggerito di riprendere a leggere solo dopo aver concluso il romanzo. Ad ispirarla sono stati maestri dell’umorismo come De Silva, che le hanno dato l’idea di raccontare una storia d’amore con picchi di dramma e un pizzico di ironia.

Un titolo tra le righe e una copertina d’autrice

Il genere romanzo le ha permesso di far emergere una parte più nascosta di sé, introspettiva e riflessiva, che non poteva trovare spazio sull’estemporaneità dei social. La copertina è coinvolgente e particolare con un intento evocativo più che didascalico. È stata realizzata dall’illustratrice Giulia Rosa, che seguiva su Instagram. Dopo averla contattata senza dirle troppi dettagli della storia, Giulia le ha mandato alcune illustrazioni ed è stato amore a prima vista con quella che poi è diventata la copertina definitiva. Per lo sfondo si sono vagliate varie opzioni: terracotta, verde e il definitivo azzurro che non è un colore amato da Camilla, ma con il quale ha fatto pace. Il titolo è stato scelto in corso d’opera. Tutti infatti le suggerivano che lo avrebbe trovato tra le righe. E così è stato, in particolare dall’ultimo capitolo.

L’importanza della comunicazione

Per Camihawke è importante parlare d’amore, non solo in una coppia ma anche tra amici e famigliari. Diventa fondamentale trovare qualcuno che utilizzi il nostro stesso codice amoroso, non per forza basato sulle parole a viso aperto ma sulla comunicazione più in generale, perché il silenzio emotivo genera sofferenza. Nel romanzo la protagonista Marta è alle prese sia con l’amore, nei panni di Dario e poi Leandro, sia con l’amicizia incarnata nella figura di Olivia.
Marta conosce Dario una sera nella Milano delle feste, ma la loro frequentazione diventerà motivo di frustrazione per Marta. In suo aiuto vi è l’incontro con Olivia che personifica quella voce interiore che ci suggerisce cosa fare, anche se poi spesso facciamo tutto il contrario. Olivia rappresenta quindi il famoso “te l’avevo detto”. È una donna diversa da Marta, più realizzata in ambito lavorativo ma con gli stessi problemi in ambito amoroso. Le due amiche hanno quindi aspetti comuni. L’autrice ritrova elementi di sé in ognuno dei suoi personaggi: le molteplici voci che aveva dentro e che voleva riportare, le ha distribuite tra i vari personaggi. Per quelli maschili ha chiesto al suo fidanzato, Aimone Romizi, se potessero essere delle voci credibili.

Venticinque anni

La protagonista del romanzo, Marta, ha venticinque anni. Questa non è considerata un’età critica, come invece lo è quella adolescenziale di cui si parla in alcuni romanzi di Silvia Avallone come “Un’amicizia” e “Acciaio”. Eppure è un’età ricca di complessità che coincide con la fine dell’università, il prendere decisioni sul futuro. Il mondo si aspetta grandi cose, perché si è adulti e si possono assumere delle responsabilità le quali nemmeno si immaginavano al liceo. Nell’ immaginario comune a venticinque anni si è realizzati, ma ora non è così e anche le facoltà che ti assicuravano un lavoro non sono più tali, c’è un senso di ansia per il futuro che si è acuito. Un periodo che ricorda quindi non spensierato, perché a volte bisogna fare i conti con l’idea di aver intrapreso un percorso che non era il più tagliato per noi. La stessa Camilla ha studiato giurisprudenza per poi dedicarsi al campo della comunicazione. Aveva delle compagne molto convinte del percorso, che desideravano diventare magistrati da quando sono nate. Lei invece aveva tantissimi interessi ed è ciò che capita alle persone “multipotenziali”, ovvero di sbagliare strada e non sapere se darsi una seconda possibilità o se è troppo tardi per farlo.

La sindrome dell’impostore

“La vita è una lunga battaglia contro la sindrome dell’impostore”.
Questo si legge nelle pagine di un libro ricco di situazioni in cui la protagonista sente di non meritarsi il successo ottenuto e che i suoi traguardi siano in realtà dovuti ad un inganno. Ne soffrono tantissime persone giovani e soprattutto femmine, che tendono a sminuirsi e ad attribuire ad altri i propri successi, vivendo nell’idea di non essere capaci e che prima o poi qualcuno smascheri questa incapacità. A Marta aiuterà tantissimo la frequentazione con Leandro, che sarà l’antidoto per le sue insicurezze e la farà rinascere. I due iniziano una frequentazione con molta lentezza e questo rispecchia la concezione d’amore dell’autrice. In un’epoca in cui tutto si basa sulla rapidità, sulla presenza di Tinder, probabilmente non si troverebbe a suo agio. La sua indole “romantica” voleva essere presente nel romanzo, con questa lentezza nella frequentazione dei due personaggi, caratterizzata da scambi di e-mail. È quindi un romanzo che vive nell’attesa dell’incontro, un po’ senza volerlo è scandito dal Covid, perché ricco di distanze nella storia d’amore.
Dario invece ha un modo di vivere l’amore diverso da Marta ed è per questo che la storia naufraga: non ha un modo sbagliato, ma diverso. Camihawke decide di non rispondere alla domanda che le chiede di dire quanto c’è di ispirato alla sua storia personale. Per lei non bisogna tracciare dei confini netti, perché così si priva il lettore di fantasia.

Marta, d’infinito e provvisorio

L’insicurezza di Marta le permette di fare delle esperienze di vita e di passare attraverso una continua messa in discussione. Tentennare si rivela salvifico: le permette di trovare un percorso più adatto a lei.
“Per tutto il resto dei miei sbagli” è un libro sulle seconde possibilità e sul riprendersi dagli sbagli. Secondo lei la serenità è dare ascolto a quelli che sono gli obiettivi personali e non agire per accontentare gli altri. Bisogna darsi del tempo per trovare qualcuno che possa apprezzare i nostri limiti, condividerli ed amarli.

Per Camihawke l’infinito è la volontà di trovare nella comunicazione la sua casa, il provvisorio è una caratteristica intrinseca di questo mondo. Basti pensare che quando ha iniziato non esisteva nemmeno Instagram.

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Tremate, tremate…le Streghe Malvagie son tornate! https://2021.passaggifestival.it/tremate-streghe-malvagie-tornate/ Fri, 25 Jun 2021 09:03:53 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82709 La splendida chiesa di San Francesco, nella penultima giornata della nona edizione di Passaggi Festival, ha visto protagoniste le “Streghe Malvagie”. Il collettivo “Il Sabba della domenica” ha infatti presentato il suo libro “Più diritti per Streghe Malvagie” (Giaconi editore), che è una raccolta di storie di diverse donne marchigiane. Sul palco hanno presenziato tre […]

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Il Sabba della domenica Passaggi Festival 2021

La splendida chiesa di San Francesco, nella penultima giornata della nona edizione di Passaggi Festival, ha visto protagoniste le “Streghe Malvagie”. Il collettivo “Il Sabba della domenica” ha infatti presentato il suo libro “Più diritti per Streghe Malvagie” (Giaconi editore), che è una raccolta di storie di diverse donne marchigiane. Sul palco hanno presenziato tre esponenti di questo collettivo: Giuditta Giardini, curatrice dell’opera, Roberta Capocuzza e Carolina Iacucci. A moderare le tre, la scrittrice e cantante Maria Antonietta.

Un libro inclusivo

Il libro è definito da Maria Antonietta come un libro piacevolmente inclusivo, che narra storie di donne di epoche differenti. Si tratta di una raccolta di pillole narrative di donne marchigiane libere, che va dall’antichità classica fino al ‘900 passando per Battista Sforza, Anita Cerquetti, Virna Lisi. Donne ricche di vitalità, al di là di ogni ideologia. Eppure questo libro non è un testo femminista per femministe, ma è aperto a tutti i generi. Inoltre, sempre nell’ambito dell’inclusività, lo stesso layout, il font, la spaziatura sono costruiti in modo tale da essere leggibili anche da persone autistiche.

La donna è un’eventualità?

La curatrice dell’opera, Giuditta Giardini, ha raccontato che la pandemia da Covid-19 ha dato alle autrici un input importante per acquisire la consapevolezza di quanto sia difficile essere una donna nella società odierna.
Il collettivo è nato dall’idea di trovare uno spazio per le donne, non solo marchigiane. In Italia c’è un umanesimo latente, che insegna che tutto è a misura d’uomo, dell’uomo vitruviano: pollice, iarda, piede. Marsilio Ficino parlava di uomo “copula mundi”, come legame del mondo. Ma la donna? Tra giubbotti antiproiettile progettati su misure da uomo, troppo ingombranti per la donna e antibiotici che hanno effetti collaterali per il ciclo mestruale, viene spontaneo chiedersi “ma la donna in questo mondo è un’eventualità, un’accidente?”. Data questa consapevolezza, Giuditta e le altre autrici del collettivo si sono mosse per cercare dei modelli di donne nelle Marche, vicino a casa. In particolare donne fedeli a se stesse, che hanno inseguito la felicità anche rinunciando all’affermazione.

Il collettivo come società ideale

Il Collettivo “Il Sabba della domenica” nasce dalla volontà reagire alla consapevolezza della difficoltà di essere donna, confrontandosi con altre donne che hanno raggiunto nello stesso momento la stessa consapevolezza. Nelle domeniche del primo lockdown le varie autrici si sono dedicate a questi incontri in videochiamata. Il collettivo nutriva l’esigenza di darsi delle regole ed è quindi diventata una palestra continua di quello che è una società ideale: si è tutte uguali e il lavoro di tutti viene vidimato dalle altre. Non esiste una riga che non sia stata oggetto di discussione. Questo ha determinato dei momenti di impasse in cui prima di prendere decisioni con l’editore era necessario “chiedere al Sabba”. La stessa copertina è stata accuratamente scelta dopo essere stata messa ai voti.

Non un libro per femministe

Come racconta l’autrice Carolina Iacucci, le donne protagoniste di “Più diritti per Streghe Malvagie” sono diverse tra loro. Si va da figure archetipiche (come il fantasma di Azzurrina, la sirena Mitì, la Madonna) a figure storiche, fino ad arrivare a donne del ‘900. C’è un’atmosfera sospesa tra realtà e finizione. La particolarità di questo libro è che non è un libro per femministe. In questa società fatta di racconti maschiocentrici, è facile cadere nel tranello di una contro-narrazione castrante. Questo libro si propone invece come un insieme di storie di donne che vogliono vivere libere alle proprie condizioni, senza rincorrere il primato sociale e la collocazione professionale. Ad esempio Anita Cerquetti e Virna Lisi hanno rinunciato a quel successo aggiuntivo che potevano avere. Anita Cerquetti poteva diventare la nuova Callas, Virna Lisi la nuova Marilyn però entrambe hanno rinunciato a ciò, come segno di forte libertà e autodeterminazione. Secondo Carolina infatti non va per forza narrato il ribellismo o la trasgressione, ma bisogna essere liberi di aderire a una narrativa più tradizionale anche perché “La libertà non è un fatto misurato esteriormente”.

Modelli intelligenti

Roberta Capocuzza discute di modelli. Secondo Maria Antonietta è importante avere modelli che non siano opprimenti, di fronte ai quali non ti chiedi se diventerai mai così. Roberta conferma e dice che l’importante è fare delle scelte che rendano felici. In questo tornano utili delle storie di donne hanno percorso una strada unica e non già segnata. Quando si è piccoli ci si trova sempre di fronte a due macromodelli: studiare e fare carriera o diventare madre. Bisogna cercare il senso di essere libere e scegliere in modo autonomo la propria strada, senza costrizioni o senza dover dar conto a dei canoni preimpostati. Spesso i modelli di riferimento sono distanti dai piccoli centri abitativi: una ragazza che abita in un piccolo centro, come sono le varie città marchigiane, ci impiega tempo per capire che può percorrere la strada che vuole, liberamente. Difatti tende a percorrere una carriera che le dia lavoro e vive come se ci fosse una spaccatura tra il raggiungere degli obiettivi e il diventare madre e moglie. Il punto è che va bene qualsiasi scelta, l’importante è che renda felici e non generi dei sentimenti angoscianti. Il libro “Più diritti per Streghe Malvagie” è un libro di donne che hanno scelto di restare fedeli a se stesse. Durante questo anno di pandemia molte donne hanno rivalutato la propria vita e questo libro vuole essere un reminder che inviti ad andare per la propria strada con coraggio.

La rivalutazione positiva del termine strega malvagia

Le donne che riescono a restare fedeli a loro stesse sono considerate delle streghe: sono persone che non subiscono il destino, ma lo agiscono. Il libro ha un taglio molto ironico, che è un aspetto inusuale nell’immaginario culturale femminile. Le donne, nonostante siamo molto ironiche nella realtà, raramente sono ironiche nella narrazione. Invece questo libro è pieno di ironia e ciò deriva anche dai verbali di alcuni tribunali dell’Inquisizione, dove le imputate davano delle risposte particolari. La stessa Giovanna D’Arco, quando le viene chiesto se Dio parlasse francese, come trappola per farla confessare, risponde: “Sì, ma è un francese migliore del vostro!”, che è una risposta profondamente ironica alla quale è difficile controbattere.
I racconti si stagliano in ordine cronologico e rappresentano la storia della donna marchigiana come è intesa dalle autrici, sostituendo il male gaze con un female gaze. Si è partiti dalla dea Fortuna, per arrivare poi a delle imprenditrici marchigiane, cercando di comprendere tutte le sfumature del carattere di queste donne, anche quelle più sensuali e seducenti, perché la stregoneria è molto legata al tema sensualità.
Il registro dell’autoironia è largamente impiegato, infatti si autodefiniscono Streghe Malvagie. Ma chi l’ha detto che è sbagliato? Se essere malvagia significa essere libera, allora tutte dovremmo essere Streghe MalvagieA tal proposito vi è anche una maglia realizzata dal collettivo che recita “We all should be Streghe Malvagie”.

La genesi di un racconto femminile

Carolina Iacucci racconta come è avvenuta la costruzione del racconto di Virna Lisi. Si è basata su un’intervista che la stessa ha rilasciato a Oriana Fallaci, cogliendone un dettaglio: nel camerino Hollywodiano vede delle bellissime peonie che giorno dopo giorno non cambiano mai aspetto. Intuisce che sono di plastica e inizialmente lo vede come un aspetto positivo dell’America: intelligenza e risparmio. In seguito invece comprende che il mondo in cui si è inserita è completamente privo di poesia e si aspetta che lei sia una bambola impeccabile. Virna Lisi si sottrae a questo mondo falso e tornando a casa segna un affrancamento. Nel racconto del soprano Anita Cerquetti c’è anche un passaggio in cui una ragazzina le chiede informazioni per delle lezioni di canto e lei risponde che deve diffidare dai maestri di canto e rivolgersi ai maestri di musica. Significa che bisogna fidarsi della propria voce e infatti nel racconto è presente un passaggio della canzone “Voce” dell’artista Madame. La voce è “una singolarità irriducibile” difesa da ognuna delle streghe del libro, che si oppongono alla rappresentazione maschile ma anche alle rappresentazioni femminili sulle donne.

Il territorio marchigiano come protagonista

L’autrice Roberta Capocuzza afferma come le Marche siano il frame geografico del libro. Si tratta di una regione in cui il paesaggio non è uno scenario neutro, ma c’è della magia e un’energia spirituale potente. Non a caso il monachesimo nasce nell’Italia centrale. Le Marche hanno una bassa densità e il privilegio di fruire il territorio con profondità e contatto. Il paesaggio entra nell’opera come elemento vitale, non solo come cornice. Una zona come quella dei Sibillini trasmette delle forte emozioni, connaturate in noi. Ogni autrice del collettivo ha portato delle storie della propria zona della Marche, che ha conosciuto proprio con la realizzazione di quest’opera. All’inizio vi è infatti una mappa chiarificatrice, come un atlante geografico che colloca le varie storie.

Il libro è corredato da immagini realizzate da illustratrici. Immagini che non sono appendici, ma protagoniste anch’esse dell’opera. Il ricavato del testo verrà utilizzato per offrire una borsa di studio ad una ragazza marchigiana meritevole e questo ribadisce il senso di comunità dell’intero collettivo “Il Sabba della domenica”.

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“Evase dall’Harem”: donne che scelgono il proprio destino https://2021.passaggifestival.it/evase-harem-donne-scelgono-proprio-destino/ Thu, 24 Jun 2021 08:50:18 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82616 Il penultimo appuntamento della rassegna “Passaggi tra le Nuvole” vede protagonista una rappresentante del fumetto al femminile: Sara Colaone con la sua ultima opera “Evase dall’Harem” edito da Oblomov.  A conversare con lei, nella cornice del Pincio di Fano, la critica di fumetti Virginia Tonfoni. La rassegna si concluderà giovedì 24 giugno con Paolo Castaldi […]

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Sara Colaone Passaggi Festival 2021

Il penultimo appuntamento della rassegna “Passaggi tra le Nuvole” vede protagonista una rappresentante del fumetto al femminile: Sara Colaone con la sua ultima opera “Evase dall’Harem” edito da Oblomov.  A conversare con lei, nella cornice del Pincio di Fano, la critica di fumetti Virginia Tonfoni.
La rassegna si concluderà giovedì 24 giugno con Paolo Castaldi che presenterà la sua graphic novel “La buona novella” , con testi originali di Fabrizio De André.

Due sorelle in fuga

La trama di questo ultimo fumetto si basa sulla storia vera di due sorelle che nel 1906, stanche della vita di restrizione dell’Harem turco in cui sono costrette a vivere, decidono di fuggire a bordo dell’Orient Express. Da Costantinopoli volgono quindi verso l’Occidente, una terra che immaginano ricca di libertà individuale e libertà di pensiero, abbandonando la Turchia dell’Impero Ottomano. Di solito infatti nelle opere di Sara Colaone c’è sempre un fondo di verità, un quadro storico reale, come dimostra anche il fumetto su Leda Rafanelli, anarchica italiana. Il punto cruciale della storia di “Evase dall’Harem” è che le due donne protagoniste autodeterminano il proprio destino, rinunciando ad uno già assegnato.

La genesi narrativa

Sara Colaone si trovava a Parigi per presentare il suo libro su Leda Rafanelli. In questa occasione le venne detto che i suoi disegni sembravano fatti da un maschio, per l’utilizzo così deciso del pennello. “Quel genere di pregiudizio da superare sorridendo, per poi voltarsi e dare un bel calcio per abbatterli”. Eppure questo tratto così decisivo colpì due sceneggiatori, Didier Quella-Guyot e Alain Quella-Villegé, che le proposero una storia da raccontare. Ad una prima lettura, la sceneggiatura le sembrò molto diversa da quella con cui era solita lavorare, ad esempio di Luca de Santis.  Decise comunque di accettare, per provare ad aprirsi ad un diverso ritmo narrativo e una strana evoluzione dei personaggi. Quando ha preparato lo storyboard, un bozzetto del libro che racconta tutta la storia per vedere se agli editori garba, ha iniziato a prendersi delle libertà. Da una sceneggiatura di una settantina di pagine sono quindi emerse più di cento pagine di fumetto, perché Sara Colaone voleva aggiungere anche delle scene più definitive e meno eclatanti.

L’intreccio tra realtà e finizione

Nel racconto entrano elementi narrativi come l’opera di Pierre Loti “Le disincantate”, pubblicata nel 1906. Lo sceneggiatore Alain Quella-Villegé è un grandissimo studioso di Pierre Loti e le ha fornito tutto il materiale per raccontare i retroscena della sua opera. C’è quindi una situazione di intertestualità: un continuo gioco di specchi tra differenti linee narrative che non sono solo invenzione, ma documenti letterari preesistenti. Lo stesso Loti fa parte della storia e per scrivere la sua opera si ispira alle due ragazze protagoniste, cambiando loro il nome. Nella storia si parla quindi di letteratura, in particolare di quella di inizi ‘900 e di Pierre Loti. Le due sorelle, figlie di un dignitario della coorte ottomana, sono state cresciute all’Occidentale. Hanno una ricca cultura fatta di conoscenza di diverse lingue e di abilità musicali. Conoscono quindi Pierre Loti, che è il loro idolo letterario. Così quando scoprono che è a Istanbul, come capitano di fregata di una nave che stazionava al porto, decidono di incontrarlo anche se la vita nell’Harem vieterebbe di vedere persone al di fuori della cerchia famigliare. Vogliono sedurre Loti in cambio di rivelazioni sulla loro vita, che gli permettano di scrivere la sua opera. Inizia quindi un viaggio rocambolesco da Istanbul a Belgrado, evitando la polizia e rischiando quindi la pena di morte. Tale storia divenne un caso internazionale, che infuocò i giornali di mezza Europa ed inevitabilmente gettò discredito sulla famiglia delle due ragazze.

L’incontro con Auguste Rodin

Nella storia vi è un momento in cui una delle due sorelle viene ritratta da Auguste Rodin, dopo essersi conosciuti ad una festa. Le due sorelle diventano infatti un giocattolo da salotto per l’intellighenzia europea. Una sorella viene invitata a posare per lo scultore e si reca da lui vestita all’Occidentale. Rodin la ritrarrà con il velo, che mostra appunto ciò che lo scultore vuole vedere. La ritrae in completa opposizione con quello che rappresentava: una donna libera e volenterosa di essere inclusa come donna senziente e capace di articolare pensieri.
Si capisce quindi che l’Europa non rappresenta una garanzia di diritto e di libertà.

La radice della libertà

La vicenda mette le due sorelle sul piedistallo mediatico, permettendo loro di diventare un esempio e di raccontare la loro versione dei fatti. Vengono infatti contattate anche da giornaliste femministe. Eppure si rendono conto di correre il rischio di diventare icone di se stesse ed essere inavvicinabili. In questo momento acquisiscono la radice profonda della libertà: la possibilità di determinarsi in qualsiasi momento e di non rispettare un’idea monolitica. Tra le due si apre anche uno scontro perché una sorella vorrebbe ritornare in Turchia per salvare la reputazione della famiglia, mentre l’altra più determinata non è disposta a tornare indietro. Proprio nella diversità di pensiero si staglia la ricchezza dell’opera. Una delle due capisce infatti di poter essere più utile dove può mettere in pratica più idee, quindi può ritornare in Turchia e comportarsi diversamente da prima, dedicandosi ad opere filantropiche. Un grande esempio di maturazione, che le porterà a ritornare nella terra natale anche per i propri affetti. All’autrice infatti non  è mai piaciuta l’idea di una figura femminile emancipata, lontana da ogni affetto famigliare.

L’aspetto grafico

Nell’apprezzamento dello stile dell’opera di Sara Colaone su Leda, c’è un indizio di durezza della linea. Anche in “Evase dall’Harem” l’inizio del libro si apre con una tratto durissimo, una linea definita, che poi si attenua. L’incipit è infatti in una notte a Istanbul di un gennaio piovoso, prevale quindi un tono cupo. La fuga avviene su una carrozza, ma è piena dell’angoscia di essere fermate subito, facendo annichilire il loro progetto. Il nero iniziale, simbolo di oppressione, via via si schiarisce. Non tanto perché l’Europa sia la terra della libertà, ma perché grazie a questo viaggio si appropriano del concetto di libertà che è solo un effetto del nostro pensiero. Attraverso un’azione così eclatante comprendono il loro potere, anche nel poter cambiare prospettiva a metà dell’opera.

Donne e fumetto

Sara Colaone confessa di aver fatto di tutto per evitare questa carriera, ma come tutte le cose destinate è stato tutto inutile. All’inizio vi era una grande componente maschile. Però la narrazione è sempre stata un territorio molto aperto, quindi secondo lei non è un problema di rappresentanza, ma è che le persone non si sentono a proprio agio e hanno paura di raccontare. Una volta predisposti spazi per le autrici, è necessario pensare che quello spazio possa essere usato per raccontare storie che piacciono all’autrice e non per seguire un trend di mercato. Più spazi ci sono e meglio è, poi che siano maschi o femmine è indifferente, non è un aspetto che le crea delle perplessità. È solo un caso che nelle sue opere ci siano protagoniste femminili. Quest’opera inoltre le ha permesso di fare ciò che le riesce meglio: seminare il dubbio e creare delle domande in un sano contrasto di situazioni e idee.

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“Monokerostina”: il farma-fumetto di Alessandro Baronciani https://2021.passaggifestival.it/monokerostina-farma-fumetto-alessandro-baronciani/ Wed, 23 Jun 2021 08:30:20 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82501 La rassegna “Passaggi tra le Nuvole” ha visto protagonista martedì 22 giugno, il fumettista Alessandro Baronciani, di origini pesaresi. Conversando con il critico di fumetti Alessio Trabacchini, Baronciani ha presentato la sua ultima creazione, il farma-fumetto “Monokerostina”. Che cos’è un farma-fumetto? “Monokerostina” non è un semplice fumetto. Innanzitutto si presenta incartato in una tipica carta […]

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Alessandro Baronciani Passaggi Festival 2021

La rassegna “Passaggi tra le Nuvole” ha visto protagonista martedì 22 giugno, il fumettista Alessandro Baronciani, di origini pesaresi. Conversando con il critico di fumetti Alessio Trabacchini, Baronciani ha presentato la sua ultima creazione, il farma-fumetto “Monokerostina”.

Che cos’è un farma-fumetto?

“Monokerostina” non è un semplice fumetto. Innanzitutto si presenta incartato in una tipica carta da farmacia, su cui c’è scritto Farmacia Baronciani. L’idea nasce da una farmacia di Asti che si chiama realmente così: spesso gli arrivano foto di questo luogo dai suoi amici che visitano la città. La carta avvolge una scatola molto simile a quella di un medicinale, su cui vi sono anche delle scritte in Braille. Al suo interno si trova un bugiardino, da leggere “prima dell’utilizzo”. Poi ci sono dodici blister con un numero pasticche via via minore. La storia va letta dalla numero 12 al numero 1, come si consumerebbe una scatola di compresse. Questo fuoriesce dalla logica dei libri, in cui si inizia dal capitolo uno e si procede ad oltranza. A Baronciani piaceva infatti l’idea di darsi un numero di capitoli preimpostati già da subito.

La storia di Anna Lisa

Monokerostina è la storia di Anna Lisa, una ragazza schizofrenica, e del suo accidentato percorso di guarigione, pastiglia per pastiglia. Soffre infatti della Sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie. La sua caratteristica è quindi quella di vedere cose che gli altri non vedono, in particolare un unicorno. A Baronciani ha sempre colpito questo aspetto degli schizofrenici: una forte immaginazione che li porta a vedere qualcosa in più degli altri, un po’ come avviene per i creativi. L’espediente narrativo è quindi quello di Anna Lisa che si rivolge al suo psichiatra dicendo che ciò che ricorda è che il suo unicorno ha ucciso una persona. Il medico allora le prescrive un blister di dodici pasticche da assumere, per poi arrivare all’ultima in cui c’è anche una sorpresa: si ricorda esattamente cosa è successo.
Nella narrazione un carattere fondamentale è la disperata necessità di Anna Lisa di un immaginario visionario in cui credere, d’altronde secondo lei gli unicorni esistono perché basta un cavallo con un’escrescenza.
Per quanto riguarda la struttura narrativa, il libro sembra una seduta di psicoanalisi, cioè ci si sposta per condensazioni, lapsus.

Un’idea a colazione

L’idea di un’opera così originale come “Monokerostina è nata assieme agli studenti del corso di fumetti che Baronciani tiene a Macerata. Una mattina, durante una colazione insieme, si è riflettuto sul principio attivo. Parte quindi l’idea di creare una mini storia a fumetti dentro una scatola di farmaci, diversamente dal classico fumetto-rivista. Gli studenti dopo la loro realizzazione personale dovevano anche venderlo in un banchetto, durante una presentazione del loro professore. Questo ha permesso loro di capire che i fumetti servono per far soldi. Il progetto “Monokerostina” è stato infatti finanziato tramite un crowdfunding, in modo da stampare solamente il numero di copie ordinato. Nella serata di presentazione ci sono infatti solo venti copie, a fronte di un numeroso pubblico. Questo serve anche a mette il lettore in un’ottica di estrema importanza del loro ruolo e renderli partecipi come promotori e produttori.

Liberarsi dal giudizio altrui

Quando Baronciani ha creato “Monokerostina aveva in mente un preciso pubblico. Così quando un’insegnante delle medie di Catania gli ha proposto una lezione online con i suoi alunni, non era affatto convinto perché non era quello il pubblico target del fumetto. Alla fine invece si è rivelato un clima molto positivo, in cui i ragazzi facevano domande miratissime, dimostrando di aver letto a fondo il suo fumetto. Hanno infatti notato dei dettagli importanti. Un ragazzo ha inoltre dichiarato di aver apprezzato il fumetto perché la protagonista non è definita. Di solito nei libri ci son personaggi ben caratterizzati, invece in “Monokerostina” la mancata definizione del personaggio si lascia apprezzare da chi, come questo ragazzo, non ha ancora trovato una sua identità. Spesso tendiamo a definire noi stessi in base a ciò che ci dicono gli altri. Lo stesso autore alle scuole medie era considerato uno “sfigato”, ma poi alle superiori ha vissuto un momento di rinascita in cui si è staccato dal pensiero e giudizio altrui. Studiando ad Urbino, dove per metà giornata era lontano da casa, ha conosciuto persone e provato un brivido d’indipendenza fortissimo. Nel libro è contenuto sia il tema del bullismo che della volontà di inclusione.

Un immaginario collettivo

Un creativo che vuole raccontare una storia ha bisogno di avere una base alla quale collegarsi. Stranger Things ad esempio si rifa a I Goonies, oppure Star Wars fa così tanto successo perché c’è già un ampio immaginario comune a riguardo. Baronciani invece costruisce delle storie nuove, frutto della sua immaginazione, quindi diventa difficile avere un pubblico perché significa richiedergli uno sforzo eccessivo per tuffarsi in questa nuova dimensione ed emozionarsi. Se ci sono invece già dei riferimenti conosciuti è più facile creare un legame, un po’ come viene detto nei corsi di comunicazione non verbale e prossemica. Si ricerca il collegamento con una persona che non si conosce e ciò crea una legame che rende più facile ad esempio fargli firmare un contratto.
In realtà l’immaginario è variabile in base alla generazione di appartenenza. In una scena di Toy Story 2 secondo Baronciani si trova una scena metaforica per descrivere il momento di passaggio tra l’immaginario della generazione di suo padre e quello della generazione di suo fratello. Ad un certo punto viene infatti interrotta la serie tv di Woody, che sta per saltare un dirupo con un cavallo, per annunciare l’approdo sulla Luna. Questo descrive il passaggio da un immaginario di conquista del Far West, incarnato da fumetti come Tex, a quello di conquista dello spazio. Da lì in poi ci saranno scrittori come Asimov: lo spazio diventerà una dimensione di evasione.

Ripulire il fumetto

Tra i tanti espedienti narrativi per raccontare una storia, Baronciani ha rinunciato ad alcuni. Ad esempio ha vietato le onomatopee nei suoi fumetti, un po’ come faceva Bonvi che al posto di “Bang!” scriveva “Sparo!”, risultando molto più divertente. Un altro aspetto eliminato sono le didascalie, che rischiano di interrompere una bella tavola di disegno in cui c’è già tutto e non servono parole. Inoltre ci sono tutti dei segnali nei suoi fumetti e lui sta ancora aspettando un lettore che li interpreti e si erga a critico. Per dirne uno, i suoi personaggi hanno orecchie senza buchi perché nel mondo del fumetto non c’è il suono.
Il fumettista Baronciani ha poi concluso l’incontro regalando un vinile ad Alessio Trabacchini. Infatti il suo fumetto “Quando tutto diventò blu” ha avuto l’onore di diventare un vinile, con canzoni ispirate alla sua opera. A volte ci sono progetti così avvitati su se stessi che rischiano di non realizzarsi, ma quando poi accade risulta veramente adrenalinico.

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Asia Argento: riconciliarsi con il proprio passato https://2021.passaggifestival.it/asia-argento-riconciliarsi-passato/ Tue, 22 Jun 2021 07:35:21 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=82329 Lunedì 21 giugno il Pincio di Fano ha visto protagonista un’ospite d’eccezione: l’attrice, regista e scrittrice Asia Argento. Nell’ambito della rassegna “Fuori Passaggi” ha presentato il suo libro “Anatomia di un cuore selvaggio” (Piemme) dialogando a cuore aperto con Lorenzo Pavolini, scrittore e conduttore di Rai Radio 3. Un’autobiografia di riconciliazione Asia Argento si è […]

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Asia Argento Passaggi Festival 2021

Lunedì 21 giugno il Pincio di Fano ha visto protagonista un’ospite d’eccezione: l’attrice, regista e scrittrice Asia Argento. Nell’ambito della rassegna “Fuori Passaggi” ha presentato il suo libro “Anatomia di un cuore selvaggio” (Piemme) dialogando a cuore aperto con Lorenzo Pavolini, scrittore e conduttore di Rai Radio 3.

Un’autobiografia di riconciliazione

Asia Argento si è mostrata sin da subito entusiasta di presentare il suo libro davanti ad un pubblico: si trattava infatti della prima presentazione. Il libro è un’autobiografia, ovvero un genere che pone l’autore a distanza molto ravvicinata con il lettore. È diviso in tre parti: origine, giovinezza, età adulta. Già con il film “L’incompresa” aveva iniziato a raccontare la sua infanzia, ma giunta a quarantacinque anni c’erano altri aspetti da rielaborare. Soprattutto era necessario affrontare alcuni ricordi per potere chiudere con il proprio passato.

Il rapporto con i genitori, Dario e Daria

In una narrazione sincera, Asia racconta il rapporto conflittuale con sua madre Daria: dalle violenze subite da bambina alla riconciliazione avvenuta nel 2001, con la nascita della figlia Anna Lu. L’inizio della stesura è avvenuto nella scorsa estate, durante le prime riaperture. Eppure erano anni che la psicanalista le consigliava di affrontare questo lavoro autobiografico, ma Asia provava una sorta di blocco e voleva mettere sotto il tappeto certi aspetti della sua vita. Il primo agosto ha deciso quindi di andare in vacanza su un’isola e iniziare a scrivere. La parte dedicata all’infanzia è venuta fuori di getto, rapida, citando sia aspetti felici che i momenti più drammatici. Due settimane dopo l’inizio della scrittura, l’hanno chiamata da Roma dicendo che la madre aveva avuto un’ischemia cerebrale e che era in gravissime condizioni. La parte finale parla proprio di questo travaglio nel vedere la madre con un dolore immenso, incapace di parlare. La morte di sua madre è avvenuta dopo la consegna del libro, eppure non ha mai pensato di volerla scrivere diversamente.
Dario Argento ha segnato profondamente la carriera artistica di Asia. Nel libro Asia racconta che le è un po’ scaduto per la reazione che ha avuto quando è morta la “figliastra” Anna. Forse è anche normale, a diciannove anni, guarire dal complesso di Elettra per poi ricostruire un rapporto da adulti. Durante la pandemia la paura che lui si ammalasse li ha riavvicinati e hanno recuperato un rapporto.

Una catarsi tardiva

All’inizio il libro non è stato catartico come aveva promesso l’analista. Eppure le ha permesso di avere un quadro più completo di sé e di svelare la persona dietro il personaggio.
In seguito tante persone le hanno scritto che si riconoscevano in ciò che stava scrivendo. È stato proprio questo a darle un senso di pace e le ha permesso di iniziare a vivere veramente, dopo essersi liberata di un peso. Man mano che le vicende si allontano, si riesce a guardare alla propria vita con serenità e distacco. Anche con la famiglia giunge alla conclusione che ciò che conta è amarsi, perché è l’unico modo di superare i traumi. La sua infanzia è stata sicuramente sbagliata, ma sarebbe colpa sua se fosse ancora attaccata a quel “risentimento”, come un fallo in tv di cui rivedere il replay. In virtù dell’amore, che vince su tutto, è necessario mettere da parte certi sentimenti. Gli eventuali ostacoli della vita vanno accolti e affrontati. Il libro vuole essere un inno alla resilienza.

Gli amori

Asia Argento ha avuto due grandi storie d’amore con due uomini che sono padri di sua figlia e di suo figlio. Due uomini che ha amato e con i quali ha tanto litigato. Ora però ha messo da parte tutti questi sentimenti negativi. Questi uomini le hanno regalato dei figli, che sono la gioia più grande della sua vita e che costudisce come un giardino privato, da proteggere. Per questo motivo non sono presenti nel suo libro. Il passato appare quindi come una lunga giornata grigia in cui sono successe tante cose ma non si vedeva bene quindi ha i contorni sfumati.

Delle pagine strazianti

Nel libro è narrata anche la vicenda di Weinstein, uno dei maggiori produttori discografici, che ha molestato un centinaio di donne che lavoravano per lui, tra cui la stessa Asia Argento nel ‘97. Una delle domande più comuni che le persone fanno in condizioni come queste è: perché non sei scappata? Ma Asia ha spiegato che durante queste situazioni la reazione che si ha è quella di immobilizzarsi, come fanno i serpenti: fingersi morte per non venire uccise. Avviene quasi uno sdoppiamento, in cui si esce dal corpo. Il problema è che le stesse domande che la gente pone, se le faceva anche lei stessa come vittima. Subito dopo l’accaduto, non volendosi sentire come la ragazzina stuprata, ha deciso di non parlane con nessuno. Intanto però pensava a quale fosse stata la sua parte: si poneva una continua autoumiliazione e autoaccusa. L’’esperienza è stata così traumatica, che l’ha portata ad uscire allo scoperto venti anni dopo.

Il potere è spaventoso

Secondo Asia Argento un personaggio così illustre andava assolutamente fermato perché ciò che le è successo ha avuto delle grosse ripercussioni nella sua vita. Ha provato una sorta di annullamento, numerose difficoltà e tanta solitudine. Prima nel mondo del cinema era ben vista, faceva i film con Verdone. Dopo lo stupro è diventata la dark lady trasgressiva, perché si è messa una corazza: aggrediva per non essere aggredita e senza questa camicia non si sentiva sicura. Il mondo del cinema dal suo racconto esce come un posto spaventoso, ma tutti i luoghi del potere sono spaventosi. È il potere che dà alla testa, anche messo in mano a donne. Questo la ha aiutata ad allontanare qualsiasi forma di potere e anche il padre ha contribuito a questo memento mori.

I’m not the only one

Grazie alla scrittura ha ritrovato una voce cambiata, un po’ da donna, un po’ maschile. E ciò che spera, anche grazie a questo libro, è che la solitudine che da sempre l’accompagna possa in realtà cambiare grazie a coloro che si riconoscono in lei. Molte donne vittime di abusi hanno difficoltà a raccontare. Un pensiero comune diffusissimo è che se qualcosa non la racconti subito era perché si fosse consenzienti in quel momento. Una donna che lo racconta non ha nulla da guadagnarci, anzi ha solo da perderci visto le conseguenze sulla propria reputazione. Eppure lei ora è soddisfatta e sente di aver fatto la cosa giusta, perché sa che questo individuo ora è in carcere e quindi la denuncia di Asia ha fatto del bene alla società. Grazie al libro ha inoltre ricevuto messaggi di gente che ha subito le stesse violenze, purtroppo come direbbe Kurt Cobain “I’m not the only one”.

Una briciola nell’universo

Pavolini ha chiesto ad Asia se le piacerebbe un altro lavoro, magari non pubblico. Lei ha risposto che in realtà il cinema è un lavoro molto privato, sul set ci sono cose che non andrebbero raccontate e difatti i backstage sono sempre un po’ fuorvianti. Eppure per mantenere i suoi figli farebbe qualsiasi cosa. Non è interessata a beni materiali, ma le interessa vivere bene e fare qualche vacanza. Quando i suoi figli erano più piccoli si è accontentata di recitare in film che le portassero via poco tempo. Ora le piacerebbe ricominciare ciò che aveva interrotto e quindi assumersi ruoli anche più consistenti. È pronta per ritrovare quell’amore che aveva da giovane per quel mestiere. Asia Argento riconosce infatti di aver ricevuto un grande dono, ovvero quello di saper stare di fronte alla macchina da presa. Ognuno di noi nasce con un dono e sarebbe sprecato non coltivarlo e non dargli spazio. Sarebbe come avere degli occhi azzurri e portare gli occhiali.
Il suo sogno è quello di andare su un’isola dove abita un suo amico e vivere senza telefono, senza strade né macchine. Solo aria e natura. Se riuscirà a mettere da parte dei soldi e se non troverà una posizione nella società, se ne andrà e, pur continuando a scrivere, vivrà nella solitudine. Infatti i momenti più felici della sua vita sono stati le camminate su questa terra magnetica, ricca di ferro. Le hanno trasmesso quel senso di libertà, di essere accordata con i movimenti del mondo e di sentirsi una briciola nell’universo.

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Armando Massarenti: un vaccino culturale contro la pandemia di dati https://2021.passaggifestival.it/armando-massarenti-vaccino-culturale-contro-pandemia-dati/ Sun, 20 Jun 2021 11:00:14 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=81955 Il secondo e ultimo appuntamento della Rassegna “Anno per anno” ha visto protagonista il filosofo e giornalista del Sole 24 Ore Armando Massarenti, autore con Antonietta Mira del libro “La pandemia dei dati. Ecco il vaccino” edito da Mondadori. A dialogare con lui, nella suggestiva Chiesa di San Francesco, il presidente del Centro per il […]

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Armando Massarenti Passaggi Festival 2021

Il secondo e ultimo appuntamento della Rassegna “Anno per anno” ha visto protagonista il filosofo e giornalista del Sole 24 Ore Armando Massarenti, autore con Antonietta Mira del libro “La pandemia dei dati. Ecco il vaccino” edito da Mondadori. A dialogare con lui, nella suggestiva Chiesa di San Francesco, il presidente del Centro per il Libro e la Lettura Marino Sinibaldi.

Anno per Anno: la pandemia

La Rassegna “Anno per anno” è un progetto all’interno di Passaggi Festival pensato per presentare dei libri che segnassero un determinato anno. A fare da padrone è quindi il tema della pandemia.
Il primo incontro proponeva un approccio morale e spirituale al tema, fornito dal libro di Luigi Manconi e Monsignor Vincenzo Paglia. Con l’opera di Armando Massarenti e Antonietta Mira, esperta di data, si ha invece un punto di vista estremamente scientifico. Il libro si erge infatti a vaccino culturale per difenderci dall’ondata di manipolazioni, falsificazioni e dati incerti che hanno preso il sopravvento in questo periodo, soprattutto quando il giornalismo da un campo sanitario e politico si cimentava in quello scientifico.

Infodemia, una pandemia di dati

La pandemia da Coronavirus è stata accompagnata da una collaterale infodemia, cioè pandemia di dati. Le vicende dell’ultimo anno sono le più raccontate di sempre, c’è un vero e proprio bombardamento informativo. Da questa problematica nasce la volontà di creare “un libro di buona filosofia che fornisca gli strumenti per capire la realtà”. L’esigenza è quella di raccontare la pandemia per “uscirne dal punto di vista intellettuale”, cioè di fornire delle metodologie che possano districarci nell’enorme mole di dati. Il sistema della comunicazione e della gestione dei dati è infatti complesso e ogni giornalista culturale dovrebbe conoscere questi strumenti.
Il termine infodemia nasce venti anni fa durante il periodo della SARS, in cui ha iniziato a profilarsi l’incapacità di comprendere il metodo scientifico e che ha portato a dibattiti rivelatisi completamente inutili. Massarenti si è sempre schierato per far sì che a parlare fossero gli esperti di quel determinato settore. Ad esempio quando si parla del caso Di Bella, su una cura alternativa per il cancro, è inaccettabile che ci si pronunci in termini giornalistici quali “è la vittoria del romanticismo sull’illuminismo”: non si può idealizzare la questione ed ergere lo scopritore allo status di eroe.

La cooperazione scientifica

Questo libro parla anche di scienze cognitive, che mettono in luce quanto siamo fragili e quanto basta poco per essere ingannati. Spesso il cliché vede lo scienziato “genio” esprimere opinioni che in tanti contrariano. A supportare il tutto sono i bias della mente umana, che tende a credere solo ad informazioni che fortificano i pregiudizi insiti in sé. Lo scienziato rischia quindi di ritrovarsi solo, come una specie di Galilei.
Eppure oggi il modello di scienziato solitario non esiste più. Non sono più i tempi dei geni come Platone, Pitagora, Archimede che erano fondamentali. Da Bacone in poi, nella Nuova Atlantide, nasce l’idea di collaborazione delle migliori menti. Ed è proprio grazie all’unione della comunità scientifica mondiale che si sono ottenuti i quattro vaccini che ora abbiamo per il Coronavirus.

L’importanza di una scelta razionale

Si è discusso quindi di vaccini. In Italia le vaccinazioni non sono obbligatorie e questo è stato deciso pensando al fatto che i no-vax, per quanto tenaci, non creano troppi danni. Infatti negli ultimi mesi gli italiani si vogliono vaccinare, però i vari dubbi non sono di aiuto. Secondo Massarenti un caso su un milione (di cui va verificato il rapporto causa-effetto) non può bloccare una campagna vaccinale delicatissima e che deve giungere ad un’elevata percentuale di persone. Se bisogna raggiungere la copertura dell’80% della popolazione, non si possono avere continue revisioni sul piano delle decisioni. Tra l’altro le decisioni devono essere prese secondo un metodo razionale in modo tale da “conoscere per deliberare”, come diceva Einaudi. Se c’è un vaccino che ha già superato le prove di efficacia e sicurezza, non si capisce perché il Comitato Tecnico Scientifico debba fingere di cambiare la possibilità di utilizzarlo e consigliare la formulazione eterologa. Prendere una decisione razionale significa basarla su dei dati: di Astra Zeneca si hanno, della somministrazione eterologa no, ma ciò non significa che non vada bene. Lo stesso Mario Draghi ha optato per questa decisione, anche per un discorso di dimostrare fiducia al Comitato Tecnico Scientifico.

La scienza non è dispensatrice di certezze

L’essere umano non riesce a vivere nell’incertezza, soprattutto se per un periodo abbastanza lungo. Quando gli scienziati ci hanno proposto un modo incerto ci è sembrato ancora più un’offesa. La scienza viene criticata perché non riesce a spiegarci tutto con certezza, ma le dimostrazioni esatte esistono solo in matematica.
“La scienza non è dispensatrice di certezze, ma è la quintessenza del sapere di non sapere”. Il lavoro dello scienziato si basa infatti su uno scetticismo costruttivo fatto di dubbi, confronti e continue revisioni. Quello della scienza è un ambito molto controllato in cui le teorie sussistono fino a prova contraria.

Un libro come vaccino mentale

Il libro si erge a vaccino mentale per fare sviluppare in chi lo legge un pensiero critico, ridefinito attraverso varie discipline, che ci protegge dai bias. Per realizzarlo Armando Massarenti ha collaborato con Antonietta Mira. Inizialmente lei lo ha contattato perché stava lavorando assieme a centri internazionali ad modello previsionale di diffusione epidemiologica. A Massarenti piaceva l’idea e voleva seguirne l’evoluzione per usarla come un generatore di notizie corrette. Siccome la raccolta dati eseguita da Antonietta Mira non le permetteva di proseguire nella creazione del modello, l’idea è quindi stata quella di un libro sulla scienza dei dati. Un libro che mostrasse come si deve comporta uno scienziato, cioè come dovrebbero essere i dati affinché il lavoro funzioni. È nata quindi una collaborazione in cui Massarenti ha insufflato della filosofia dentro i ragionamenti di Antonietta Mari sui dati.

Gestire l’incertezza

Questo periodo è stato particolarmente ricco di incertezze. Bertrand Russell dice: “Se c’è un compito della filosofia è quello di affrontare l’incertezza senza costringerci all’immobilità totale”.
Armando Massarenti ha ricevuto il premio italo-americano “Amerigo” per la libertà della paura, perché il suo contributo nel gestire le paure irrazionali è stato fondamentale.
Per gestire l’incertezza e la paura che ne consegue, ci sono degli strumenti favolosi come il calcolo delle probabilità nato da Pascal. Spesso infatti le persone hanno paura di eventi catastrofici senza tener conto alle probabilità che questi avvengano.
L’incertezza implica anche il continuo cambiare idea. Quest’anno più che mai è necessario essere indulgenti con chi ha cambiato idea, anche se spesso questa azione non è ben vista. Eppure esiste un teorema per cambiare idea, che è quello di Bayes che insegna a prendere in mano l’evidenza: si fa un’ipotesi e mano a mano che si conoscono le evidenze si rivaluta la sua correttezza.
Tempo fa è uscito un tweet che diceva: “Conoscere il teorema di Bayes è diventata una questione di vita di morte”. Nel libro c’è un capitolo dedicato al cambiare idea sull’immunità di gregge, che è ciò che è successo in Inghilterra ma sempre sulla base dei dati. Insito nel libro vi è anche un intento pedagogico nella speranza che anche la scuola accolga sempre di più dei metodi per capire come si catturano i dati e come prendersene cura.

 

 

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Davide Toffolo e il grande fumettista Magnus https://2021.passaggifestival.it/davide-toffolo-grande-fumettista-magnus/ Sat, 19 Jun 2021 11:03:51 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=81811 Sul palco del Pincio di Fano, venerdì 18 giugno si è inaugurata la Rassegna “Passaggi tra le Nuvole” con Davide Toffolo, fumettista e cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti, sempre con la sua inseparabile maschera. Con lui hanno dialogato un fumettista altrettanto celebre, Alessandro Baronciani e la radio speaker Ivana Stjepanovic. Una presentazione sui generis, […]

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Davide Toffolo Passaggi Festival 2021

Sul palco del Pincio di Fano, venerdì 18 giugno si è inaugurata la Rassegna “Passaggi tra le Nuvole” con Davide Toffolo, fumettista e cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti, sempre con la sua inseparabile maschera. Con lui hanno dialogato un fumettista altrettanto celebre, Alessandro Baronciani e la radio speaker Ivana Stjepanovic. Una presentazione sui generis, accompagnata anche dall’esecuzione di canzoni live e di disegni in tempo reale.

Magnus, il più grande fumettista

Davide Toffolo è da sempre un innovatore nel campo del fumetto e un importante motore d’esperienza. Il suo ultimo fumetto si intitola “Come rubare un Magnus” edito da Oblomov. È un fumetto-biografia di Magnus, pseudonimo del fumettista bolognese Roberto Raviola nato nel 1939, disegnatore di personaggi quali Alan Ford, Kriminal, Satanic. Il fumetto di Toffolo racconta di Magnus ma anche del suo amico Bonvi, creatore delle Sturmtruppen. Due personaggi opposti e complementari, Magnus più schivo e Bonvi più rock star.
Vincendo la comune paura dello spoiler, Toffolo rivela che in realtà il finale coincide con la morte dei due disegnatori. La realizzazione di “Come rubare un Magnus” è durata circa 12 anni. C’è stato un fuoco interno che lo ha alimentato per tanto tempo e lo ha portato poi a decidere di recarsi in un bosco per ultimare il lavoro, proprio dopo la fine del lockdown.

Un’entrata precoce nel mondo del fumetto

Toffolo racconta del suo primo incontro con Magnus. Sin da piccolo leggeva fumetti e adorava il personaggio di Alan Ford. Nel decennale del fumetto di questo personaggio di Magnus, venne indetto un concorso in cui cercavano il nuovo disegnatore di Alan Ford. Lui partecipò con un disegno grazie al quale vinse, a soli tredici anni. La premiazione fu un momento molto emozionante perché a Milano c’erano tutti i suoi disegnatori preferiti, ad esempio Silver, il disegnatore di Lupo Alberto.

La mano dello sceneggiatore

Quando Davide Toffolo ha iniziato a lavorare su un’opera dedicata a Magnus, ha ricevuto tantissimi aneddoti di alcuni disegnatori che lo hanno conosciuto di persona. Tra i tanti, a colpirlo fu quello della “mano dello sceneggiatore”, che rappresenta la modalità di costruzione del fumetto secondo Magnus. Toffolo ha provato a spiegarla tirando fuori un guanto nero con sopra disegnate le ossa della mano. Le storie devono avere: un prologo lungo come un pollice, un racconto di personaggi lungo come un indice, uno svolgimento lungo come un medio, un finale lungo come un anulare e un epilogo corto come un mignolo.

Perché si chiama Magnus?

Lo pseudonimo Magnus, che significa “grande, magnifico” rende più magica l’idea dell’autore che sta dietro a un fumetto. I compagni di corso d’Accademia lo definivano “il magnifico” perché era bravissimo a disegnare le anatomie. Questo pseudonimo descrive a pieno la carriera di Roberto Raviola e la sua grandezza. Di solito più i disegnatori diventano grandi e più diventano sintetici. Per Magnus è stato il contrario: con il passare del tempo è diventato un disegnatore ricercato, ricco, ossessionato. Tra l’altro da giovane era un goliardo e proprio in un’osteria di Bologna c’è un disegno in stile affresco, dove si definisce Magnus.

L’incontro personale con Magnus

Toffolo racconta di aver incontrato Magnus in due occasioni: da studente di una scuola di fumetti a Bologna e in una casa editrice.
Nelle foto lo aveva sempre immaginato con un look un po’ psichedelico e una fisionomia molto simile a un membro dei Pink Floyd. Quando lo ha conosciuto era ormai diventato un monaco: si era ritirato a Castel Del Rio nel tentativo di schizzare il personaggio di Tex, sua ultima grande sfida. C’è sempre una dimensione estetica molto forte anche nei fumettisti, magari non espressa come nei cantanti e nei rocker.
Toffolo ha fatto sentire anche la voce di Magnus, che ha registrato quando lo ha incontrato. È una voce simile a quella di un condottiero e questo aspetto si rifletteva anche nella sua postura.

La scelta del ritiro

Magnus ad un certo punto della sua vita ha deciso di ritirarsi in un paesino per dar vita ai suoi personaggi e stare loro vicino. Precisamente si ritirò a Castel del Rio, un paesino piccolo con un castello gigantesco che compare nei suoi disegni. Toffolo ha confessato che l’aspetto che più ama di Magnus è l’essere sempre alla ricerca. Ad esempio ad un certo punto ha cambiato pseudonimo in Hokusai. Ha poi scelto un ideogramma cinese che significa il viandante, per sottolineare l’idea del continuo muoversi. L’opera che più preferisce di Magnus è  “110 pillole”, un fumetto erotico che descrive un quarantenne e le sue cinque mogli.

Davide Toffolo sul palco del Pincio di Fano ha trasmesso la passione per questo grande fumettista, divenuto protagonista del suo fumetto “Come rubare un Magnus“. Il titolo si ispira ad un evento realmente accaduto: durante una mostra è stato rubato un originale di un personaggio di Magnus che si chiama Necron. Rimane ora la curiosità di scoprire, per chi non ha già letto il fumetto, se il Magnus rubato è stato ritrovato.

 

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Levante a Passaggi Festival: il coraggio di guardarsi dentro https://2021.passaggifestival.it/levante-passaggi-festival-coraggio-guardarsi-dentro/ Sat, 19 Jun 2021 01:07:08 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=81761 Venerdì 18 giugno, nella cornice del Pincio di Fano, si è aperta la Rassegna “Fuori Passaggi Music&Social” con un’ospite d’eccezione: la cantante Levante, che ha presentato il suo ultimo libro “E questo cuore non mente” edito da Rizzoli. A dialogare con lei, la giornalista del Corriere della Sera Micol Sarfatti. Una cantante scrittrice Levante è […]

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Levante Passaggi Festival 2021

Venerdì 18 giugno, nella cornice del Pincio di Fano, si è aperta la Rassegna “Fuori Passaggi Music&Social” con un’ospite d’eccezione: la cantante Levante, che ha presentato il suo ultimo libro “E questo cuore non mente” edito da Rizzoli. A dialogare con lei, la giornalista del Corriere della Sera Micol Sarfatti.

Una cantante scrittrice

Levante è nota per essere una cantante e giudice di X-Factor, ma è anche una scrittrice. Con “E questo cuore non mente” è giunta al suo terzo romanzo. Ha sottolineato come non sia facile per una cantante scrivere un libro. Abituata alla corsa veloce, si è invece di fronte ad una maratona. Il lavoro di scrittura di questo libro è iniziato a marzo 2020, nelle prime settimane di lockdown pensando fosse un periodo momentaneo. Il perpetrarsi della situazione ha invece bloccato la sua penna, ma la volontà di raccontare questa storia le ha poi permesso di riprendere la produttività. Non è casuale che la scrittura del romanzo abbia coinciso con il periodo del lockdown, perché nel silenzio e nella solitudine ha potuto guardarsi dentro. Dopo anni frenetici pieni di rumore, è riuscita a far riemergere una parte nascosta di sé.

La cura verso se stessi

“A tutti i bambini del mondo.
A quelli che sono guariti e a quelli
che scopriranno di dover guarire”

Questa la dedica con cui si apre il terzo libro di Claudia Lagona, in arte Levante. Subito ci immette nel tema principale che è quello della cura, in particolare verso se stessi. Con un tono ironico fa luce su temi seri come quello della psicoterapia.
Il libro è incentrato sul personaggio di Anita Becci, redattrice in una rivista di moda, che compariva già nel suo primo romanzo “Se non ti vedo non esisti”. Levante sentiva la necessità di riprendere questo personaggio e di approfondirlo, cercando di sviscerarlo attraverso l’esperienza della psicoterapia. Anita non è però il suo alter ego, anzi alcuni aspetti sono lontani dalla cantante. Condivide con lei l’emotività: la perdita di se stessi accompagnata poi dalla risalita.

Il filo conduttore della psicoterapia

La psicoterapia è un argomento cardine del romanzo. La protagonista Anita è infatti in cura dallo psicanalista Ferruccio. Levante afferma l’importanza di questo percorso, confessando che se qualcuno a 17 anni le avesse detto che esisteva un percorso in grado di poterla rendere un’adolescente meno triste di quella che è stata, lo avrebbe intrapreso. Ci hanno pensato le canzoni e i dischi a salvarla, ma non avrebbe detto di no ad un percorso capace di alleggerire la sua mente. Spesso da adolescenti si è concentrati sul corpo, ma anche la mente ha bisogno di essere allenata.
“La palestra della mente è meravigliosa. Quando la scopri capisci quanta energia hai sprecato in situazioni inutili e controproducenti e quanta in realtà ne puoi impegnare in cose più belle ed essere al massimo della tua potenza. Il cervello è un mondo favoloso, che se sai gestire ti aiuta a vivere nella maniera migliore possibile”.

Nessun tempo è perduto

La protagonista Anita si rende conto di aver perso tanto tempo dietro pensieri inutili. Lo psicanalista le dice che però “nessun tempo è perduto”. Quando si chiede cosa la spinge a fare sempre lo stesso errore, l’analisi dello psicanalista Ferruccio le rivela che è dovuto alla bambina che porta in sé.
I bambini che siamo stati ce li portiamo dentro per sempre: sia nati e cresciuti bene, ma anche addolorati, arrabbiati e traumatizzati. Ed è proprio questo lato bambino che portiamo in terapia, non la parte adulta e ormai consapevole dei propri limiti.
A volte qualcuno pensa “sono fatto così”, “è il mio carattere”. Questo però è sbagliato , perché si “è diventati così” e finché non si recupera quell’adolescente-bambino si avranno sempre dei lati irrisolti e arrabbiati.
Levante si ritiene una persona estremamente debole, con diverse fragilità ma che non ha mai temuto di affrontare. Con la musica ha trovato un punto di forza, perché le ha permesso di parlare di queste debolezze. È utile affrontare se stessi e dar voce al proprio dolore, ma non tutti sono d’accordo. C’è chi ad esempio preferisce affidarsi a delle amiche. Il punto è che solo la scienza dà delle risposte. Bisogna anche avere fortuna ad incontrare la figura professionale che più ci capisce ed indirizza.

L’intreccio di musica e letteratura

Levante nelle sue canzoni e nei suoi libri racconta di emozioni. Il linguaggio che utilizza nei due generi è in realtà lo stesso, ma ciò che cambia è che la musica costringe ad essere sintetici nella descrizione di un’emozione. Nel romanzo invece si ha la possibilità di dilungarsi e anche inventare, un aspetto che non le riesce affatto con le canzoni. La particolarità è che a volte ci sono delle frasi nel romanzo che sembrano le sue canzoni, come una specie di autocitazione per divertire il lettore che è anche fan della sua musica.
Nonostante il forte amore per la scrittura, per Levante la musica rimane la sua amata perché non è capace di concepire un mondo senza.
Il suo riferimento musicale per eccellenza è Lucio Dalla. A livello letterario invece ci sono due libri che le hanno cambiato la vita, proprio per il momento in cui li ha letti. A tredici anni in un compito per le vacanze ha letto “Due di Due” di Andrea De Carlo, che le ha aperto un mondo. Un altro libro scoperto più di recente è “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza.

Le città co-protagoniste

Ad accompagnare la protagonista ci sono tante città: Torino, Milano, Roma, Parigi. Levante è nata a Palagonia, in provincia di Catania ma ha vissuto tanti anni a Torino, che definisce “una città magnifica che non si lascia scoprire facilmente, come un bel salotto sul quale non ti puoi sedere”. Con questo libro ha reso omaggio alla città in cui ha vissuto 19 anni. La scrittura del libro ha infatti coinciso con l’abbandono di Torino: la data di consegna del romanzo si è sovrapposta a quella del trasferimento a Milano.
Anche con Roma ha un rapporto particolare. Pur non avendoci mai vissuto, ha un ricordo di un viaggio fatto da piccola con la sua famiglia durante il quale lanciava una monetina nella Fontana di Trevi esprimendo un desiderio, che pur non rivelandoci quale fosse ha assicurato che si è avverato.

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Costanza Rizzacasa D’Orsogna: un romanzo crudo e autentico https://2021.passaggifestival.it/romanzo-crudo-costanza-rizzacasa-dorsogna/ Thu, 10 Sep 2020 10:03:14 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75556 Nella seconda giornata di Passaggi Festival si è tenuto l’incontro della Rassegna di Saggistica (e non solo), che ha visto protagonista Costanza Rizzacasa D’Orsogna autrice di Non superare le dosi consigliate (Guanda). La scrittrice ha conversato con Flavia Fratello, giornalista di La 7 e Tiziana Ragni, alias Meri Pop, di Repubblica Live, rinominate “Le signore […]

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Nella seconda giornata di Passaggi Festival si è tenuto l’incontro della Rassegna di Saggistica (e non solo), che ha visto protagonista Costanza Rizzacasa D’Orsogna autrice di Non superare le dosi consigliate (Guanda). La scrittrice ha conversato con Flavia Fratello, giornalista di La 7 e Tiziana Ragni, alias Meri Pop, di Repubblica Live, rinominate “Le signore della San Francesco”.

Il primo romanzo: la forza di Matilde

Costanza Rizzacasa D’Orsogna scrive sul Corriere della Sera e sul supplemento La Lettura. Non superare le dosi consigliate (Guanda) è il suo primo romanzo e prende a piene mani dalla sua autobiografia, che ha molto da condividere con la protagonista Matilde. Anche lei infatti da piccola prendeva il lassativo Dulcolax per i suoi problemi di peso, su indicazione della madre bulimica.
Matilde è una bambina sovrappeso, presa in giro da tutti. A diciotto anni, per una forma di ribellione, rifiuta il cibo e da 80 kg passa a 40 kg. Poi per una serie di vicende, tra cui una relazione amorosa tossica, arriva a 130 kg, anzi 131 kg. Questo romanzo è una storia cruda, senza un lieto fine, ma durante il percorso mette a confronto noi stessi con certi fantasmi, perché ognuno di noi ha avuto a che fare con l’accettazione di sé e degli altri. Ogni pagina arriva come un pugno diritto allo stomaco. Non è detto che il lieto fine sia quello che ci aspettiamo, forse c’è comunque, ma diverso. Non ci sono eroi, né vincitori ma tutto il romanzo ha una grandissima forza, che permea ogni riga e che emerge quando Matilde sembra avere toccato il fondo ma qualcuno le scava ancora più a fondo.

Le differenze tra autrice e protagonista

Spesso non c’è nella vita un momento in cui si dice basta, anzi si va avanti senza rendersi conto di quanto si è forti. Costanza e Matilde sono vicine da bambine, poi da adulte hanno alcune cose simili ma le reazioni sono diverse perché nell’autrice c’è una certa presa di coscienza. A Matilde infatti manca quel fervore analitico di studiare ogni aspetto oppure la ricchezza di essere bilingue, che sono aspetti che hanno aiutato Costanza. Matilde è più persa nella sua condizione reale, annaspa e nemmeno si rende conto di essere forte.

Un romanzo “il più autentico possibile”

Costanza Rizzacasa D’Orsogna voleva creare un romanzo il più autentico possibile, dicendo tutto su ciò che prova una bambina a cui si dà il Dulcorax e che di notte va in bagno quindici volte. Per farlo aveva degli strumenti in più rispetto ad altre persone, ad esempio una madre bulimica. Al tempo della madre tali disturbi dell’alimentazione non erano riconosciuti, non avevano nemmeno un nome. Se non si sa nemmeno di cosa si soffre non si ha nemmeno un punto di partenza per guarire, né un piano d’azione.
Il romanzo rispecchia a pieno l’idea dell’autrice, cioè di narrare ciò che si prova quando si ha un peso di 131 kg. L’idea principale non è quindi quella di fare l’attivista o di promuovere certe tematiche come il body shaming, però questa parte ha preso un po’ il sopravvento sul suo intento letterario, sulla poesia che voleva creare, anche citando autori americani poco diffusi.

I problemi alimentari: la ribellione

Il libro non ha un finale positivo perché i disturbi alimentari sono qualcosa che rimane tutta la vita, cioè anche se si guarisce e si migliora il rapporto con il cibo, si rimane vulnerabili. Eppure la forza ad un certo punto arriva. Costanza tiene sull’inserto settimanale Sette del Corriere della Sera una rubrica che si chiama “anyBody- Ogni corpo vale”. Ogni settimana le scrivono tante persone, che gridano di avere un problema e di volerlo esternare senza vergognarsene. Questo capita a chi è stanco di essere discriminato e a chi è stato rinchiuso per tanto tempo e finisce con il non poterne più. Perché sarebbe bello che le persone non si rinchiudessero o nascondessero, ma convivessero con il loro problema magari cercando di risolverlo, ma non rinunciando alla vita sociale.
Questa voglia di ribellione si manifesta in diversi modi: persone che non usano più filtri nelle foto su Instagram, oppure il movimento #METOO che è un nuovo femminismo, volto a dire basta ad una serie di comportamenti inaccettabili di violenza sessuale e sopruso. Di questa tipologia sono anche alcuni movimenti diffusi negli USA come la Body Acceptance o Fat Acceptance. Sono tra l’altro movimenti che entrano nel romanzo quando Matilde attraversa la fase in cui è 131 kg.

Alcuni dati

In una ricerca condotta da Harvard, si è stimato che negli ultimi dieci anni i pregiudizi contro gli omosessuali e la razza sono diminuiti o rimasti uguali, mentre quelli contro le persone grasse sono aumentati. Spesso vi è una sorta di ultima spiaggia, che è quella in cui la persona consiglia come dimagrire alla persona grassa e poi si supera il limite e certe parole diventano invalidanti.
La stessa medicina a volte confondono il disturbo delle abbuffate incontrollate (Binge Eating Disorder) con l’obesità, ma quest’ultima è solo un sintomo, il cibo è solo uno strumento.

La diversa visione dell’anoressia

Una persona magra, che ha problemi a mangiare viene identificata come una persona in difficoltà e suscita un sentimento di pena. Chi è obeso invece suscita repulsione e non ha la giusta attenzione.
Le percentuali di persone anoressiche sono le stesse in Italia e in America, ma nel nostro paese è diventato una moda, quasi uno stile di vita, visto con benevolenza. Questo crea il doppio nel male nella persona che ne soffre.
A volte comunque vi è discriminazione anche per le persone troppo magre, come nel caso di Elodie a Sanremo. L’eccessiva magrezza resta però un ideale, mentre l’obesità non lo sarà mai.
L’eccezione è la Mauritania dove le giovani promesse spose vengono fatte ingrassare, però con serie conseguenze sulla propria salute, perché rimpinguate di cibo nei mesi precedenti il matrimonio.

Gli uomini di Matilde

Meri Pop, blogger dei cuori infranti, si è soffermata sulla tipologia di uomini incontrati dalla protagonista del libro, Matilde. Ad un certo punto ci si chiede se è una sfortuna incontrare certe persone o se sono le stesse donne che si svalutano così tanto da accettare tutto, chiunque rivolga un accenno. D’altronde il cibo è solo un mezzo per saziare una fame d’amore. L’amore che la famiglia opprimente di Matilde, che la indirizza verso la carriera, non le sa dare. Su di lei si riversano le aspettative che i genitori non hanno realizzato. Una mamma che non riesce a dirle ti voglio bene, ma la chiama cretina e che solo una volta per mail, quando è in America, le manda una dimostrazione d’affetto che però non può sanare anni ed anni di un rapporto di critica.
Questo affetto non ricevuto dalla famiglia lo richiede agli uomini che incontra. Molti di questi sono narcisisti patologici, concentrati su di sé e con il desiderio di distruggerla. Sono persone che nei momenti di soddisfazione vogliono buttarla giù. Ma tanti altri sono uomini comuni che semplicemente non riescono a darle il tipo di amore di cui lei ha bisogno e fuggono, ma senza cattiveria.

La visione della madre

Nonostante la madre sia un peso terribile nella vita di Matilde, lei la capisce. Capisce che è una donna che ha rinunciato al suo sogno di fare la scrittrice accontentandosi di un lavoro in banca, una donna che soffre e verso cui Matilde non prova odio o rancore. C’è una sorta di volontà di perdonare e comprendere chi le fa del male volontariamente. Anche Costanza, scrivendo le prime pagine del romanzo, ha provato queste sensazioni. Le ha scritte di getto, 75 pagine che equivalgono ad una seduta psicoanalitica liberatoria, frutto quindi di ricordi di bambina ma che ha potuto sviscerare a fondo grazie al tempo trascorso. Sua madre era una donna che stava male, ma all’epoca non si sapeva nemmeno cosa fosse la bulimia. A 14 anni come figlia si sentiva colpa della rovina di sua madre. Il tempo le ha permesso di trovare la pace, la non rabbia e una maggior consapevolezza. Per anni non ha capito la madre, ma dopo molto tempo è riuscita a capire la sua sofferenza. Si è vergognata quindi di ciò che provava e ha cambiato il suo punto di vista.

Gli Stati Uniti: un mondo che offre a tutti delle possibilità

Vivendo per tanto tempo negli Stati Uniti Costanza si è resa conto del diverso modo di intendere l’istruzione. Negli Usa ogni persona è libera e trova il suo posto e soprattutto ogni aspetto della persona deve essere nutrito: la matematica è importante per uno scrittore e la letteratura è fondamentale per un fisico o un matematico. Questo tipo di rapporto con le varie discipline non esiste in Italia, non si nutre in toto la persona. Noi idealizziamo il talento e pensiamo che solo possedendolo si possa raggiungere qualcosa. Invece in America c’è la concezione che se ci si impegna si può ottenere tutto.

L’autrice ha concluso l’incontro leggendo alcune pagine del suo libro, dalle quali emerge lo stile del romanzo:

“Non c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto che non dimagrisco, tra i lassativi e la bulimia di mia madre, che è magra scarna e il Dulcolax lo sgrana direttamente in bocca, due-tre blister al mattino, e mangia tutto ciò che vuole, e poi va a vomitare. Due dita in gola, finché non torna su, ma a lei ritorna subito. Due dita in gola, è così facile, mi dice. M’incoraggia. Non mi ha insegnato a truccarmi, ma mi ha insegnato a vomitare.”

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Stefano Pivato: la storia d’Italia attraverso la bicicletta https://2021.passaggifestival.it/stefano-pivato-storia-italia-attraverso-bicicletta/ Mon, 07 Sep 2020 10:30:31 +0000 https://2021.passaggifestival.it/?p=75437 L'opera di Stefano Pivato traccia un affresco dell'Italia attraverso la bicicletta. La sua ricerca è racchiusa nel libro Storia sociale della bicicletta (Marsilio), che ha presentato con Chiara Grottoli al Bon Bon Art Café di Fano in occasione della rassegna Buongiorno con Passaggi. Libri a colazione.

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La nuova rassegna Buongiorno Passaggi. Libri a colazione, che si è svolta presso il Bon Bon Art Café, si è conclusa sabato 29 agosto con l’incontro di presentazione del libro di Stefano Pivato, Storia sociale della bicicletta (Marsilio). A dialogare con l’autore, storico ed ex Rettore dell’Università di Urbino, Chiara Grottoli, farmacista appassionata di libri e membro dello Staff di Passaggi Festival.

Ricostruire la storia attraverso la bicicletta

L’incontro si è aperto con una citazione del famoso giornalista sportivo Gianni Brera “Traverso le viti di una bicicletta si può scrivere la storia d’Italia”. Questa frase incarna l’idea del libro, cioè quella di fare un affresco della storia d’Italia a livello sociale, politico, culturale ed economico attraverso i 150 anni di storia della bicicletta. Si può pensare che il libro tratti della storia della tecnica, dell’evoluzione di quella che in fondo è una macchina. In realtà Storia sociale della bicicletta (Marsilio) è il tentativo di leggere la storia d’Italia attraverso questo strumento così particolare e di capire il rapporto del paese con la modernità. La nascita della bicicletta risale al Positivismo e le reazioni furono molteplici.

La bicicletta e i suoi cambiamenti

La bicicletta venne considerata al pari della macchina sia per la sensazione di velocità che per l’idea di libertà. Permetteva infatti di staccare i piedi dal terreno e di avere una velocità di quasi 20 km/h.
In realtà nella sua storia non è cambiata molto. Ci fu il modello senza catena, senza pedali, il biciclo con la ruota grande davanti, il modello “safety” con due ruote e una catena di trasmissione, inventato nel 1885 da un’azienda che però consigliava di frenare anche con i piedi e non affidarsi troppo ai freni della bicicletta. Nelle linee essenziali però non vi furono grosse modifiche. Eppure la sua invenzione sconvolse la società.

Donne e biciclette

Per il mondo femminile la bicicletta fu uno scandalo per due motivi.
Il primo perché permetteva alla donna di allontanarsi dal focolare domestico, considerato il luogo di cui si doveva occupare per la mentalità dell’epoca.
In secondo luogo perché vi erano storie assurde dietro: che la bicicletta fosse una forma di autoerotismo oppure che fosse poco congeniale alla gonna, tipico abito della donna. Le prime donne che indossarono la gonna pantalone a Milano vennero assediate nel 1911 in un negozio in Galleria. Il fascismo negli anni Trenta vietò alle donne di indossare il pantalone.
Anche se per le donne non vi era un divieto formale, ma più che altro di sostanza, durò per lungo tempo. Era legato anche al fatto che per guidare la bici era necessario piegarsi e quindi non indossare il corsetto, che dava una posizione rigida. Ma liberarsi di questo capo d’abbigliamento non era ben visto.
La bicicletta fu quindi una vera e propria rivoluzione antropologica, con effetti anche sulla posizione del corpo della donna. Più avanti venne prodotta una bicicletta senza canna che meglio si adattava  alle esigenze femminili. In alcune nazioni la bici fu strumento di liberazione della donna, ma le femministe italiane non volevano offendere il comune senso religioso e del pudore e quindi non diedero questo significato alla bici.

Preti e biciclette

Per i preti vi era invece un vero e proprio divieto formale di utilizzo della bicicletta, perché scomponeva l’abito, la veste che era quanto di più sacro avessero addosso. Eppure nell’archivio del Vaticano vi sono innumerevoli sospensioni a divinis e denunce verso preti che la utilizzavano. Questa infatti risultava comoda, visto che i preti avevano un territorio vastissimo da coprire e quindi potevano raggiungere prima la casa di un fedele a cui dovevano dare l’estrema unzione. Grazie al Concilio Vaticano II, negli anno Sessanta, Giovanni XXIII tolse l’obbligo della veste lunga e quindi i preti poterono andare in bici.

La politica e la bicicletta

La politica inizialmente vide nella bicicletta uno strumento di propaganda, ma poi la considerò una perdita di tempo che allontanava dall’azione politica.
Pivato sfata il luogo comune secondo cui il fascismo fosse antisportivo, perché modernizzò lo sport femminile, anche se con grande moderazione. Le donne in quanto madri dovevano fare ginnastica e prendersi cura del corpo. Il fascismo ebbe dei dissidi con la Chiesa proprio per l’incoraggiamento nei confronti dello sport femminile, che vedeva ad esempio le donne correre in pantaloncini. Si racconta però che Benito Mussolini osteggiasse il Giro d’Italia e durante le prime edizioni buttasse dei chiodi in strada per bloccarlo, perché la bici era simbolo del capitalismo e andava boicottata.
Oltre alla Chiesa anche il socialismo era contrario all’utilizzo della bicicletta, un socialismo agrario e profondamente conservatore che vedeva nella bicicletta l’allontanarsi dal partito. Vennero indette gare di lettura per allontanare i giovani dalle gare di ciclismo.
Gli unici ad intuire le potenzialità propagandistiche della bicicletta furono i futuristi, che videro velocità e modernità in questo mezzo. Lo stesso Marinetti ed altri futuristi formò il corpo volontari ciclisti e motociclisti, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Alla fine si trattò di una guerra più che altro d’opposizione e non di movimento, quindi venne ben presto sciolto. Eppure i futuristi abbracciarono l’idea della bicicletta, a differenza dei tradizionalisti.

Le gare ciclistiche: Giro d’Italia e Tour de France

L’incontro con Pivato si è svolto proprio nel giorno d’inizio dell’edizione 2020 del Tour de France. Stefano Pivato ha voluto ricordare Sergio Zavoli, morto ad inizio agosto, che ha condotto la trasmissione Processo alla tappa, che commentava il Giro d’Italia.  Inoltre era stato ospite a Passaggi Festival, nell’edizione 2013, dove aveva ricevuto il premio Passaggi.

Per quanto riguarda le differenze tra Giro d’Italie e Tour de France Alfonso Gatto sosteneva che: “Tra Tour de France e Giro d’Italia c’è la stessa differenza tra impressionisti e macchiaioli”.
L’Italia è da sempre un paese ricco di centri abitati, quindi ogni volta che passa il Giro si costruisce un’atmosfera di festa popolare. In Francia invece un quinto della popolazione vive nella capitale, quindi il Tour era considerato una processione circolare che parte dalla capitale e termina nella capitale.
La bicicletta diventa grande in Francia pur essendo nata in Inghilterra. Infatti nell’Esposizione Universale fa da protagonista insieme alla Tour Eiffel. Viene ribattezza la petit reine, la piccola regina. Il Tour è quindi sempre considerato più prestigioso del Giro. Ci fu un solo periodo in cui il Giro fu più prestigioso del Tour: i tempi di Coppi e Bartali, che costituirono una sorta di cura alle ferite lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale.  Finita questa parentesi, il Tour ha continuato a essere la corsa più rappresentativa delle due ruote. I motivi sono molteplici, forse il fatto che restituisce il senso della grandezza francese. Ma anche perché vi è un senso di riverenza nei confronti del vincitore e di rispetto nei confronti di chi perde. A volte in Francia i perdenti sono amati più dei vincitori. È l’esempio di Poulidor che arrivò cinque volte secondo, eppure viene osannato più di alcuni vincitori.

I giornali sportivi

Queste competizioni ciclistiche nascono per vendere più biciclette, ma anche più giornali. La Gazzetta dello Sport diventa quotidiano grazie al Giro d’Italia. Come storico, Pivato spesso viene criticato perché si occupa di storia dello sport. Ma questa non è affatto secondaria, basta pensare che l’Italia ancora oggi è l’unico paese in cui si pubblicano tre quotidiani sportivi, fino poco tempo fa quattro, a differenza di Paesi in cui non se ne pubblica nessuno. Lo sport in Italia è un fenomeno sociale rilevantissimo. Siamo i più grandi consumatori di sport al mondo, per cui si può parlare di storia attraverso lo sport.

Dal ciclismo al calcio

In generale in Italia la bicicletta venne accettata solo al Nord. Il più alto numero di biciclette si riscontrava in Emilia-Romagna sia perché pianeggiante, sia perché la figura principale era il bracciante che aveva una mente molto aperta e moderna. In alcune regioni, soprattutto in Meridione, si fece molta fatica ad accettarla e anche questo dimostra come non sia solo un insieme di due ruote ma molto di più.
Fino al boom economico il ciclismo risultò essere lo sport più popolare. Venne poi soppiantato dal calcio e a questo contribuì l’episodio della tragedia di Superga e la morte del Gran Torino, che crearono la prima grande emozione collettiva dell’Italia nel dopoguerra.
Inoltre tra il 1958 e il 1963 si collocò il boom economico e molte famiglie scoprirono l’andare in vacanza con la Fiat Seicento, caricando la Graziella sul portapacchi. Qui tramontò l’era della bicicletta, anche se si ebbe una piccola ripresa durante la crisi petrolifera.
Il ciclismo è sempre stato lo sport dell’uomo comune, i cui grandi campioni erano umili e permettevano un’identificazione immediata tra uomo della strada e vincitore. Tra l’altro quasi tutti i ciclisti provenivano dalle piccole città.

Scrittori e biciclette

Nell’ultimo capitolo del libro “Biciclette di carta” si parla della bicicletta nell’arte.
Alcune grandi opere sulla bicicletta sono ad esempio il libro di Alfredo Oriani che si intitola propria La bicicletta. Sono state scritte anche numerose antologie, come quelle di Guareschi o Bassani. Cesare Zavattini fu sceneggiatore del capolavoro Ladri di biciclette. Ma secondo Stefano Pivato i versi più belli sono quelli di Stecchetti, che riporta anche nel suo libro sia in italiano che in dialetto romagnolo.

La bicicletta è oggi il primo strumento del tempo libero dell’italiano perché, nonostante nacque come strumento dell’aristocrazia, è accessibile a tutti e genera sensazioni di libertà e benessere che chiunque può provare.

 

 

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